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SULL’USCITA DALLO STATO DI MINORITÀ E SULLO SPIRITO CRITICO, OGGI. "X"- FILOSOFIA. LA FIGURA DEL "CHI": IL NUOVO PARADIGMA.

DAL "CHE COSA" AL "CHI": NUOVA ERMENEUTICA E NUOVO PRINCIPIO DI "CARITÀ"! DELLA TERRA, IL BRILLANTE COLORE. Una nota di Eleonora Cirant (e altri materiali).

"Il libro di Federico La Sala offre un punto di vista raro. Quello di un pensiero maschile che osserva e riflette e su alcuni pilastri del pensero filosofico occidentale in modo non neutro (...)".
martedì 19 marzo 2024
Della Terra, il brillante colore
2013, nov 27*
Della Terra, il brillante colore
Il libro di Federico La Sala offre un punto di vista raro. Quello di un pensiero maschile che osserva e riflette e su alcuni pilastri del pensero filosofico occidentale in modo non neutro ma a partire dal riconoscimento della propria parzialità - di individuo e di genere.
Il libro si compone di più saggi che affondano nel profondo delle nostre radici culturali come “carotaggi” a campione. La (...)

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> DAL "CHE COSA" AL "CHI": NUOVA ERMENEUTICA E NUOVO PRINCIPIO DI "CARITÀ"! --- STORIOGRAFIA, ANTROPOLOGIA, E ARCHEOLOGIA. "La preistoria è donna. Una storia dell’invisibilità delle donne". Un lavoro della storica Patou-Mathis (di E. Castagna).

venerdì 17 dicembre 2021

Tendenze.

Riscrivere la preistoria al femminile? Sì, ma volerlo non basta

Secondo la storica Patou-Mathis la lettura standard della società paleolitica rispecchia quella dell’Europa del XIX secolo che la scoprì: una ricerca ancora tutta da costruire

di Edoardo Castagna (Avvenire, giovedì 16 dicembre 2021)

      • Ricostruzione di vita quotidiana al tempo dei Cro-Magnon (Paleolitico superiore, circa 25.000 anni fa) - Tips

Come negli studi post-coloniali, anche in quelli che potremmo definire post-maschilisti la pars destruens sembra essere ancora molto più convincente della construens. È senz’altro condivisibile la ricerca di un approccio che in ogni ambito - dalla storia alla sociologia, dall’arte alla filosofia e perfino alla scienza - cerchi di superare pre-giudizi e pre-comprensioni derivanti di un’impostazione “maschiocentrica” (neologismo brutto ma non privo di efficacia), così come lo è, nell’ambito appunto del postcoloniale, l’ambizione di deoccidentalizzare il pensiero. È il grande filone che viene definito, in senso esteso, degli studi subalterni, e che da tempo si sta muovendo in varie direzioni in tutti i campi del sapere.

Inclusa l’archeologia, come ben esemplifica l’ultimo lavoro della storica francese Marylène Patou-Mathis: in La preistoria è donna. Una storia dell’invisibilità delle donne, recentemente pubblicato da Giunti nella collana “i fondamenti” (pagine 290, euro 20,00), la specialista del comportamento dei neandertaliani parte da un assunto difficilmente contestabile: «La preistoria è una scienza giovane, che fa la sua comparsa soltanto a metà dell’Ottocento. È probabile che i ruoli attribuiti ai due sessi nei primi testi di questa nuova disciplina abbiano a che vedere più con la realtà dell’epoca che con quella del tempo delle caverne». Per lungo tempo in effetti è stata data per acquisita una bipartizione dei ruoli, con l’uomo dedito alla caccia e alla guerra e la donna alla cura della famiglia, che proiettava sul Paleolitico esattamente la differenziazione sociale dell’Ottocento occidentale, a sua volta erede di una lunga storia del pensiero. Si tratta di una distorsione prospettica che trova esatti correlativi anche in altre scienze umane; per esempio, sempre nell’Ottocento, era prassi comune interpretare la gerarchia del potere (politico ed economico) allora vigente come un riflesso di un’asimmetrica gerarchia “naturale” dei popoli - naturalmente con i bianchi europei in posizione dominante.

In campo archeologico, il nocciolo dell’argomentazione della Patou-Mathis è che non abbiamo alcuno strumento per attribuire specificamente a uomini o a donne le attività preistoriche di cui siamo a conoscenza grazie ai reperti, dalla caccia alle pitture rupestri. È la convincente pars destruens, appunto: tuttavia, nella pars construens, la ricerca di tracce che possano consentire un pieno ribaltamento di prospettiva appaiono rade e sparse, comunque ancora insufficienti. Se è interessante rimarcare come in alcune pitture rupestri raffiguranti mani in negativo, quelle riconducibili a donne siano almeno quante quelle maschili, oppure rilevare come su alcune ossa femminili compaiano segni di traumi che possono far pensare all’uso di armi, nella maggior parte dei casi i reperti non consentono attribuzioni né a un genere né all’altro. Né convince il ricorso a testimonianze molto più tarde, come quelle celte o scite del V secolo a.C., tentato dalla storica. La Patou-Mathis sembra essere consapevole dei rischi di ideologizzazione che il suo discorso deve affrontare, criticando apertamente alcuni eccessi anche della sua disciplina negli anni del femminismo nascente. Tuttavia, liquida forse un po’ troppo sbrigativamente concetti chiave dell’archeologia del secondo Novecento, come quello della Dea Madre sostenuto con argomentazioni assai forti e convincenti da Marija Gimbutas, come «un’ipotesi tra le altre».

Tuttavia una revisione della nostra comprensione del passato, e del differente ruolo che possono avere avuto le donne nel suo divenire, è più che opportuno, necessario. La ricerca non ha mai un punto di arrivo definitivo, è un pendolo in continua oscillazione. La ricerca di un punto di sintesi o di equilibrio, che rimane sempre provvisorio e parziale, è continua: fino a quando una nuova oscillazione del pendolo non costringa a rimettere tutto in discussione. E questo è il carattere infinito della ricerca.


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