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SCIENZE ED EREDITA’ CULTURALE ...

L’EPOCA D’ORO DELLA SCIENZA ARABA. Prima di Galileo e Newton la rivoluzione dimenticata. Intervista al prof. Jimal­ Khalili di Gabriele Beccaria

Mentre l’Occidente languiva nella povertà, oltre che in una tremenda ignoranza, la civiltà scintillava in Medio Oriente e in Asia. Merito degli Omayyadi e degli Abbasidi e della fetta di mondo che plasmarono. Un melting pot che avrebbe unito popoli e culture dalla Spagna all’India.
mercoledì 2 ottobre 2013 di Federico La Sala
“Prima di Galileo e Newton la rivoluzione dimenticata”
Non solo matematica ma astronomia e geografia:
“La scienza araba cambiò il mondo”
di Gabriele Beccaria (La Stampa/TuttoScienze, 02.10.13)
Jimal­ Khalili: È PROFESSORE DI FISICA TEORICA ALL’UNIVERSITÀ DEL SURREY (GRAN BRETAGNA)
IL LIBRO : «LA CASA DELLA SAGGEZZA. L’EPOCA D’ORO DELLA SCIENZA ARABA», BOLLATI BORINGHIERI
Molti manoscritti sono perduti, così come gli imperi che li custodivano si sono sbriciolati. (...)

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> L’EPOCA D’ORO DELLA SCIENZA ARABA. Prima di Galileo e Newton la rivoluzione dimenticata. --- Sciiti e sunniti: lo scontro secolare che incendia il Medio Oriente.

domenica 3 gennaio 2016

Storia dell’odio tra islamici

Quei 14 secoli del lungo odio con i sunniti

La disputa sugli imam e la catena di persecuzioni

di Roberto Tottoli (Corriere della Sera, 03.01.2016)

La divisione sunniti-sciiti risale alla morte di Maometto, 14 secoli fa. Subito si divisero sulla figura dell’imam che avrebbe regnato al posto del profeta. Per gli sciiti l’imam deve essere una guida anche religiosa, per i sunniti deve garantire l’unità della comunità senza ruoli religiosi. La via sunnita è quella della gran maggioranza dei musulmani ( nella foto l’assalto all’ambasciata saudita a Teheran ).

La divisione tra sunniti e sciiti risale alla morte del profeta Maometto nel 632 d.C. Per il «partito di Alì», in arabo shi‘at ‘Ali , da cui deriva il nome «sciiti», il legittimo successore di Maometto doveva essere ‘Ali, suo genero. E dopo di lui dovevano regnare i suoi discendenti con il titolo di imam. Ma la questione della successione non fu solo politica: per gli sciiti gli imam erano e sono una guida anche religiosa.

Per i sunniti, invece, i primi sovrani, chiamati «califfi», furono scelti tra i compagni di Maometto, senza alcun ruolo religioso ma solo con il dovere di garantire l’ideale unità della comunità.

Nel corso dei secoli il sunnismo è stato la via seguita dalla stragrande maggioranza dei musulmani, mentre lo sciismo si è a sua volta frantumato in svariate sette circoscritte ad alcune regioni.

I motivi di tali divisioni hanno sempre avuto origine intorno all’autorità religiosa, più o meno accentuata, attribuita agli imam. Gli alauiti di Siria o i Drusi, oppure gli ismailiti guidati dall’Agha Khan ne sono gli esempi più estremi e noti. Oppure, all’opposto, vi sono correnti come quella degli zayditi dello Yemen, moderati, assai vicini ai sunniti. Quasi il novanta per cento degli sciiti segue lo sciismo imamita. Tale corrente unisce la maggioranza della popolazione irachena, ha una sua roccaforte storica nel Libano di Hezbollah ed è soprattutto religione ufficiale in Iran dal XVI secolo.

La Rivoluzione iraniana del 1979 ha rappresentato il momento più alto di una comunità religiosa che ha invece spesso conosciuto marginalità, persecuzioni o dissimulazioni per sopravvivere. La storia degli sciiti è infatti costellata da sofferenze ben rappresentate dalla morte dell’imam Hussein, il figlio di ‘Alì, fatto trucidare dal califfo omayyade sunnita nel 680 d.C. a Kerbela, nell’odierno Iraq.

