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ERMETISMO ED ECUMENISMO RINASCIMENTALE, OGGI: INCONTRO DI PAPA FRANCESCO E BARTOLOMEO I A ISTANBUL. Un’intervista a John Chryssavgis di Chiara Santomiero -a c. di Federico La Sala

CATTOLICI ED ORTODOSSI. Un evento storico, ha definito lo stesso patriarca ecumenico Bartolomeo I, la visita di papa Francesco in Turchia (...) la prosecuzione del cammino di amichevoli rapporti tra le due chiese e un buon auspicio per il futuro del completo ristabilimento dell’unità.
domenica 21 dicembre 2014
[...] Il Grande Concilio del 2016 radunerà per la prima volta i rappresentanti di tutte le quattordici chiese autocefale ortodosse. La convocazione stessa di un grande concilio generale è di fatto senza precedenti, perché l’incontro sarà molto più rappresentativo di qualsiasi altro concilio mai convocato in passato. Uno degli argomenti più importanti che verrà affrontato nel Grande Sinodo sarà il rapporto tra la cristianità ortodossa e le altre confessioni cristiane, così come con le altre (...)

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> ERMETISMO ED ECUMENISMO RINASCIMENTALE, OGGI --- Quando giunge a Nicea... La stauroteca di Costanza. A Valencia, sulle tracce della figlia devota di Federico II (di Giuseppe Perta).

sabato 2 luglio 2022

A Valencia, sulle tracce della figlia devota di Federico II

La stauroteca di Costanza

di di Giuseppe Perta *

Il museo della Cattedrale di Valencia, attiguo alla cappella del Santo Caliz, si presenta al visitatore come un raggiante scrigno di reliquie cristologiche. Tra queste, trova spazio una stauroteca d’argento dorata di fattura neogotica, gemmata di preziosi coevi risalente al quindicesimo secolo e contenente un frammento della Vera Croce arrivato per mano di una donna di stirpe imperiale.

Costanza di Staufen, figlia di Federico II e sorella di re Manfredi, giunse in Spagna dopo un lungo girovagare che l’aveva vista protagonista della politica mediterranea sin da bambina, quando, suo malgrado, il padre la diede in sposa all’imperatore di Nicea, Giovanni III Ducas Vatatze. Nicea (l’odierna Iznik) era un’antica città anatolica posta a breve distanza dalla costa orientale del Mar di Marmara, a poche giornate di cammino da Costantinopoli e nota per aver ospitato il primo concilio ecumenico cristiano. Nel momento in cui la capitale dell’impero bizantino cadde nelle mani dei Latini, dopo la Quarta Crociata (1204), Nicea divenne fulcro dell’impero residuo, dove si raccolsero i rifugiati greci al seguito di Giovanni il "Misericordioso".

Costanza nacque nel 1231, figlia inizialmente illegittima dello stupor mundi e di Bianca Lancia. Ha dieci anni appena quando s’imbarca dalla Puglia per giungere in Asia Minore. Le circostanze che portano lo Svevo a usarla come pedina, nella complessa partita a scacchi che si va giocando nel quadrante levantino, appaiono piuttosto chiare. Giovanni Vatatze continuava a fregiarsi del titolo di "basileus dei Romani". Dopo aver combattuto Baldovino II di Costantinopoli, che era a capo di quell’impero latino spalleggiato, per mezzo secolo, dalla Chiesa di Roma, Vatatze stava ponendo le basi alla riconquista degli Stretti quando, venuta a mancare la prima moglie, incontrò nell’Hohenstaufen un alleato perfetto contro i nemici comuni, personificati da Gregorio IX e da Giovanni di Brienne, suocero dello stesso Federico, che si era messo a capo delle truppe pontificie con l’obiettivo di occupare l’Italia meridionale. Federico, a sua volta, aveva fatto saltare il banco dei suoi accordi prematrimoniali, partendo, dopo tante esitazioni, verso l’Oltremare crociato con l’obiettivo di occupare il trono di Gerusalemme. La politica antipapista di Federico aveva determinato le scelte. E poco importa che il cobelligerante fosse un bizantino scismatico, anzi! L’imperatore svevo finì per appoggiare ogni tentativo niceno di riconquista del Corno d’Oro, anche se il Vatatze non ne trasse nulla di concreto, se non la mano dell’appena adolescente Costanza. Visto da parte guelfa, l’accordo matrimoniale non poteva far altro che rimarcare i contorni dell’oppositore della Chiesa, disposto a scendere a patti con un "eretico", nemico dei Latini di Costantinopoli.

Fu in occasione delle nozze, tenutesi tra il 1240 e il 1241, che la figlia del puer Apuliae dovette assumere, rinunciando al proprio, il nome di Anna, più consono alla corte bizantina perché si prestava meglio ad un culto anche orientale. Ecco perché è conosciuta anche - si fa per dire, perché la letteratura su di lei è assai scarna - come Anna di Nicea o come Costanza Augusta.

I racconti sul legame tra Giovanni III e Costanza di Staufen sono per il vero relativi a una avvenente dama della corte sveva al seguito, che le fonti latine designano concordemente con il nome di "Marchesina", la quale, questa sì, finì per catalizzare le attenzioni dell’anziano basileus. La favorita dell’imperatore si guadagnò, come da topos letterario, sia i privilegi di una prima donna a corte, sia le rimostranze di chi, come il patriarca e alcuni religiosi di primo piano - tra i quali l’inflessibile Niceforo Blemmide - , manifestò ferma indignazione per lo scandalo.

