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TEORIA E STORIA DELLA STORIOGRAFIA. IL PROBLEMA GIAMBATTISTA VICO E IL PROBLEMA DELLA COSTITUZIONE

CROCE “CRISTIANO” , VICO “ATEO”, E L’UOMO DELLA PROVVIDENZA. Una nota - di Federico La Sala

Come con Dante, l’abbaglio e la cecità di Croce è grande: incapace di essere pio, mostra di non essere affatto saggio e, al contempo, di non essere affatto giusto nei confronti né del cristiano né del filosofo Giambattista Vico (...)
martedì 11 marzo 2014
Il testo, qui ripreso, senza le note, è il proseguimento di un lavoro su Vico: vedi (nel sito) IL PROBLEMA GIAMBATTISTA VICO. CROCE IN INGHILTERRA E SHAFTESBURY IN ITALIA. La punta di un iceberg.

PROBLEMA VICO: La diatriba che ha impegnato molti interpreti si è sostanzialmente imperniata sull’alternativa tra ortodossia cattolica e immanentismo laico di stampo moderno. Noi però ci chiediamo: e se esistesse una terza via? Se il (...)

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> CROCE “CRISTIANO” , VICO “ATEO”, E L’UOMO DELLA PROVVIDENZA. --- IL PROBLEMA CROCE. Estetica ed economia in Croce (di Paolo D’Angelo).

martedì 9 febbraio 2016

      • GIAMBATTISTA VICO E LA STORIA DELLA STORIOGRAFIA FILOSOFICA...
      • IL "CONTEMPORANEO" CROCE E L’ "ARCAICO" VICO. Due note sull’interpretazione crociana di Vico
        -  Benché Croce, già nel 1915, avesse cominciato a riflettere sul proprio percorso (...), il suo orizzonte teoretico (gnoseologico-metafisico) è già chiuso e segnato: alle sue orecchie non è arrivata e non arriva alcuna “voce di Ercole”!


Il problema Croce

Estetica ed economia in Croce

di PAOLO D’ANGELO*

      • Dopo aver segnato profondamente gli sviluppi del dibattito culturale italiano per buona parte del Novecento, Benedetto Croce, frequentato e conosciuto sempre meno, sembra approssimarsi a scivolare nell’archivio della storia, a diventare un problema. A centocinquant’anni dalla sua nascita, Paolo D’Angelo, con il suo Il problema Croce (Quodlibet 2015), ci offre la possibilità di restituire a Croce (al suo pensiero, ma anche alle sue doti civili e morali) quella centralità indiscussa che ha avuto nel XX secolo, a partire dalla riflessione da lui condotta all’interno di un preciso campo di studi, l’estetica. Ringraziando l’editore per la gentile concessione, proponiamo ai nostri lettori uno dei saggi che compongono il volume, intitolato “Estetica ed economia in Croce”. *

Che cosa mai potranno avere in comune Estetica ed Economia? La scienza che studia «il lato più bello della storia del mondo» (Hegel dixit) e la dismal science? Quella che si occupa della più disinteressata tra le attività umane e quella che ha che fare con i bisogni? Quella che si confronta con la dura necessità e quella che si dedica al superfluo? Nulla o ben poco, vien da pensare. Esse sembrano legate piuttosto, come è stato detto, da «un’ostilità strutturale e reciproca», che le costituisce «l’una come negazione dell’altra», la prima consacrata all’inutile, la seconda al suo opposto[i].

Benedetto Croce non la pensava così. Egli ha infatti apparentato queste due scienze in un saggio un tempo famoso, oggi ben poco conosciuto, mettendone in luce le analogie e scoprendo in esse un «fondo» comune. Lo scritto crociano fu composto nel 1931; apparve in volume, per la prima volta, negli Ultimi saggi del 1935, e successivamente è stato ristampato anche in appendice alla edizione laterziana del Breviario di estetica in collana economica, e si intitola Le due scienze mondane. L’Estetica e l’Economica[ii].

Ma cosa unisce secondo Croce due discipline a tutta prima tanto distanti? In primo luogo si tratta, agli occhi di Croce, di due scienze eminentemente moderne. L’antichità e il Medioevo non le conobbero, o ne conobbero solo accenni, incunaboli, precorrimenti. Come scienze vere e proprie, esse sorsero unicamente nel Settecento, che non è solo il secolo che vide il battesimo e il rigoglio dell’estetica, a partire da Baumgarten (seppure Croce, in proposito, avrebbe citato [dovuto citare, fls] piuttosto Vico), ma anche quello in cui l’economia politica assurse a dignità scientifica, e apparve il primo capolavoro sistematico di teoria economica, la Ricchezza delle nazioni di Adam Smith.

Prima di allora, naturalmente, non è che vita economica, politica e artistica non vi fosse, e neppure che mancasse qualsiasi riflessione sui fenomeni che la caratterizzano. Croce sapeva bene che l’antichità aveva dato importanti trattati di poetica, e qualche accenno di teoria economica e politica; egli era ben consapevole, inoltre, che l’estetica non sorge nel Settecento ex abrupto, ma si costruisce sull’ampia messe di trattati sulla poesia e le arti figurative composti a partire dal Cinquecento, così come l’economia e soprattutto la politica (vedremo che le due attività sono in Croce ricomprese sotto la categoria più generale dell’economico) avevano cominciato a guadagnare attenzione autonoma più o meno nello stesso periodo. Resta il fatto che la costituzione delle due discipline, e soprattutto il riconoscimento filosofico della loro autonoma dignità, è per Croce un acquisto imperituro del secolo dei Lumi.

