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STORIA D’ITALIA. INTELLETTUALI E SOCIETA’....

VICO, LA «SCUOLA» DEL GENOVESI, E IL FILO SPEZZATO DEL SETTECENTO RIFORMATORE. Una ’Introduzione’ di Franco Venturi, tutta da rileggere - a c. di Federico La Sala

Riformatori Napoletani. Giambattista Vico (...) con Hume, Robertson, Boulanger, Chastellux e Voltaire, fu il loro grande maestro (...)
martedì 25 marzo 2014
[...] l’obiettivo essenziale della polemica riformatrice? Se dovessimo ragionare secondo i vecchi schemi della storiografia filosofica dovremmo dire che di fronte a simile problema la «scuola» di Genovesi si divise, si scisse, e diede luogo ad una sinistra e a una destra. Potremmo facilmente dimostrare come l’insegnamento del maestro fosse raccolto in due diverse correnti, nello stesso tempo unite e discordi. Da una parte la corrente più utopistica e feconda insieme, composta da (...)

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> VICO, LA «SCUOLA» DEL GENOVESI, E IL FILO SPEZZATO --- L’ECONOMIA CIVILE, IL DONO, E GLI SPIRITI DEL CAPITALISMO.

mercoledì 15 novembre 2017

L’EUROPA, IL CRISTIANESIMO ("DEUS CHARITAS EST"), E IL CATTOLICESIMO COSTANTINIANO ("DEUS CARITAS EST").Una storia di lunga durata... *


Luigino Bruni, “Il mercato e il dono. Gli spiriti del capitalismo

di Alessandro Visalli (Tempo Fertile, 05.09.2016).

Questo libro del prolifico scrittore cattolico Luigino Bruni, di cui avevamo già letto un interessante articolo, può utilmente inserirsi nel percorso di lettura sugli “spiriti” del capitalismo che da qualche tempo stiamo portando avanti.

L’autore rilegge le tradizioni di “economia civile” in cui il nostro paese, con le sue profonde radici cattoliche, è stato uno dei centri propulsivi. In particolare rilegge, in una consapevole cornice storica che risale alla tradizione monastica, da una parte, ed allo snodo della riforma, dall’altro, la sistemazione settecentesca in particolare attraverso la figura di Antonio Genovesi, morto nel 1769, che legge come contraltare dell’economia anglosassone ed in generale nordica, organizzata in forma di paradigma centrale dal quasi coetaneo Adam Smith (di undici anni più giovane e morto ventuno anni dopo). Dal 1755 Antonio Genovesi, che era sacerdote, ricopre la prima cattedra italiana di Economia presso l’allora prestigiosissima Università di Napoli. La sua opera principale, “Lezioni di economia civile”, esce nel 1765 mentre “La ricchezza delle nazioni” è del 1776 e l’opera di Genovesi non vi è citata.

Eppure Genovesi era un illuminista, primo a insegnare in italiano e seguace delle idee di Locke (oltre che di Vico); nella scuola italiana l’idea della “mano invisibile” era di casa, nel 1750, quando Smith ha 27 anni e si sta da poco occupando di altro, Ferdinando Galiani, sulla strada di Vico, ne farà una chiara menzione “questo equilibrio e la giusta abbondanza dè commodi della vita ed alla terrena felicità maravigliosamente confà, quantunque non dall’umana prudenza o virtù, ma dal vilissimo stimolo di sordido lucro derivi: avendo la provvidenza, per lo suo infinito amore per gli uomini, talmente congegnato l’ordine del tutto, che le vili passioni nostre spesso, quasi a nostro dispetto, al bene del tutto sono ordinate. ... benedico al contrario la Suprema Mano, ognora che contemplo l’ordine, con cui il tutto è a nostra utilità costituito” (cit., p.87).

