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IL DRAMMA DEL MEZZOGIORNO. La crisi ha colpito il Sud con "effetti durissimi", servono "interventi robusti per amplificare i timidi segnali positivi", avverte Confindustria.

A SUD (NON SOLO) SEMPRE PIU’ NOTTE!!! Il "Check Up Mezzogiorno" di Confindustria e Srm (e la lezione di Carlo Levi) - a c. di Federico La Sala

Carlo Levi, “Cristo si è fermato ad Eboli” (1945). Rileggere il ricco e complesso lavoro sociologico-politico (altro che "romanzo"!)
mercoledì 10 settembre 2014
[...] ALLA LUCE DI QUESTI CATASTROFICI DATI, mi permetto di invitare a rileggere il ricco e complesso lavoro sociologico-politico (altro che "romanzo"!) di Carlo Levi,
“Cristo si è fermato ad Eboli”, e a soffermarsi - in particolare - sul passaggio relativo alla “Ditta Renzi - Torino”, alle tasse, e alle capre (pp. 40-41, ed. Einaudi: testo integrale disponibile al link [...]

Crisi, il dramma del Mezzogiorno: (...)

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> A SUD (NON SOLO) SEMPRE PIU’ NOTTE!!! -- Ermano Olmi e l’Expo 2015: «Ci salverà il mondo contadino» (di Giangiacomo Schiavi).

sabato 7 febbraio 2015

Il messaggio del regista: torniamo all’essenziale, basta con gli inganni

Ermano Olmi e l’Expo: «Ci salverà il mondo contadino»

Dobbiamo proteggere le piante, dosare l’acqua, rispettare la terra. «Prima viene l’onestà di chi produce, poi c’è il mercato», dice leggendo l’Apocalisse

di Giangiacomo Schiavi *

Ermanno Olmi dice che l’unica speranza per il futuro è il ritorno alla terra. Ai contadini. Anche per questo ha difeso Expo quando tutti l’attaccavano. Il cibo, l’acqua, il rispetto della natura, l’onesta relazione tra chi produce e chi consuma sono l’occasione unica per un cambio di passo, forse un nuovo inizio, la capacità di dare senso a ciò che conta veramente separandolo dal superfluo, dall’inutile che condiziona la vita oggi.

L’esposizione di Milano è carica di significati simbolici ma anche di contraddizioni: si parla di valori e spuntano favori, appalti sporchi, collusioni. Olmi vorrebbe picchiare un pugno sul tavolo per scoraggiare ogni misero e spregevole interesse davanti a un tema così grande: nutrire il pianeta, lotta alle diseguaglianze, onesto utilizzo delle risorse. Nella sua casa di Asiago monta e rimonta il filmato che di Expo dovrà essere il filo conduttore, un vademecum anche morale per una società senza squilibri e ingiustizie alimentari. E si interroga su quello che il mondo si aspetta da noi, da Milano, dall’Italia, su quell’anima di Expo che si fatica ancora a trovare: «Siamo nella fase in cui dopo aver consultato le mappe si mollano gli ormeggi e bisogna avere una rotta. O sai dove andare o vai verso un dove in cui il dove non sai dov’è...».

La rotta di Olmi è chiara, nitida, anche se intorno c’è un grande buio: è la civiltà contadina che abbiamo perso, l’onesta relazione tra chi produce e chi consuma, la sacralità del cibo che non si deve alterare, perché da lì discende la correttezza dei nostri comportamenti, il rapporto di fiducia tra produttore e consumatore, l’equilibrio e l’armonia del creato. «La priorità dell’Expo deve essere la sincerità del prodotto», spiega il grande regista, «bisogna salvaguardare il rapporto naturale tra l’uomo e la terra e fare di questo la garanzia della qualità. Dobbiamo imparare dai contadini a proteggere le piante, a dosare l’acqua, a rispettare la terra per garantire un futuro a chi verrà dopo di noi». A Olmi non piace chi bara sulle risorse e specula sui prodotti, la fame e la malnutrizione sono questioni che l’Expo deve porre senza spot ingannevoli, «perché prima viene l’onestà di chi produce, poi c’è il mercato», dice mentre legge le parole dell’Apocalisse di San Giovanni («...Fuori i cani, gli impostori, gli immondi, i depravati, gli omicidi, gli idolatri e tutti coloro che praticano la menzogna...»).

Ad Asiago con la neve e il tempo che sembra immobile, Olmi dice che si ritrova l’esatto trascorrere del giorno e della notte e ogni alba porta una speranza. Si sente un profumo d’infanzia e di sogno nelle sue parole. «I bambini ci regalano le emozioni più belle davanti alla natura, ma purtroppo noi abbiamo sostituito lo spazio della loro fantasia con qualcosa di predefinito, di artificiale... Ma possiamo ancora riscattarci, tornando all’essenziale, a quel che vale veramente e rischiamo di perdere». È quasi un testamento spirituale il suo contributo alla discussione sulla Carta di Milano, un videoframmento di poche parole sussurrate e registrate in questi giorni di lunga convalescenza: «...Se potessi ricominciare da capo/cercherei di capire meglio gli animali/gli alberi/le stagioni/il giorno e la notte/perché gli uomini resteranno sempre un enigma...». La sacralità del cibo non si può indagare né definire, dice ancora Olmi, mentre sullo schermo appare una pagnotta, il pane di ieri che ci riporta a quel che bastava un tempo per sfamare, alla giusta misura che il mondo oggi non ha.

Ai protagonisti dei tavoli tematici di Expo che si ritrovano il 7 febbraio a Milano ricorda che non è ammesso l’inganno: «I posteri ci giudicheranno e vedranno quel poco di buono o meno buono che abbiamo fatto, ma non ci perdoneranno di non aver fatto quello che potevamo fare». Al premier Renzi («che ha dei meriti ma a volte non lo vedi più, era qui e adesso dove va?...») suggerisce di insistere con la scuola, pietra angolare di tutto: «È lì che si formano gli uomini, che si diventa compratori consapevoli». E al commissario Sala («che stimo perché tiene il timone dritto con coraggio») offre leale collaborazione, mettendolo in guardia dalle derive, che sono business, predazioni ed egoismi.

Credibilità è una parola che Olmi usa spesso per Expo, credibilità, qualità e contagio dell’esempio, insieme ai valori calpestati della condivisione e della saggezza, possono fare miracoli. Se poi si mette anche papa Francesco dalla sua parte, c’è un motivo in più per avere fiducia nella battaglia per ridurre le disparità e le ingiustizie legate all’alimentazione: «Per me lo sviluppo è quando tutti ricevono quel che gli spetta, mentre spreco è quello che nasce dall’interesse di qualcuno a vendere di più». È difficile dire se la spinta di sognatori come lui accenderà qualche passione nuova attorno a un evento che è apparso troppo a lungo freddo e lontano dai cittadini, ma certamente se Expo deve avere un’anima non può che essere quella indicata da Olmi e Carlin Petrini, l’ideatore di Slow food: l’anima calda della creatività, del vivere solidale, del buon uso delle risorse, l’anima dei contadini, degli artigiani, di chi tiene viva la creazione e rispetta la natura. Possono farcela l’Expo, Milano e l’Italia a determinare un cambiamento in questa direzione? Olmi concede un credito: «Nonostante i nostri difetti e i nostri inganni io non ho perso la speranza: sarà la terra a salvarci».

*

Corriere della Sera, 7 febbraio 2015


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