Filosofia politica
La prospettiva è araba
di Sebastiano Maffettone (Il Sole-24Ore, Domenica, 8.11.2015)
Assai di rado capita di leggere un libro assieme così affascinante come I Canoni dello sguardo di Hans Belting. La lettura del testo di Belting non è sempre semplice e il titolo italiano ahimé non riproduce quello originario (che è !Firenze e Bagdad...), ma poco importa. Il tesoro è nelle pieghe di una prosa asciutta e rigorosa e sta all’incirca in quanto dice il sottotitolo (anche questa modificato dal tedesco che recita l’equivalente di “una storia mondiale dello sguardo”).
Lo studio in questione verte sulla natura e la funzione della prospettiva lineare vista come forma simbolica generale ed esaminata interculturalmente. La prospettiva di cui si parla è quella la cui invenzione noi attribuiamo al Rinascimento fiorentino, e naturalmente non abbiamo torto nel farlo. Quello che però, nella maggior parte dei casi, ignoriamo è che dal punto di vista logico e storico la prospettiva lineare è un’invenzione araba. Alle sue basi c’è il tentativo di risolvere la matematica e la fisica della visione di quel grande scienziato irakeno che fu Alhazen (vissuto intorno all’anno mille).
Ci si chiede a questo punto come mai una scoperta tanto creativa abbia avuto bisogno di secoli e di tanti chilometri (per l’appunto quelli da Bagdad a Firenze) per realizzare le sue premesse in maniera completa. La risposta sta nel divieto di immagine che caratterizza la cultura arabo-islamica.
L’Occidente è in grado di trasformare la scienza in immagine, ma il mondo arabo non può seguirlo su questa linea. Se ne possono tratte due conclusioni direi sconcertanti. Da un lato, il nostro modo di vedere abituale che divide le “due culture”, quella scientifica e quella artistica, ha poco senso se pensiamo alla prospettiva lineare e alla sua centralità estetica. Si tratta infatti di un oggetto scientifico che diventa struttura fondante del discorso estetico. Dall’altro lato, la distinzione tra Occidente e Oriente e ne esce enormemente ridimensionata.
La prospettiva nasce in Irak, trionfa in Italia, e soprattutto - come dice Belting in pagine intellettualmente appassionanti- ritorna come strumento di imposizione coloniale. In India, in Cina, In Giappone e persino nel mondo musulmano -come ci ha fatto scoprire, tra gli altri, Pahmuk in un famoso romanzo - la prospettiva ritorna sull’onda del potere politico ed economico occidentale addirittura come metodo di conversione. Accettare la prospettiva diventa così un modo per partecipare al clima della modernità.
Non senza ironia implicita, Belting mostra come lo strumento analitico originalmente (medio)-orientale viene impiegato dall’Occidente per catechizzare gli orientali...Le conseguenze politico-culturali della tesi di Belting sono tanto evidenti quanto scioccanti: il mito dell’Occidente imperialistico fondato sulla razionalità matematizzante della prospettiva lineare non è Occidentale! È invece una filiazione della avanzata cultura scientifica del Middle East.
Il tutto si complica se seguiamo le avventure della “camera oscura”, sempre sulla scia di Alhazen e i percorsi del Rinascimento fiorentino tra Brunelleschi e Piero della Francesca. Di certo, si evince dal libro la necessità di uno sguardo meno provinciale e più globale sull’arte visuale in specie e sulla storia della cultura in genere.