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PAURA DELLA LIBERTA’: ANTROPOLOGIA E FILOSOFIA....

L’INGENS SYLVA E LA PAURA DELLA LIBERTA’: CARLO LEVI, NELL’ORIZZONTE DI VICO, BENJAMIN, ED ENZO PACI. Una nota - di Federico La Sala

(...) rileggere il ricco e complesso lavoro sociologico-politico (altro che "romanzo"!) di Carlo Levi, “Cristo si è fermato ad Eboli”
mercoledì 23 settembre 2015
[...] Noi oggi capiremmo ben poco di quelle pagine [cioè, di Paura della libertà] se non le collocassimo in un contesto complesso. Quando Levi stende le sue note in una sorta di finis terrae che potrebbe accomunarlo alla condizione di Benjamin, la scena del mondo è estremamente confusa. [...]
[...] mi parve che il libro contenesse già tutto quello che intendevo dire, e che non occorresse più squadernarlo esplicitamente. C’era una teoria del nazismo, anche se il nazismo non è una sola (...)

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> CARLO LEVI, NELL’ORIZZONTE DI VICO, BENJAMIN, ED ENZO PACI. --- Ripensare la Germania con Mann e Meinecke (di Luciano Canfora)

lunedì 8 settembre 2014

Ripensare la Germania con Mann e Meinecke

di Luciano Canfora (Corriere della Sera, 08.09.2014)

In un libro pubblicato in Italia da Mondadori nel 1946, La conquista morale della Germania , il pubblicista tedesco, di origine ebraica, Emil Ludwig, suggeriva, tra le misure urgenti: «Non basta che spariscano dalla scena i lavori teatrali dell’èra hitleriana: bisogna anche proibire la Tetralogia di Wagner. Essa ha fatto, con la sua forza suggestiva, più male di tutti i libri nazisti perché in essa si trovano lampi di genio e l’impressione che produce è così potente che anche l’ascoltatore poco versato nella musica si trova incitato a conquistare il mondo, a venir meno ai giuramenti, a commettere tutti i delitti dei quali si sono poi macchiati i nazisti». Il libro si apre con una precisazione: «Il carattere nazionale è una realtà che riassume i tratti distintivi di un popolo considerato nel suo complesso, anche se alcuni degli individui che lo compongono non li possiedono».

Poco dopo apparve presso La Nuova Italia, La catastrofe tedesca di Friedrich Meinecke, edito in Germania anch’esso nel 1946. Meno drastico di Ludwig, ugualmente severo con la storia tedesca culminata nella catastrofe del 1945, stabiliva un filo negativo a partire dall’affermarsi del militarismo prussiano. E in uno degli ultimi capitoli si poneva anche il quesito se ci fosse «un avvenire per l’hitlerismo», paventando addirittura che «in virtù della sua superiorità demagogica che gli è conferita dal suo metodo di conquista delle masse, esso non sia destinato a diventare la forma di vita dominante nell’Occidente».

Nei 70 anni che ci separano dalla «catastrofe» analizzata da Meinecke sono intervenuti mutamenti epocali, anche se un osservatore attento non può non essere sensibile alla questione posta dal grande storico, scomparso nel 1954, e soprattutto alla sua intuizione veridica: essere stato cioè il nocciolo dell’hitlerismo la capacità di conquista demagogica delle masse.

Chi se la sente di negare che il problema è sempre sul tappeto? In certo senso il liberale Meinecke non si discosta molto (ovviamente senza conoscerla) dalla nota di diario del comunista Bertolt Brecht, scritta durante l’esilio americano: «Un fascismo americano sarebbe democratico» (intendeva dire: eviterebbe di ferire alcune esteriorità dei sistemi rappresentativi). Del resto anche Thomas Mann, nel discorso di Hollywood del 1948, lanciò l’allarme di fronte ai prodromi del maccartismo e non eluse certo il concetto di «fascismo».

Oggi la Germania è il perno dell’Unione Europea e il guardiano delle sue rigide regole economiche. Di queste soltanto, giacché gli altri campi dell’agire umano (dai problemi della guerra e della pace ad altri molto più specifici) non hanno in verità visto svilupparsi alcuna «unione». Perciò la Germania torna ad essere impopolare presso l’opinione pubblica dei Paesi che più patiscono dell’asserita, e vigorosamente presidiata, immodificabilità di «parametri» e «vincoli». Una impopolarità forse non così aspra come quella documentata dal libro di Emil Ludwig, ma certo difficilmente sanabile con le prediche .

Nascono perciò da ultimo libri di due generi: quelli che cercano, affettuosamente argomentando, di attutire quella diffusa avversione e quelli che, invece, mettono in relazione la riacquisita egemonia tedesca sull’Europa con i modi (e i costi) con cui, a partire dal novembre 1990, si attuò la riunificazione tedesca. L’infittirsi stesso della pubblicistica sull’argomento dimostra che un «problema tedesco» esiste oggi più che mai, ben diverso - s’intende - da quello cui vanamente cercavano di dare una soluzione, negli anni della guerra fredda, le periodiche conferenze tra i vincitori sul «problema tedesco».

Nel primo gruppo porrei due saggi: Cuore tedesco di Angelo Bolaffi (uscito da Donzelli nel 2013) e il nuovo Europa tedesca, Germania europea di Luigi Reitani (Salerno, pp. 104, e 7,90), in uscita il 17 settembre. Nell’altro gruppo porrei il saggio, molto documentato e illuminante, di Vladimiro Giacché, Anschluss. L’annessione: l’unificazione della Germania e il futuro dell’Europa (Imprimatur editore).

L’idea dominante di Reitani, il quale, come germanista, ha dedicato molte energie alla teoria e alla pratica della traduzione, è condensata in questa osservazione: «Prima ancora che economica, politica e sociale, la questione europea è oggi in primo luogo una questione culturale. Il vero problema dell’Unione non è il mantenimento del patto di Stabilità o l’alternativa tra una politica di contenimento della spesa pubblica e quella di un incentivo alla crescita, ma il superamento delle barriere che impediscono la reciproca comprensione». Il pensiero verso cui converge il libro di Bolaffi è: «Tocca ai tedeschi assumersi la responsabilità storica di salvare l’Europa, dopo averla affondata due volte in passato. Ed è necessario che esercitino con saggezza e lungimiranza l’egemonia che loro compete».

Merito rilevante del libro di Giacché è di aver ricostruito, con gli strumenti dell’analisi economica, le modalità dell’unificazione o meglio annessione dei Länder dell’ex Germania Est: deindustrializzazione dell’ex Ddr, perdita di posti di lavoro in quei Länder, emigrazione di massa verso Ovest. L’interrogativo, non allegro, che il libro ci propone è se non si stia assestando in modi analoghi l’attuale riunificazione «tedesca» dell’Europa .


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