La vexata quaestio, com’era facile prevedere, non turbò le notti di Federico II , che in una lettera del 1250 si rivolge al Vatatze in termini persino, almeno formalmente, affettuosi, informandolo pure delle vittorie in Italia meridionale, sicuro che la notizia potesse rallegrare suo genero. Ma nel gioco politico diplomatico di quegli anni - forse non troppo diversamente da quanto avviene oggi - gli scenari cambiavano in fretta. E la diplomazia pontificia, nonostante la persistenza dello Scisma che datava ormai due secoli, cominciava a tessere le trame di un riavvicinamento con Nicea. Tali trame irritarono Federico, il quale non perse l’occasione di lamentarsene in lettere dove mai una parola, tuttavia, fu dedicata alla sua Costanza/Anna.
-  La morte dello Stupor mundi fece il resto, mettendo la pietra tombale sull’alleanza svevo-greca, con tutte le conseguenze del caso per Costanza. Allorché morì pure il marito, e gli successe Teodoro Lascaris, la matrigna Costanza divenne ostaggio della corte bizantina, per quanto prezioso questo ostaggio fosse in termini di spendibilità e di onorabilità. Prezioso al punto che, quando Michele Paleologo usurpò il trono, egli tentò di legittimare la sua posizione per mezzo di lei. Ma la ferma opposizione di sua moglie Teodora e la risolutezza del patriarca di Costantinopoli, che si disse pronto a emettere la scomunica, lo fecero tornare sui suoi passi. Allora Costanza si rivelò un’ottima pedina di scambio, poiché Alessio Strategopulo, generale niceno, finì, nel frattempo, nelle mani di suo fratello Manfredi.

Costanza ritornò in Italia meridionale dopo più di vent’anni. Correva l’anno 1262. O forse era già il ’63. Poco importa. Non era comunque un buon momento. In seguito alla discesa degli Angioini nel Mezzogiorno, alla battaglia di Benevento (1266), alla fuga dalla roccaforte saracena di Lucera e alla morte del re, Costanza - che, in quanto donna, riuscì a evitare il peggio - si ritirò presso la corte dell’omonima nipote, sposa di Pietro d’Aragona. Non aveva neanche quarant’anni, ma già, alle spalle, un’esistenza densa di angosce e tumulti, neanche paragonabile alla quiete che l’avrebbe attorniata nei quarant’anni e più che ancora le rimanevano nel Levante iberico, dove visse fino al 1313.

A Valencia, l’Augusta portava in dote dall’Oriente cristiano non soltanto possedimenti e città la cui rendita complessiva si aggirava attorno ai trentamila bisanti, ma anche due oggetti di grande venerazione, che ancora si conservano nella città alla foce del Turia: una reliquia di santa Barbara e un frammento della Vera Croce.

Della vergine di Nicomedia, decapitata dal proprio padre, secondo un’agiografia che raggiunse in Occidente l’apice della sua diffusione tra XIV e XV secolo, Costanza condusse a Valencia una pietra dalla quale sarebbe sgorgata l’acqua che Barbara utilizzò per il proprio battesimo. La reliquia si conserva tutt’oggi nella chiesa di San Juan de l’Hopital. E, nella stessa chiesa, la cappella di Santa Barbara, ristrutturata in un barocco di un’esuberanza tutta iberica, fa posto a un’urna lignea ottocentesca sulla quale campeggia l’iscrizione: «Aquì yaçe D.a Constança Augusta Emperatriz de Grecia».

Il più insigne lascito di questa Costanza - meno nota rispetto alle due celebrate da Dante: la nonna paterna, «quella gran Costanza» che merita un posto in Paradiso, e la pronipote di quest’ultima, «genitrice dell’onor di Cicilia e d’Aragona», di cui si è detto - è forse in una disposizione testamentaria lasciata per mano del manomissore Enrico di Quintavalle e oggi conservata nell’Archivio cattedrale. Dopo essere passato pro tempore nelle mani dell’arcivescovo di Toledo, nel 1326 il Lignum Crucis di Costanza va ad arricchire un Tesoro che poteva vantare già una Sacra Spina donata da san Luigi IX. Si può provare a ipotizzare il percorso della reliquia che, dopo l’inventio eleniana, aveva visto circolare le sue particelle a partire proprio da Costantinopoli, dove la Vera Croce era stata messa al sicuro da Eraclio, che l’aveva recuperata al persiano Cosroe. I secoli XI-XIII furono un periodo di grande espansione del culto della Vera Croce, e la dispersione di molti suoi frammenti, come di tante altre reliquie sottratte da Costantinopoli in occasione della Quarta Crociata, non fecero che alimentarne la venerazione

Più volte scomunicati, visti nel Risorgimento come campioni anticlericali del laicismo, il padre Federico e il fratello Manfredi erano, in realtà, non antesignani della modernità ma semplicemente uomini del loro tempo, e pure uomini particolarmente devoti, non insensibili alla religiosità mistica che si andava diffondendo. Come sovrani cristiani, erano ben consapevoli della loro missione nel mondo (basti leggere due bei volumi appena pubblicati: F. Delle Donne Federico II e la crociata della pace (Roma, Carocci, 2022) e P. Grillo, Manfredi di Svevia. Erede dell’imperatore, nemico del papa, prigioniero del suo mito (Roma, Salerno, 2022). Donna dei suoi tempi, similmente, Costanza è un esempio di devozione, in senso lato. Quando giunge a Nicea - dove la particella della Croce era giunta da Costantinopoli - trova un segno prezioso della misericordia divina, e vi si aggrappa, portandola con sé nel suo lungo peregrinare.

* di Giuseppe Perta
-  Docente di Storia medievale, Università degli Studi di Napoli Suor Orsola Benincasa

-  Fonte: L’Osservatore Romano, 02 luglio 2022


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