Togliatti e il suo Papa
di Bruno Gravagnuolo (l’Unità, 13 marzo 2014)
Si approssimano vari anniversari. quello della svolta di Salerno e quello della morte di Togliatti. Ma anche quello della scomparsa di Giovanni XXIII. Tutti a far data dal 1964. E c’è da giurare che almeno su Togliatti demonismo e sciatteria revisionista si eserciteranno a dovere, nel negare originalità al segretario del Partito Nuovo, per sancirne la dipendenza da Mosca e il ruolo nefasto, nell’aver radicato il Pci nella storia d’Italia, come un male.
Adesso però esce un libro prezioso che contiene due gioielli da conservare e che ribaltano certe campagne strumentali. Il primo è il discorso pronunciato da Togliatti il 20 marzo 1963, sul Destino dell’uomo , alla vigilia di importanti elezioni ma inattesamente antropologico . Il secondo è senza dubbio straordinario e ben più famoso. È l’Enciclica giovannea Pacem in terris , uscita l’11 aprile di quello stesso anno, un documento destinato a capovolgere il senso della fede nel mondo e il ruolo stesso della cattolicità: il diamante del Concilio Vaticano II, avversato da conservatori e atei devoti e che oggi conosce rinnovato splendore nella riattualizzazione del magistero di Francesco.
La cornice è appunto il volume di cui vogliamo parlarvi, Palmiro Togliatti e Papa Giovanni , a cura di Francesco Mores e Riccardo Terzi (Ediesse, pp. 149, euro 12). Che raccoglie gli atti di un seminario organizzato a Bergamo il 5 aprile 2013 da Riccardo Terzi ed Eugenia Valtulina, grazie alla Cgil di Bergamo, dello Spi nazionale, della Fondazione Giovanni XXIII e della Fondazione Di Vittorio. Tra i relatori c’erano Savino Pezzotta, Giuseppe Vacca, Alfredo Reichlin, e non manca un bel testo intervista di Mons. Loris Francesco Capovilla.
Altro contributo decisivo è quello di Francesco Mores della Fondazione Giovanni XXIII e della Normale di Pisa. Che ricostruisce contesto, rimandi e storia parallela del testo togliattiano e dell’Enciclica, davvero straordinariamente consonanti. Al punto da fare pensare che Togliatti fosse addirittura informato in anticipo dei contenuti dell’Enciclica, magari attraverso i «ganci» di Franco Rodano e di Don Giuseppe De Luca, figura chiave e mediana tra vaticano e Pci, a partire dalla questione dell’art. 7 in Costituzione. Scritti rivoluzionari e consonanti. Ma in che senso?
Cominciamo da Giovanni XXIII e isoliamo tre punti: genere umano, distinzione errante/ errore e valore dei movimenti di emancipazione. La rivoluzione «kantiana» di Papa Giovanni sta in questo: la predominanza del destino del genere umano sul contrasto di fede e ideologico. Sta in questo il divino e la sua trascendenza per il Papa: nella sua immanenza fraternitaria nella storia. E ben per questo la Chiesa deve accogliere i valori emancipativi di masse e popoli in cammino, di là dell’errore e degli errori teologici. Perché c’è un «senso» trasformativo nella storia e va colto nell’incontro, nel dialogo e nell’amore, che poi sono il banco di prova della verità teologica cristiana.
Un capovolgimento immenso, che fece a pezzi dogmatismo e scomuniche - archiviando il pontificato di Pio XII - e che rese la Chiesa attore planetario, al tempo della crisi dei missili a Cuba, della decolonizzazione, dei non allineati, della sfida kennediana, e della coestistenza pacifica kruscioviana. Ma nel suo «piccolo» l’inatteso discorso di Togliatti - rivolto guarda caso ai cattolici e alla Bergamo giovannea alla vigilia dell’Enciclica - non è meno dirompente. Vi si afferma innanzitutto il primato della pace sulla lotta di classe e su quella di campo, nell’era della corsa nucleare. L’unità del genere umano, come bene supremo da preservare e orizzonte di ogni emancipazione (dunque terreno e fine). E poi il primato della persona e della sua dignità, come punto di partenza e meta ideale della liberazione propugnata dal movimento operaio.
Non sono povere cose, se si considera quel tempo, perché Togliatti mette in campo la libertà di tutti e di ciascuno e al contempo rivaluta e preserva la crucialità del fatto religioso: come costante che è illusorio pensare di poter svellere con il progresso e la riforma delle basi sociali. Addirittura, oltrepassando Gramsci, la religione diviene un dato antropologico inscindibile dalla condizione umana e persino vettore di rivoluzione. Certo Togliatti difendeva l’Urss e si illudeva sulla sua riformabilità, restava un figlio autonomo e originale di quella geopolitica novecentesca. Ma sul religioso era oltre Gramsci e Marx, e tracciava uno spartiacque: dalla persona e dalla libertà non si torna indietro. E fu così che in qualche modo un grande Papa e un grande comunista posarono una pietra miliare: fecero dialogare grandi masse tra loro e riscrissero con audacia la loro stessa fede