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CEDIMENTO STRUTTURALE DEL CATTOLICESIMO-ROMANO: "AVREMMO BISOGNO DI DIECI FRANCESCO DI ASSISI" (LENIN)

PAPA FRANCESCO E LA BANDIERA DEI COMUNISTI. CHI HA RUBATO CHE COSA A CHI?! Una lettera aperta di Rosario Amico Roxas - con note di Federico La Sala

Le parole di Papa Francesco non chiariscono nulla, anzi peggiorano la situazione proprio nelle contraddizioni che vediamo annunciarsi dall’altra parte del Tevere.
giovedì 3 luglio 2014
CHI HA RUBATO CHE COSA A CHI?!
LA CHIESA DEL SILENZIO E DEL "LATINORUM". Il teologo Ratzinger scrive da papa l’enciclica "Deus caritas est" (2006) e, ancora oggi, nessuno - nemmeno papa Francesco - ne sollecita la correzione del titolo. Che lapsus!!! O, meglio, che progetto!!!
LA PRASSI DELLA CARITÀ E LO SPIRITO CRITICO. G.B. VICO AL DI LA’ DELLA BORIA DI L.A. MURATORI E DEI DOTTISSIMI DI OGGI.
KANT E SAN PAOLO. COME IL BUON GIUDIZIO ("SECUNDA PETRI") VIENE (E (...)

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> PAPA FRANCESCO E LA BANDIERA DEI COMUNISTI. CHI HA RUBATO CHE COSA A CHI?! --- Bergoglio. Francescano, ma non comunista (di Roberto Toscano)

sabato 11 luglio 2015


Bergoglio

Francescano, ma non comunista

di Roberto Toscano (La Stampa, 11.07.2015)

E’ dal momento della sua elezione al pontificato che Papa Bergoglio non lascia praticamente passare un giorno senza ribadire con schietta essenzialità richiami morali che mettono in gioco la natura stessa del nostro mondo globalizzato, il suo potere di esclusione, lo scandalo crescente della disuguaglianza. Messo piede nella sua terra latino-americana, il suo messaggio si è fatto ancora più esplicito e radicale.

La novità non è certo la preoccupazione della Chiesa per i poveri e le vittime dell’ingiustizia, e nemmeno l’autocritica nei confronti delle troppe connivenze con le violenze della colonizzazione dell’America Latina e dei troppi compromessi con poteri oligarchici - un’autocritica che aveva ispirato sia Giovanni Paolo II nel suo forte discorso del 1992 a Santo Domingo sia Benedetto XVI, che nel maggio del 2007 parlò delle «ombre» che accompagnarono l’evangelizzazione dell’America Latina.

Ma il messaggio latino-americano di Papa Francesco va ben oltre, nella misura in cui non si limita a denunciare la malvagità umana e il sordo egoismo che ispira i potenti e i privilegiati, non si limita a riprendere il discorso della Chiesa sui diritti umani, ma attacca esplicitamente le strutture, il sistema. E lo fa sottoponendo l’economia globale a un vaglio morale senza sconti e senza eufemismi.

Addirittura - e immaginiamo lo sconcerto che questo sta producendo negli ambienti del cattolicesimo conservatore - Bergoglio sembra echeggiare il radicalismo francescano quando denuncia il culto al denaro, che definisce, citando la famosa condanna di Basilio di Cesarea, padre della Chiesa, «sterco del diavolo»: «Quando il capitale si converte in un idolo, quando l’avidità per il denaro subordina tutto il sistema socioeconomico, rovina la società, rende l’uomo schiavo, distrugge la fraternità fra gli esseri umani».

Si conferma qui il senso profondo (per i credenti, provvidenziale) dell’elezione al soglio pontificio di un cardinale proveniente dall’America Latina, per la Chiesa serbatoio di fedeli - il 40 per cento dei cattolici nel mondo - fondamentale ma negli ultimi decenni minacciato da una forte offensiva protestante, resa possibile non solo dalle grandi risorse economiche dei missionari evangelici statunitensi, ma anche dalla diffusa percezione di una Chiesa conservatrice e non sufficientemente solidale con i poveri.