I sunniti hanno sempre guardato con sospetto ai sostenitori di concezioni sciite. Oggi le posizioni più marcatamente anti-sciite sono sostenute dall’Arabia Saudita. Il wahhabismo è segnato da un odio feroce contro gli sciiti, trattati alla stregua di miscredenti e avversati nel loro credo e nelle forme di culto verso i venerati imam. La Rivoluzione iraniana che ha consegnato il Paese al di là del Golfo Persico al clero sciita ha acuito tensioni e rivalità.

La minoranza sciita che vive ancor oggi in Arabia Saudita soffre tali difficoltà e una rivalità crescente. Si tratta di una presenza antica, come la presenza sciita in Bahrein, ma marginalizzata dalla realtà politica saudita, in altalenanti fasi di riavvicinamento e confronti sanguinosi. I moti di protesta nel clima delle cosiddette primavere arabe dopo il 2011 hanno ulteriormente acuito incomprensioni irrigidendo le autorità saudite.

Allo stesso tempo, la crescita dell’influenza di correnti salafite sempre più avverse allo sciismo presso la corte saudita spinge per colpire la minoranza sciita con divieti e azioni coercitive.

In tali condizioni e con le crisi regionali in atto, le possibilità di dialogo sembrano sempre più difficili. E le esecuzioni di ieri accrescono gli storici e insanabili contrasti rischiando di infiammare ancor di più tutta la regione.


Le esecuzioni a Riad

Sciiti e sunniti: lo scontro secolare che incendia il Medio Oriente

L’esecuzione di Al Nimr rischia di far esplodere le tensioni tra le due confessioni musulmane e tra Arabia Saudita e Iran, potenze che negli ultimi trent’anni si sono combattute in lunghe guerre per procura

-  La frattura religiosa ha assunto un peso ancor più rilevante nel 1979, quando Khomeini ha preso il potere a Teheran facendosi paladino anche delle minoranze sciite “oppresse” nella Mezzaluna

-  Arrestato nel 1963 e in esilio dal 1964, Khomeini fece trionfale ritorno in Iran nel 1979 diventando la massima autorità politica e religiosa e proclamando l’Iran Repubblica islamica

di Renzo Guolo (la Repubblica, 03.01.2016)

L’ESECUZIONE dello sceicco sciita Nimr Al Nimr, uno dei leader religiosi e politici del movimento di protesta esploso nel 2011 nella ricca provincia orientale saudita che reclamava maggiori diritti per la più grande minoranza religiosa del paese, rischia di far deflagrare un duplice scontro, politico e religioso, nella regione. Tra sunniti e sciiti. E tra le potenze confessionali, Arabia Saudita e Iran, che si sono erette, rispettivamente, protettrici di quelle stesse comunità.

Il contrasto tra Arabia Saudita e Iran ha una storia lunga. Si nutre dell’avversione religiosa che il movimento wahabita, egemone dottrinalmente nella penisola arabica, nutre nei confronti degli sciiti, considerati non tanto musulmani quanto veri e propri apostati. Per aver contestato, sin dagli albori dell’Islam, la linea di successione profetica che i sunniti, in maggioranza nel mondo islamico, hanno legato al consenso dei compagni e dei primi seguaci del Profeta, mentre gli sciiti invocavano la qualificazione carismatica della stirpe ritenendo legittima solo la leadership che traeva origine dalla famiglia di Alì, cugino e genero di Maometto. Una differenza che, nel tempo, si è accentuata.

Per sopravvivere alla catastrofe teologica legata alla scomparsa del dodicesimo Imam, figura che contrariamente a quanto avviene nel sunnismo non è una semplice guida della preghiera ma un mediatore tra sacro e profano, gli sciiti hanno elaborato una particolare dottrina: la teologia dell’Occultazione. E dato vita, contrariamente al sunnismo, a un vero e proprio clero stratificato per sapere religioso. Un ceto di specialisti che, tra l’altro, deve interpretare il significato nascosto del messaggio coranico, considerato testo che ha anche una dimensione esoterica e non solo, come per i sunniti, essoterica o letterale.

I wahabiti, fautori di un intransigente monoteismo e ostili ad “associare” figure come i Dodici imam a qualsiasi forma di adorazione divina, hanno sempre considerato gli sciiti idolatri da reprimere o condannare alla marginalità. Questa frattura religiosa non si è mai colmata. E, pur avendo diversa intensità in paesi con storie diverse, ha assunto un peso ancora più rilevante nel 1979, quando lo sciismo khomeinista ha preso il potere in Iran. Facendosi paladino non solo della Rivoluzione islamica - la cui “esportazione” è stata bloccata sia dal suo minoritario carattere sciita, sia dalla guerra condotta dall’Iraq di Saddam Hussein con l’appoggio degli Stati Uniti - ma anche delle minoranze sciite “oppresse” nel mondo della Mezzaluna: dal Golfo al Libano, dall’Iraq all’Afghanistan.

