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L’EUROPA ...

LA TURCHIA, LO SPIRITO DI PIAZZA TAKSIM, E LA PROVA DI FORZA DI ERDOGAN. Materiali per capire

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> LA TURCHIA, LO SPIRITO DI PIAZZA TAKSIM, E LA PROVA DI FORZA DI ERDOGAN. --- «Un referendum vinto a mani basse» (Soli Ozel). Ma il voto fa sfumare le ambizioni del leader.

lunedì 31 marzo 2014

Soli Ozel, professore di Relazioni internazionali e di Scienze politiche alla Bilgi University di Istanbul

«Un referendum vinto a mani basse»

di Mo. Ri. Sar. (Corriere della Sera, 31.03.2013)

ISTANBUL - « Una vittoria netta per Erdogan e una sconfitta durissima per il Chp di Kemal Kiliçdaroglu». Non ha dubbi Soli Ozel, professore di Relazioni internazionali e di Scienze politiche alla Bilgi University di Istanbul. «È chiaro che queste sono solo elezioni amministrative - dice al telefono commentando a caldo i primi risultati - ma il premier le ha trasformate in un referendum sulla sua popolarità e si può dire, senza ombra di dubbio, che ha vinto a mani basse. L’Akp arriva al 45%, un risultato del tutto rispettabile. Si è confermato vincente a Istanbul Oltre a Istanbul si è riconfermato vincente anche ad Ankara».

Gli elettori hanno creduto alla teoria del complotto per far cadere il governo? Come mai gli scandali sulla corruzione e le leggi liberticide non hanno spostato alcun voto?

«Una strana domanda fatta da un’italiana. Come mai da voi Silvio Berlusconi ha continuato a vincere le elezioni? La risposta è sempre la stessa: la gente preferisce credere al leader in carica, soprattutto quando non c’è un’alternativa convincente».

Cosa succederà ora?

«È difficile dirlo. Bisogna vedere se Erdogan, una volta incassata la vittoria, deciderà di abbassare i toni e cercare una riconciliazione con i suoi oppositori. O se, invece, calcherà ancora più la mano e cercherà la vendetta. L’obiettivo auspicabile dovrebbe essere quello di unire il popolo anziché dividerlo».

Il premier correrà per le presidenziali?

«Siamo un Paese diviso tra il 45% e 55%. In questa situazione per Erdogan sarà difficile diventare presidente senza l’accordo con un altro partito. Forse anticiperà le politiche e farà il primo ministro per la quarta volta modificando le norme vigenti».

La posizione del presidente Gül a questo punto si indebolisce.

«Abdullah Gül ha giocato su due tavoli: ha firmato quello che voleva Erdogan ma dall’altro lato si è schierato contro il blocco di Youtube e Twitter. Così ha perso molta della sua autorevolezza».

Lo scontro con Gülen, il predicatore islamico che vive in Pennsylvania e guida milioni di adepti, è finito?

«Sicuramente Gülen ha dimostrato di non avere un grande seguito elettorale. Il suo risultato è del tutto deludente. Ma il vero sconfitto di queste elezioni è il principale partito di opposizione, il Chp».

Cosa succederà ora nel Chp? Kiliçdaroglu si dimetterà?

«Di certo Kiliçdaroglu dovrà aprire una seria riflessione su un risultato elettorale che vede inchiodato il suo partito a un misero 27%».


Ma il voto fa sfumare le ambizioni del leader

di Antonio Ferrari (Corriere della Sera, 31.03.2014)

Il verdetto del popolo turco è abbastanza chiaro, nonostante il caos, le manipolazioni e lo strano blackout elettrico, a macchia di leopardo, che ha costretto molti scrutatori a un romantico lavoro al lume di candela. Il premier Erdogan, pur ferito e screditato, si salva dal naufragio. Numericamente il leader tiene bene, politicamente si indebolisce per aver trasformato il voto amministrativo in un referendum su se stesso.

Il suo futuro, infatti, è in declino e la presidenza della Repubblica è sempre più lontana. Un sogno di gloria e di presunzione che pare arenato nel deserto dell’arroganza. L’immagine che affiora dalle urne, con i seggi assediati da un’affluenza record che rivela l’estrema politicizzazione (e polarizzazione) della volontà popolare, è quella di una sentenza senza veri vincitori e vinti.

Erdogan, pur travolto dagli scandali, non è stato severamente punito. Però ha corso il rischio di perdere il controllo di Istanbul, la città più importante del Paese con i suoi 15 milioni di abitanti: polo miliardario di appalti dorati. I fedelissimi sostenitori dell’Akp, il partito islamico di cui il premier è l’anima, hanno infatti deciso di restare dalla sua parte, tacitando le correnti di dissenso interne al partito.

Se valesse una metafora sportiva, si potrebbe dire che il voto turco ha espresso un virtuale pareggio: non tra il governo e l’opposizione laica, ma tra chi è sempre con Erdogan, costi quel che costi, e chi invece è contrario al capo del governo ed è pronto ad allearsi col diavolo pur di abbatterlo politicamente.

A conti fatti, il discusso leader resta in sella, anche se i più attenti analisti turchi sostengono, già adesso, che sarà assai improbabile, fra pochi mesi, alle elezioni presidenziali, vedere Erdogan come candidato vincente. Il capo dello Stato, pur indicato dal partito di appartenenza, deve essere espressione della conciliazione nazionale: in sostanza non può essere totalmente sgradito agli avversari, come è accaduto per Ozal, per Demirel, per Sezer, e per lo stesso Gül, che con l’attuale premier è fra i fondatori dell’Akp.

È proprio la divisione in due blocchi dell’elettorato turco, avvenuta ieri, a suggerire le interpretazioni del voto più aderenti alla realtà. Nel fronte islamico moderato ha prevalso la conservazione: più che gli scandali ha pesato sul voto il rischio che la rovinosa caduta di Erdogan riporti il Paese al rigore laicista del passato.

La macchina del consenso è stata quindi tradizionale: controllo della stampa, delle televisioni, comizi con folle oceaniche, capillare propaganda porta a porta. Quella del fronte opposto si è scatenata sui social network, i veicoli della comunicazione più sgraditi al premier. La chiusura coatta di Twitter e YouTube ne ha rivelato, per contro, la forza inarrestabile. Sul web, il giorno delle elezioni, sono stati invitati tutti i sostenitori del «no» ad andare a votare indossando le maglie di tutti i club più famosi, compresi quelli che il premier riteneva dalla sua parte.

In sostanza, per ora, cambierà poco o nulla in Turchia. La guerra tutta islamica fra Erdogan e il predicatore Fetullah Gülen, che vive negli Usa, si è combattuta anche ieri. L’agenzia di Stato e quella di Gülen si sono scontrate velenosamente sui risultati e sui loro interessati (seppur illegali) exit poll. Chi sperava da questo voto un raggio di luce è sempre al buio. E senza candele. Le incognite, invece di risolversi, si sono moltiplicate.


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