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PAURA DELLA LIBERTA’: ANTROPOLOGIA E FILOSOFIA....

L’INGENS SYLVA E LA PAURA DELLA LIBERTA’: CARLO LEVI, NELL’ORIZZONTE DI VICO, BENJAMIN, ED ENZO PACI. Una nota - di Federico La Sala

(...) rileggere il ricco e complesso lavoro sociologico-politico (altro che "romanzo"!) di Carlo Levi, “Cristo si è fermato ad Eboli”
mercoledì 23 settembre 2015
[...] Noi oggi capiremmo ben poco di quelle pagine [cioè, di Paura della libertà] se non le collocassimo in un contesto complesso. Quando Levi stende le sue note in una sorta di finis terrae che potrebbe accomunarlo alla condizione di Benjamin, la scena del mondo è estremamente confusa. [...]
[...] mi parve che il libro contenesse già tutto quello che intendevo dire, e che non occorresse più squadernarlo esplicitamente. C’era una teoria del nazismo, anche se il nazismo non è una sola (...)

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> CARLO LEVI, NELL’ORIZZONTE DI... --- MATERA. Capitale cultura 2019 --- Il filo della città futura (di Pietro Laureano)

sabato 18 ottobre 2014

Tra i Sassi di Matera il filo della città futura

Diventati dopo gli Anni Cinquanta sinonimo di degrado sono in realtà un modello abitativo sostenibile e comunitario

di Pietro Laureano (La Stampa, 23/02/2014)

I Sassi di Matera furono completamente spopolati dagli abitanti, costretti a spostarsi in nuovi quartieri negli Anni Cinquanta e Sessanta, e le case grotta e il sistema di habitat trogloditico furono dichiarati una vergogna per la nazione italiana. L’intera comunità, con la sua identità e il suo passato, fu decretata inadeguata e posta ai margini della storia. Era estranea ai modi, ai tempi e alle necessità dello sviluppo - maschera del volto truce dell’emigrazione e della speculazione edilizia. Matera costituiva un modello scandaloso perché, basata sul risparmio delle risorse, sul continuo riciclo e sull’autoproduzione, era una minaccia per la società dei consumi.

Negli Anni Ottanta, dopo l’esodo urbano, matura la volontà di recupero, ma il dibattito oscilla tra la sacralizzazione estetica di un mondo perduto e le proposte di risanamento basate sulla concezione che si trattasse di adeguare miseri quartieri dismessi. Così i Sassi di Matera rischiavano o la museificazione, condannandoli al degrado per l’impossibilità di gestione, o un riuso realizzato tramite omologazioni distruttive con la progettazione di affacci, sventramenti e nuove volumetrie. L’unica soluzione possibile era il ritorno degli abitanti con interventi di restauro compatibili con la preservazione dei valori.

La cosa non era facile sia perché la gran parte dei cittadini di Matera non voleva riabitare i Sassi, ferita ancora aperta per il marchio subìto della vergogna e l’imposizione di nuovi modelli, sia perché, per stabilire codici di salvaguardia, è necessario prima interpretare i luoghi e stabilirne i valori e significati. Occorreva quindi compiere una nuova lettura e una nuova narrazione da far vivere nella memoria, negli interessi e nelle passioni dei cittadini; e anche sostenere le associazioni, gli appassionati e gli intellettuali già operanti in questa direzione con un’iniziativa che stimolasse la volontà e l’orgoglio della comunità; diffondere questa immagine come elemento di promozione e di riscatto culturale ed economico.

Tutto questo è stato ottenuto con l’iscrizione nella lista del patrimonio mondiale Unesco realizzata nel 1993 come primo sito del Sud dell’Italia. Il riconoscimento fu dovuto all’interpretazione del sistema geniale di gestione dell’acqua e dell’energia, dell’organizzazione sociale e comunitaria degli spazi e dei percorsi urbani, delle caratteristiche uniche del modo di abitare e di proteggere l’ecosistema come modello di sostenibilità per la città del futuro. L’iscrizione di Matera diede impulso, in Italia, a nuove candidature; a livello internazionale, all’apprezzamento delle località popolari e non auliche; e, sul piano teorico, all’evoluzione effettuata dall’Unesco della concezione del patrimonio dal monumento al paesaggio, alle conoscenze e alle persone che l’hanno prodotto.