Lo sciismo rivoluzionario rappresenta una minaccia per i sauditi perché mette in discussione sia il loro ruolo di “custodi dei luoghi santi” sia una dottrina, come quella wahabita, ritenuta ferrea depositaria di una tradizione religiosa fondata sull’ingiustizia e la persecuzione nei confronti dello sciismo. Il sistema di alleanze internazionali poi ha accentuato le divergenze.

L’Arabia Saudita è, dal 1945, un alleato, anche se poco limpido e oggi relativamente autonomizzato, di quell’America che, dal sequestro degli ostaggi nell’ambasciata di Teheran sino alla lunga e tormentata partita sul nucleare, è stata agli occhi degli iraniani “il Grande Satana”. Negli ultimi tre decenni sauditi e iraniani si sono, così, combattuti in lunghe e estenuanti guerre per procura, sostenute sul campo da movimenti e Stati alleati. È accaduto, e accade, in Libano, in Iraq, in Siria, nello Yemen, in Bahrein.

Mandando a morte Al Nimr i sauditi inviano ora al mondo un messaggio che definisce una precisa tassonomia del Nemico: categoria a cui ascrivere non solo i simpatizzanti sunniti di Al Qaeda, ma anche gli oppositori sciiti, giustiziati insieme ai primi. Un discorso rivolto, brutalmente, anche all’Iran perché comprenda che non verrà tollerata nessuna “interferenza”, statuale e confessionale, nel giardino di casa saudita: a partire dal Golfo.
-  Un messaggio che, secondo il ministro degli Esteri iraniano, costerà caro alla dinastia saudita, qualificata come “criminale” e che, secondo lo stesso leader della Repubblica islamica Khamenei, non impedirà il “risveglio” sciita.

Le proteste esplose nel mondo sciita, nel Bahrein oltre che nelle province orientali saudite, in Libano come nel Kashmir, sono solo un’avvisaglia delle nuove tensioni che l’esecuzione di Al Nimr può innescare. Anche perché sia le dinamiche connesse all’autoattribuito rango di potenze confessionali, sia la battaglia senza esclusione di colpi per conquistare il ruolo di potenza regionale dominante, mandano oggettivamente in rotta di collisione strategica Teheran e Riad. Alimentando il conflitto settario. Anche in contesti dove, di fatto, sauditi e iraniani sono membri di uno schieramento, come quello fondato sulla “doppia coalizione”, che ha lo stesso nemico: l’Is.

Sino a quando la duplice frattura, religiosa e di potenza, alimenterà la sfida tra i due giganti mediorientali, il vero nodo politico gordiano dello scenario mediorientale, non sarà possibile stabilizzare l’area. Come rivela la stessa costituzione, su impulso saudita, di un alleanza militare sunnita che ha come esplicito obiettivo il contrasto al terrorismo. Termine con il quale Riad non si riferisce solo all’Is o a Al Qaeda ma anche, più o meno esplicitamente, a movimenti sciiti come l’Hezbollah libanese o gli Houthi in Yemen, all’opposizione alide in Bahrein o nelle stesse province orientali del Regno. E, soprattutto, al loro grande protettore: l’Iran. Una dottrina politica e della sicurezza che, unita alle ambizioni iraniane, rischia di far deflagrare il già incendiario panorama regionale.


Vali Nasr

“Basta con Riad ora l’Occidente deve sostenere il nuovo Iran”

Il grande esperto di mondo islamico “I sauditi fanno una politica che giova al Califfato e temono l’egemonia di Teheran nell’area, più forte dopo l’accordo sul nucleare. Le esecuzioni sono una provocazione contro gli ayatollah

Ci sono di mezzo troppi interessi. Ma se il mondo vuole combattere veramente l’Is faccia pressione sul regno

intervista di Vanna Vannuccini (la Repubblica, 03.01.2016)

“UN GESTO provocatorio, deliberato, non motivato da nessuna necessità interna, fatto per spingere l’Iran a una reazione che complichi i suoi rapporti con l’Occidente alla vigilia di quella distensione che tutti si aspettano dopo la cancellazione delle sanzioni».