Lo abbiamo già visto nella lettura di Hirschman, l’interesse rivolto all’ordine è nello spirito del tempo, ed anche, con Weber (che Bruni legge con attenzione) che il capitalismo è strettamente connesso alla religione, “si è sviluppato parassitariamente dal cristianesimo” (come scrive Walter Benjamin), che questo “spirito” è legato strettamente alla dinamica del governo degli uomini e delle loro passioni e desideri.
-  Ma c’è molto di più, il capitalismo come dice Bruni “è nato dalla ricerca o dal desiderio del paradiso, e ancora oggi continua a vivere con promesse di altri paradisi”, paradisi secolari fondati su quei potentissimi simboli, codici e sogni che sono le merci ed il denaro stesso.
-  Il capitalismo ha natura, insomma, “religiosa, simbolica e spirituale” e nulla come la finanza, con la sua auto programmazione impermeabile a qualsiasi ratio umana lo mostra.
-  Il legame tra forme di cultura religiosa e spirito economico è, del resto, indicato anche da Marx, che nel terzo volume de “Il Capitale”, alla fine del capitolo trentacinquesimo sull’argomento dei metalli preziosi e il corso dei cambi scrive improvvisamente: “il sistema monetario è essenzialmente cattolico, il sistema creditizio è essenzialmente protestante. "The Scotch hate gold". Come carta l’esistenza monetaria delle merci ha soltanto una esistenza sociale. E’ la fede che rende beati [rif. alla dottrina di Lutero]. La fede nel valore monetario come spirito immanente delle merci, la fede nel modo di produzione e nel suo ordine prestabilito, la fede nei singoli agenti della produzione come semplici personificazioni del capitale autovalorizzantesi. Ma come il protestantesimo non riesce ad emanciparsi dai principi del cattolicesimo, così il sistema creditizio non si emancipa dalla base del sistema monetario” (Editori Riuniti, p. 690).

La trattazione del tema di Luigino Bruni parte da una distinzione che in qualche modo ricorda la distinzione tra “economia” e “capitalismo” (e di queste con il livello della vita comune) compiuto da Fernand Braudel in “La dinamica del capitalismo” e nell’opera seguente alla fine degli anni settanta. Ci sono quattro distinte ‘economie’ nel nostro tempo: il vero e proprio capitalismo, il cui segno è orientato al profitto e manovra masse monetarie e creditizie mobili, occupa ogni spazio possibile, incluso nel settore contiguo, ma al solo scopo di produrre quanta più valorizzazione nel minor tempo possibile. Il secondo è descritto come l’economia realizzata da imprese “familiari”, dove cioè il controllo non è assunto e praticato dal capitale anonimo ma da persone. Questa forma di economia, direbbe Marx, è “cattolica”, interessata a durare nel tempo ed è “il muro maestro del nostro sistema economico e civile”. La terza economia è quella cooperativa e sociale, le cui ragioni sono esterne all’intervento economico o dovrebbero essere. La quarta è la cosiddetta sharing economy. La linea di attacco che l’autore porta alla economia “protestante” e nordica passa per l’estraneità alle tradizioni più profonde e radicate nella cultura europea di latrice latina, in quella cultura dell’ora et labora che riconosce la natura donativa, di pura libertà, del rapporto di lavoro, e contemporaneamente, nella transizione dal mondo antico al moderno, elabora le strutture che saranno la condizione di possibilità della stessa economia di mercato. Nel monachesimo non ci sono le barriere che oggi dividono il religioso dal civile, e poi il culturale dallo spirituale; ma per Bruni proprio a causa di ciò in effetti “i monasteri furono delle autentiche cellule staminali del tessuto europeo, che lo rigenerarono brano dopo brano” (p.43). Come anche altri rilevano, è qui che maturano le prime forme di democrazia moderna (gli abati erano eletti nell’ambito di sistemi complessi di governance), la divisione del lavoro e l’organizzazione razionale di tempi e luoghi, la scansione delle orae, la parcellizzazione di compiti e funzioni predispone le strutture che poi diventeranno produttive nelle fabbriche. -L’ethos che organizza questa cultura è cooperativo, e tale è il mercato ed il lavoro. “Le prime forme di pin factories organizzate sulla base della divisione razionale del lavoro, di cui parla Smith nella Wealth of Nations (1776), maturarono nei mulini, nei birrifici, nelle bonifiche e nelle biblioteche e nelle vigne dei monasteri europei, prima ancora che negli arsenali di Venezia e delle altre città marinare italiane ed europee”. E qui si arriva ad uno dei nodi della nostra mancata comprensione di questo cruciale turning point: l’orare et laborare dei benedettini ricompone un’unità tra attività lavorativa e spirituale che era stata rotta dal mondo aristocratico e schiavista greco-romano, riportando ad una cultura della prassi che alimenta l’umanesimo medioevale. Lavorare era anche esso liturgia.

L’altro contributo seminale che non può essere non ricordato è alla creazione della finanza, attraverso i Monti di Pietà, che i francescani aprirono sin dal 1458 per rendere bancabili fasce di popolazione escluse (il micro redito non è stato propriamente inventato da Junus) e porre le basi della stessa scienza economica (Luca Pacioli, che inventa tra le altre cose la “partita doppia”, per Sombart decisiva per la nascita dell’economia moderna, era un frate francescano).

      • continua nel post successivo


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