Abbiamo visto con il segretario della Cgil il film di Negrin sul padre del sindacalismo italiano e dirigente del Pci
Epifani: "Giuseppe Di Vittorio nostro maestro di solidarietà"
di SILVIA FUMAROLA *
"Tutti i valori della Cgil di oggi risiedono nelle scelte di Giuseppe Di Vittorio, aveva la capacità di fare progetto e stare in mezzo alle persone. Ecco, questo senso della solidarietà a me pare importante in una società sempre più egoista". Il segretario della Cgil Guglielmo Epifani è il primo spettatore entusiasta di "una storia che ci riguarda tutti. Pane e libertà è emozionante".
Nel suo studio affacciato su Villa Borghese è appeso il ritratto dipinto da Carlo Levi del "compagno sbagliato" Giuseppe Di Vittorio, il padre del sindacato che conosceva a memoria le poesie di Leopardi e si oppose a Togliatti. "Ce n’è anche un altro, ma a Di Vittorio non piaceva: sembrava che la cravatta lo strozzasse".
Nelle prime scene di Pane e libertà, la fiction di Alberto Negrin dedicata alla vita di Di Vittorio (domenica e lunedì su RaiUno), sembra che il Quarto Stato, il quadro di Pellizza da Volpedo, prenda vita. Nei giorni della crisi, in pieno braccio di ferro col governo sui licenziamenti, è di grande attualità: sarà presentato domani alla Camera, su invito di Gianfranco Fini (alla presenza di Baldina Di Vittorio e Silvia Berti, figlia e nipote di Di Vittorio), mentre venerdì Epifani sarà ricevuto dal presidente della Repubblica Napolitano.
"Le parole ti insegnano la dignità, e se uno tiene la dignità tiene anche il rispetto" dice Peppino Di Vittorio. Per comprare il libro "con le parole del mondo", che costa tre soldi, dà in cambio le scarpe; ha visto morire il padre sui campi, anche lui, che è solo un bambino, lavora "da sole a sole". Nelle pagine di quel dizionario troverà le parole per spiegare che "nessuno dovrà più morire di lavoro". I cafoni combattono per due gocce di olio sul pane e l’acqua; il barone che li sfrutta non cede: "Dovranno imparare che il padrone può sempre resistere un giorno di più di un qualsiasi cafone". Il lavoro continua a uccidere nelle fabbriche e nei cantieri, in tempi di antipolitica la battaglia per i diritti di Di Vittorio, nato a Cerignola nel 1892 - nelle case di mezza Puglia c’era la sua immagine accanto a quella della Madonna - è una lezione morale.
Epifani riflette a voce alta: "È una lezione anche la scena in cui si presenta in Parlamento, perché ha rispetto del luogo che lo ospita. Pierfrancesco Favino è bravissimo e ha una faccia vera, restituisce tutta la fatica e la passione. La fiction racconta com’è nato il sindacato, le condizioni disumane dei lavoratori, l’arroganza dei proprietari terrieri. La nuova generazione non è cosciente del fatto che i diritti sono stati conquistati a costo di sacrifici enormi".
La figura di Di Vittorio è epica: autodidatta, un solo cappotto tutta la vita, guida i contadini pugliesi, si lega ai socialisti, è vittima dei fascisti, conosce la galera, combatte in Spagna. "Ci sono tanti mondi nel racconto della sua vita" continua Epifani "lo sfruttamento e il riscatto, gli ideali e la sconfitta: c’è la politica e il privato, Dickens e De Amicis. È l’ultimo a fianco degli ultimi, non dimenticherà mai da dove viene". Un uomo forte come un albero, con la faccia larga, che recita A Silvia al figlio malato e risponde al barone in Parlamento ("Pure i cafoni vengono qui"): "Questo titolo mi onora. Se sono qui lo devo ai miei braccianti analfabeti che hanno mangiato pane e olio. Il padrone è uguale dappertutto".
Epifani annuisce: "I braccianti di oggi sono gli emigrati sfruttati nel Sud, calpestati nella dignità e nei diritti... C’è ancora da fare".
Di Vittorio dice: "Quando i lavoratori si dividono perdono sempre".
"È così", sospira il segretario della Cgil "la tecnica, da parte del governo, è sempre la stessa, dividendo può gestire meglio".
In una scena Togliatti rimprovera il sindacalista ("Non farti condizionare dai sentimenti"), e nel 1956 Di Vittorio viene censurato perché contesta l’invasione dell’Ungheria: "Si sta con il partito anche quando questo sbaglia".
È così, Epifani? "Quello era il grande partito-chiesa che aveva il primato della verità, è una stagione che non c’è più, perché non c’è più quel partito".
Cos’è rimasto della lezione di Di Vittorio? "I suoi valori sono i nostri. Di Vittorio è stato il grande difensore degli sfruttati, ha ridato voce agli esclusi. La memoria è un valore, siamo molto contenti che la Rai abbia accettato di farlo conoscere. È la prova di quello che può fare la tv pubblica: se ne dice sempre male, ma sa parlare alle generazioni future".