Un Wojtyla di sinistra?
di Massimo Faggioli (Europa, 30 luglio 2013)
La prima Giornata mondiale della Gioventù di papa Francesco ha sancito in qualche modo il vero inizio del pontificato di Bergoglio: ironia della storia, con un evento di massa di stile wojtyliano, e in un luogo deciso dal pontificato di Benedetto XVI ben prima delle sue inattese dimissioni. Assodate le differenze rispetto al predecessore (basti ricordare la fredda accoglienza riservata a Benedetto XVI in Brasile nel 2007), che tipo di pontificato sta prendendo forma? Un ritorno al “pontificato carismatico” di Giovanni Paolo II, o qualcosa di diverso?
Non v’è dubbio che papa Bergoglio sia più vicino a Giovanni Paolo II che a Benedetto XVI, ma le dimensioni e la formula della Giornata mondiale della gioventù potrebbero alterare la prospettiva.
La Gmg è pur sempre un evento che si basa su una partecipazione di massa, di giovani da tutto il mondo, insieme al papa, e che pertanto focalizza l’attenzione sulle parole e sui gesti del papa. È uno dei motivi per cui il cattolicesimo liberal ha sempre visto con sospetto queste manifestazioni di massa, e vorrebbe al posto della Gmg raduni su base nazionale o continentale - ai quali ovviamente il papa non potrebbe partecipare per motivi pratici.
Tuttavia pare che papa Francesco sia cosciente dei rischi di una carismatizzazione del papato oltremisura. In primo luogo, i tempi e i modi della transizione da Benedetto XVI a Francesco hanno in qualche modo “vaccinato” il cattolicesimo dall’ideologia del papato monarchico. In secondo luogo, papa Francesco ha più volte dato segnali di voler essere, come vescovo di Roma, soltanto il “segnale” che riconduce al vero capo della Chiesa, Gesù Cristo.
Dal punto di vista del funzionamento del cattolicesimo, poi, il Conclave del 2013 ha presentato alla Chiesa il conto di un eccessivo accentramento del governo della chiesa, non solo nella gestione burocratica ma anche quanto ai risultati pastorali provenienti da meccanismi di nomina e carriera tesi a premiare le cordate e gli “yesman”.
La Gmg di Rio ha però offerto segnali ulteriori per comprendere il tipo di pontificato di papa Francesco: una continuità rispetto alla formula coniata da papa Wojtyla, e una continuità con Giovanni Paolo II anche nell’abbracciare ogni cultura come “capace del Vangelo”, senza illudersi nel ricondurre il cattolicesimo globale sotto il giogo della cultura europea figlia di Atene e Roma.
Una continuità con Giovanni Paolo II si è vista anche rispetto ad un certo stile liturgico e paraliturgico di tipo “evangelicale”: musiche, danze, happening di vario tipo. Questo ha a che fare con la giovane età dei partecipanti, ma anche con la consapevolezza della Chiesa che la sfida del cattolicesimo su scala mondiale è col cristianesimo post-ecclesiale dei carismatici e pentecostali, ovvero sul terreno di una pietà meno “illuminista” e più “emozionale”.
Il cattolicesimo del cuore di papa Francesco non è lontano dall’evangelicalismo di nuovo conio (in America, un “evangelicalismo sociale” reduce dai disastri dell’era di George W. Bush), quello che coniuga ad un forte senso della tradizione cristiana una sensibilità sociale e politica in senso alto: un cristianesimo pro-life che non si accontenta di denunciare la mentalità abortista, ma include il discorso pro-life in un quadro di dottrina sociale cristiana sul lavoro, la salute, la giustizia sociale.
La Gmg del 2013 ha fatto sfilare sulla spiaggia di Copacabana un “evangelical Catholicism”: un evangelicalismo che non ha come modello quello statunitense anni Settanta-Novanta di tipo politico-ideologico e che non si rifà, per intenderci, all’evangelicalismo cattolico auspicato da neoconservatori come George Weigel. Si tratta di un evangelismo cattolico, che non ha nulla in comune col fondamentalismo biblico ma piuttosto si rifà ad una sapienza spirituale ben poco calvinista e molto misericordiosa e inclusiva.