Anche per quanto riguarda la rivisitazione critica della conquista ed evangelizzazione cristiana dell’America Latina le parole del Papa si muovono su un terreno d’inequivoca radicalità. Sono parole in cui sembra di sentire un eco del drammatico scontro, rappresentato nel famoso film «Mission», fra la Chiesa del gesuita Padre Gabriel, schierato fino all’estremo sacrificio dalla parte degli indios contro il potere coloniale e gli schiavisti, e quella del Cardinale Altamirano, intelligente e in fin dei conti anche sensibile, ma che finisce per piegarsi alle esigenze della realpolitik, autorizzando la violenza del potere contro la ribellione degli indios. Oggi Bergoglio esalta la Chiesa di Padre Gabriel, quella dei sacerdoti «che si opposero alla logica della spada con la logica della croce».

Il rischio a questo punto è quello di semplificare e appiattire, ripercorrendo i polverosi sentieri delle ideologie del XX secolo, una svolta che è significativa nella misura in cui è nuova, e descrivere il messaggio di Papa Bergoglio come un trionfo tardivo dei movimenti rivoluzionari cui la Chiesa, nella sua maggioranza e soprattutto nelle sue gerarchie, si era sistematicamente opposta a patto di indecenti connivenze con poteri non democratici e antipopolari.

Teologia della Liberazione

No, Papa Francesco non si è convertito alla Teologia della liberazione, ma si rende conto del prezzo pagato dalla Chiesa nel rigetto conservatore delle istanze di cui quei movimenti erano generosi anche se spesso confusi portatori. E senz’altro ricorda come la Chiesa riuscì a riassorbire, non con la condanna ma con la cooptazione, la spinta potenzialmente eversiva del primo francescanesimo.

Quello che è certo è che non siamo di fronte a un «Papa comunista», come alcuni inguaribili nostalgici della Guerra Fredda cominciano anche da noi a mormorare. Il bizzarro dono del crocifisso/falce e martello del Presidente boliviano Morales ha suscitato nel Papa un’evidente perplessità, ma certo non un «vade retro» scandalizzato. Il fatto è che per Bergoglio il comunismo è morto e sepolto, anche se rimangono aperti i grandi quesiti sociali da esso sollevati, ai quali non ha saputo rispondere per le sue contraddizioni, il suo dogmatismo ideologico e la sua deriva autoritaria e violenta. Quesiti che, contrariamente a quanto sostenuto dall’ideologia neoliberale, non si possono ignorare, ma ai quali il messaggio cristiano dovrebbe avere l’ambizione di rispondere in modo diverso, autentico, sostenibile e basato sulla fede. Si tratta di un pontefice, inoltre, che non sembra certo intenzionato a essere indulgente nei confronti di chi «vuole cancellare Cristo dalla società», e che anche in Bolivia ha detto parole forti contro «la persecuzione genocida» dei cristiani in Medio Oriente.

Nel momento in cui il comunismo è davvero morto, e in cui anche la socialdemocrazia non sta molto bene di salute, il disegno di Bergoglio risulta quindi evidente. È quello di rendere il messaggio della Chiesa egemonico sotto il profilo dei valori che dovrebbero ispirare una società più umana. Un disegno ambizioso, che dovrà fare i conti con le infinite contraddizioni esistenti all’interno stesso di una Chiesa certo tutt’altro che compatta, oltre che marcata da secoli dai troppi prezzi pagati al realismo, nonchè con le prevedibili controspinte che, in America Latina ma non solo, verranno messe in atto da chi ritiene che si tratti di un messaggio puramente retorico o addirittura destabilizzante, soprattutto in un momento in cui sempre più inquietante è la sfida di un Islam militante che si colloca agli antipodi dell’umanesimo cristiano di cui Bergoglio è il coraggioso paladino.

Credenti o non credenti, entusiasti o critici - ma in ogni caso tutti disorientati dopo la scomparsa dei solidi, anche se spesso micidiali, riferimenti del XX secolo -, faremmo bene comunque a prendere sul serio la non superficiale sfida di Papa Francesco, il primo Papa del XXI secolo.


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