Vali Nasr, grande esperto del mondo islamico e autore di un famoso libro, “La rivincita (nell’originale la rinascita) sciita”, decano della Johns Hopkins e consigliere del Dipartimento di Stato, non ha dubbi: l’esecuzione ieri in Arabia Saudita di 47 “terroristi”, tra i quali il 55enne Nimr Al Nimr, un religioso che negli anni passati aveva guidato il dissenso contro la casa regnante e per questo era stato arrestato e condannato a morte, ha lo scopo di provocare l’Iran allo scontro. «La provincia orientale del Paese, quella più ricca di petrolio e più vicina all’Iran, dove in passato c’erano stati disordini e proteste da parte della popolazione sciita, è calma. Non c’erano ragioni di politica interna per questa esecuzione di massa. E’ stato un atto deliberato per alzare il livello dello scontro con l’Iran. È la prova che i dirigenti di Ryad non hanno alcun interesse a una politica di riconciliazione o di allentamento delle tensioni nella regione, che continuano una politica settaria al di là di quello che affermano e che il loro scopo è l’escalation delle tensioni tra sunniti e sciiti ».

Riad pagherà caro, ha detto un portavoce governativo a Teheran. Come reagiranno gli iraniani?

«L’Iran ha tutto l’interesse a non cadere nella trappola tesa dai sauditi. Reagiranno verbalmente, è chiaro, ma credo che eviteranno di fare il gioco dei sauditi complicando le loro relazioni col resto del mondo»

Questo vale anche per i conservatori, i pasdaran e tutti coloro che in Iran mirano a indebolire il governo Rouhani, tanto più che manca solo un mese a elezioni che potrebbero rafforzarlo?

«Siamo ancora al primo passo, è presto per fare previsioni, ma credo che gli iraniani eviteranno di cadere nella trappola».

L’Arabia Saudita ha compiuto in un anno 157capitazioni pubbliche, esporta la jihad pur affermando di combattere l’Is, secondo Amnesty International usa le condanne a morte come strumento politico contro la minoranza sciita. Quando smetteremo di guardare all’Arabia Saudita come a un partner strategico?

«E’ complicato. Ci sono di mezzo troppi interessi. I sauditi hanno molta influenza, comprano armi, sono coinvolti in tanti affari. La questione è che l’Occidente deve decidere se vuol fare sul serio nella guerra contro l’Is o no. Deve scegliere se focalizzarsi contro il Califfato o contro l’Iran. Le due cose insieme non sono possibili. L’Arabia Saudita fa una politica che giova al sedicente Stato Islamico, e anche tra la popolazione saudita ci sono molte simpatie verso il Califfato. Se fa sul serio nel combattere l’Is l’Occidente deve far pressione sull’Arabia Saudita. Ha a disposizione armi diplomatiche, economiche, può scegliere. Ma finora non ha esercitato la benché minima pressione».

Il nuovo re Salman, con il figlio Mohammed da lui nominato secondo erede al trono, è in carica solo da dieci mesi ma sembra voglia passare alla storia come il nuovo Saladino. C’è una nuova dottrina Salman per l’Arabia Saudita?

«Secondo me è cambiato solo lo stile. Il regno saudita è sempre stato un regno fondamentalista, fondato sull’islam radicale, che ha fornito denaro e ispirazione a tutti i radicalismi. I re sauditi non tengono ad essere chiamati re- ci sono tanti re al mondo. Vogliono essere chiamati “custodi dei luoghi sacri”. Sembra un titolo senza pretese ma la dice lunga su un’idea di potere che va ben oltre i confini del Regno ».

Quale strategia seguono?

«Nei luoghi sacri, la Mecca e Medina, confluiscono i credenti di tutti i continenti, dalla Bosnia all’America, dalla Nigeria alla Malesia. Finora i sauditi usavano il petrolio in silenzio, in silenzio mandavano nel mondo i predicatori wahabiti a diffondere la loro versione radicale dell’islam. Oggi si muovono apertamente. In Egitto finanziano i generali, in Libia Siria e Irak sostengono i ribelli, in Yemen hanno dato avvio a una guerra contro gli Houthi perché li considerano alleati dell’Iran. L‘Iran è il nemico giurato: nessuno quanto i sauditi, forse nemmeno Israele, teme l’egemonia iraniana in Medio Oriente».


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