A unire estetica ed economia è dunque, in prima istanza, un dato negativo, un’assenza: l’assenza di una scienza economica e di una scienza estetica nel mondo antico e in quello medioevale, epoche, scrive Croce nel saggio Inizio, periodi e caratteri della storia dell’estetica, caratterizzate «dal disinteresse verso quelle forme dello spirito che più fortemente si attenevano al mondo, al sensibile, al passionale: ossia, nella sfera pratica, verso la teoria delle vita politica ed economica, e, nella sfera teoretica, appunto verso la teoria della conoscenza sensibile o estetica»[iii].

Certo, Croce sapeva bene che nihil sequitur ex mere negativis, che da due determinazioni negative non può seguire nessuna affermazione, e infatti il saggio del 1931 non conclude affatto circa un carattere comune all’estetica e all’economia a partire dalla loro sostanziale assenza prima del Settecento. Piuttosto - correttamente da un punto di vista logico - vede la modernità delle due scienze come conseguenza di un carattere positivo condiviso da entrambe.

Questo carattere è quello sottolineato e annunciato fin dal titolo: estetica ed economia sono due scienze mondane. E «mondano», vale qui nel senso in cui si parlava un tempo di «sapienza mondana» in opposizione al sapere teologico: significa antitrascendente, antiascetico, profano. Estetica ed economia sono due scienze che mirano, in modo diverso ma in certo senso complementare, alla legittimazione del senso, della sensibilità, del desiderio e, al limite, del piacere.

Lasciamo che sia Croce a spiegare che cosa intende quando afferma che sono entrambe scienze del senso: «Che cosa, in ultima analisi, fanno queste due scienze? Per dirla in breve, esse intendono a giustificare teoricamente, ossia a definire e sistemare dandogli dignità di forma positiva e creativa dello spirito, quel che si chiama il “senso”, e che, oggetto di diffidenza o addirittura di negazione e di esorcismi nel Medioevo, l’età moderna, nella sua opera effettuale, veniva rivendicando. E poiché il “senso” aveva due congiunti ma distinti significati, e designava, da una parte, quel che nel conoscere non è logico e raziocinativo ma sensibile e intuitivo, e, dall’altra, quel che nella pratica non è per sé morale e dettato dal dovere ma semplicemente voluto perché amato, desiderato, utile o piacevole, la giustificazione dottrinale metteva capo, da una parte, alla logica dei sensi o logica poetica, scienza del puro conoscere intuitivo o estetica, e, dall’altra, alla edonistica, alla logica dell’utile, all’Economica nella sua più larga comprensione: che era né più né meno che la teoretica e filosofica “redenzione della carne” come si suol chiamarla, cioè della vita in quanto vita, dell’amore terreno in tutte le sue guise»[iv].

Almeno per quanto riguarda l’estetica, la determinazione di «scienza del senso» appare largamente giustificata, anche solo dal nome della disciplina, che nasce appunto come scientia cognitionis sensitivae. È vero però che questa accezione dell’estetica, oggi tornata ampiamente in auge, può in qualche modo sorprendere in Croce, che di solito viene interpretato come una fautore di un’estetica identificata con la filosofia dell’arte. Qui Croce sembra invece aderire appieno ad un’idea baumgarteniana di estetica come scienza della sensibilità, un’idea che, pur presente nella prima formulazione dell’estetica crociana (quella delle Tesi di estetica del 1900 e poi della grande Estetica del 1902), si era andata poi attenuando negli sviluppi successivi, più marcatamente idealistici, della sua filosofia.

Non per nulla, infatti, nella seconda parte dello scritto del 1931, intitolata Spirto e natura (mentre la prima parte, ricordiamolo, si intitola Spirito e senso) Croce svolge alcune osservazioni che, pur andando nella stessa direzione delle affermazioni appena riportate, si presentano più in linea con la prospettiva filosofica del Croce maturo. Le due scienze mondane, l’estetica e l’economica, precisa qui Croce, aiutano la filosofia nel suo complesso a superare il dualismo corrente tra realtà materiale o naturale e realtà spirituale. Lo fanno in quanto mostrano che ciò che chiamiamo «natura» è anch’essa un’attività spirituale: è la vita passionale, la vita degli impulsi e degli stimoli, che viene elaborata da un lato nella forma espressiva, artistica, dall’altro offre la base su ci viene a esercitarsi la vita morale. «Le due scienze filosofiche, che abbiamo dette precipuamente moderne e che si riferiscono l’una alla praxis nella sua vita dinamica e passionale, e l’altra alle figurazioni della fantasia, apprestano i dati necessari alla soluzione del problema, svelandoci l’oggetto per nient’altro che quella vita passionale, quegli stimoli, quegli impulsi, quel piacere e dolore, quella varia e molteplice commozione, che è ciò che si fa materia della intuizione e della fantasia e, attraverso di essa, della riflessione e del pensiero. La verità, in conseguenza di questa concezione, non sarà, dunque, da definire, come nella scolastica, adaequatio rei et intellectus, giacché la res come res non esiste, ma piuttosto (prendendo, beninteso, in modo metaforico il concetto dell’adeguazione), adaequatio praxeos et intellectus»[v].

Si tratta di un brano ricco di tensioni: per un verso è ancora la concezione famosa, anzi famigerata, della «natura» come costruzione pratico-economica, operata schematizzando l’infinita diversità del reale attraverso i concetti empirici o pseudo-concetti; per un altro, siamo già prossimi a qualcosa che avrà molto peso nell’ultimo Croce, ossia la concezione del «vitale» come fondo da cui si origina tutta la vita spirituale. Ci torneremo alla fine di questo saggio. [...]

*

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