Matera, abbarbicata sui gradoni scoscesi dell’altopiano calcareo delle Murge, lungo il bordo del profondo canyon della Gravina, ha una compenetrazione totale con il paesaggio: non è costruita sulle rocce, vi è scolpita; non è edificata, è scavata; non è realizzata con la pietra, è la pietra stessa. È il rovescio delle categorie consuete. Qui le antiche cronache recitano: «i morti sono sopra i vivi», perché, abitando il sottosuolo, si seppellisce sui giardini pensili posti al di sopra; le strade sono i tetti delle abitazioni sottostanti, e gli opposti coesistono: vuoto e pieno, antro e giardino pensile, luce e tenebra. Reliquia preistorica e ipotesi per futuri alternativi, Matera, come una divinità primordiale, pone interrogativi e sfide con l’enigma dei suoi labirinti di luce e i mille volti di pietra.

La scarsità delle risorse, la necessità di farne un uso appropriato e collettivo, l’economia della terra e dell’energia e la produzione e la gestione dell’acqua sono alla base della realizzazione dei Sassi di Matera. Sull’altopiano, scavati nella fragile roccia calcarea, sono ancora visibili i primi villaggi del Neolitico risalenti al VI millennio a.C. circondati da fossati organizzati con canalette e cisterne dalla perfetta forma a parabola, filtri e tumuli di pietra che, captando il vento, condensano l’umidità.

La linea tra il piano e il burrone è soglia simbolica e luogo fondamentale per la captazione delle acque. Seguendo gli strati del calcare tenero, si scavano cavità semiorizzontali su più piani sfruttando la parete verticale e i gradoni naturali della sponda del canyon. Durante le piogge, terrazzamenti proteggono i pendii dall’erosione e convogliano per gravità le acque nelle grotte. Nella stagione secca, le cavità aspirano l’umidità atmosferica che si condensa nella cisterna terminale degli ipogei. Lo scavo è effettuato con un’inclinazione precisa per permettere al sole in inverno, quando è più basso a mezzogiorno, di penetrare fino in fondo. In estate, il sole più vicino allo zenit colpisce solo gli ingressi delle grotte lasciandole fresche e umide. Il processo ha una funzione pratica, garantendo la climatizzazione costante, e un significato simbolico. L’unione del Sole con la Terra, attraverso la condensazione del vapore sulla roccia più fredda, crea il miracolo dell’acqua e della vita.

Nel tempo, sviluppando le originarie tecniche preistoriche, si realizza un sistema di habitat adattato e complesso. Con gli stessi blocchi di pietra ricavati scavando le grotte, sono fatti gli ambienti costruiti che chiudono a ferro di cavallo la radura terrazzata determinando uno spazio centrale protetto. Il modulo dell’abitazione è la volta a botte, il lamione, estroflessione delle stesse grotte che rimangono dietro le facciate costruite. Quelli che erano l’orto irrigato e l’aia pastorale davanti alle grotte si trasformano nella corte, luogo delle attività della famiglia allargata; l’insieme di affacci su spazi più grandi forma l’agglomerato principale delle relazioni sociali: il vicinato. Qui una grande cisterna comune raccoglie le acque che provengono ora dai tetti, mentre il gradone sovrastante si trasforma in giardino pensile. Le linee di scorrimento idrico divengono le scale e i percorsi del complesso urbano. La forma e la trama viaria assecondano la struttura e le asperità del terreno seguendo le linee di gravità per le necessità di raccolta e di gestione dell’acqua.

L’intera città sembra essere stata concepita non per un attraversamento rapido ma proprio per fermarsi, imbattersi in qualcuno, lasciarsi coinvolgere nei rapporti sociali e di vicinato. Ne risulta una struttura spaziale allo stesso tempo corporea e geometricamente rigorosa; una geometria non ortogonale e regolare, ma caotica e frammentata, non pianificata ma autoprodotta, non euclidea ma frattale. Semplici regole, iscritte nella natura e nella coscienza di ognuno, ripetendosi costantemente, determinano risultati sublimi.

Così, con l’applicazione pigra, lenta, costante e tenace dello stesso processo si attua l’intensificazione senza perdita di varietà e complessità. Si conciliano la cuspide e la curva, la regolarità e la sinuosità, il minerale e il biologico. È una geometria organica, la stessa preposta alla crescita di una foglia, allo sviluppo di una conchiglia e alla formazione dei fiocchi di neve, i cristalli, fino alle galassie. È la geometria organica espressa nelle incisioni di Cornelius Escher che in uno spazio limitato sa disegnare l’infinito e in un’architettura impossibile il ripetersi dell’eterno.

* Estratto dell’articolo dell’architetto e urbanista

Pietro Laureano, tratto dal n. 118

di Lettera Internazionale,

in libreria con il titolo

Corpo umano, corpo urbano


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