Vuoi capire la Relatività?
Un buon inizio è spiare Mercurio
di Vincenzo Barone (La Stampa - TuttoScienze, 18.11.2015)
«Il fine della scienza - diceva Einstein - è, da una parte, la comprensione più completa possibile della connessione fra le esperienze sensoriali, dall’altra il raggiungimento di questo fine mediante l’uso di un numero minimo di concetti e di relazioni primarie». La Relatività generale rappresenta la realizzazione concreta di questo programma, scientifico e filosofico al tempo stesso.
La teoria è infatti strutturata analiticamente attorno a un principio universale, il principio di relatività generale, il quale stabilisce che le leggi fisiche debbano essere le stesse per tutti gli osservatori, qualunque sia il loro moto (cioè, matematicamente, che debbano avere la stessa forma in tutti i sistemi di coordinate spazio-temporali). L’equazione fondamentale - l’equazione del campo gravitazionale -, che descrive la gravità come curvatura dello spazio-tempo in presenza di masse e di sorgenti di energia, è la più semplice equazione compatibile con il principio di relatività. Si è quindi di fronte a un vero capolavoro di unità concettuale e di economia logica. Ma questa meravigliosa, e insuperata, eleganza formale non deve far dimenticare che la Relatività generale è sostenuta da un’enorme mole di evidenze sperimentali - ed è per questo, in definitiva, che la riteniamo valida.
La prima conferma empirica della teoria fu trovata dallo stesso Einstein, e presentata all’Accademia prussiana delle Scienze il 18 novembre 1915. Einstein decise di leggere personalmente quella comunicazione, perché conteneva un risultato di grande importanza, che lo aveva convinto della correttezza dell’edificio teorico che stava costruendo. Il risultato riguardava la rotazione dell’asse orbitale di Mercurio, con il conseguente spostamento del suo perielio. Questo fenomeno era noto fin dall’Ottocento ed era in larga misura spiegabile con l’attrazione degli altri pianeti. Ma rimaneva un piccolissimo scarto, di poco più di un centesimo di grado al secolo, che la teoria newtoniana non era in grado di spiegare: la Relatività generale riproduceva esattamente tale valore. Einstein raccontò di aver avuto le palpitazioni al cuore ottenendo quel risultato: «Ero fuori di me per la gioia e l’eccitazione», scrisse in seguito all’amico Paul Ehrenfest.
Un altro test cruciale della teoria, proposto da Einstein nella stessa conferenza del 18 novembre, è la deflessione gravitazionale della luce. Il Sole incurva lo spazio circostante e fa sì che i raggi luminosi provenienti da stelle lontane e passanti in prossimità della sua superficie siano deviati di un angolo piccolissimo. Lo si può verificare osservando la posizione apparente delle stelle attorno al Sole durante un’eclissi totale, quando l’intensa luce solare, che impedirebbe la loro visione, è schermata dalla Luna. Einstein predisse l’angolo di deflessione, ma per osservare l’effetto si dovette aspettare l’eclissi totale del 1919. La misura, sebbene non precisissima, risultò in accordo con la predizione relativistica, decretando così l’affermazione della teoria (e la fama mondiale di Einstein). Oggigiorno, la deflessione gravitazionale delle onde radio, che sono onde elettromagnetiche come la luce, è confermata con una precisione di gran lunga superiore.
Il terzo test della Relatività generale che Einstein immaginò è lo spostamento gravitazionale verso il rosso, cioè la diminuzione della frequenza della luce (il rosso, nello spettro visibile, corrisponde alla frequenza più bassa) che risale un campo gravitazionale - qualcosa di analogo a ciò che accade a un corpo che, muovendosi verso l’alto nel campo gravitazionale terrestre, perde velocità. Einstein non ebbe la soddisfazione di assistere alla conferma di questo effetto, che fu osservato solo nel 1960, cinque anni dopo la sua morte.
Allo spostamento verso il rosso è connesso un altro sorprendente fenomeno: un orologio soggetto a un campo gravitazionale rallenta. Sulla Terra, per esempio, un orologio posto in basso (a livello del mare, diciamo), dove la gravità è più intensa, va più lento di un orologio posto in alto (in montagna). L’effetto è molto piccolo e per verificarlo si è dovuto aspettare l’avvento degli orologi atomici.
Nel 1976, in uno degli esperimenti più importanti nella storia della relatività generale, i torinesi Luigi Briatore e Sigfrido Leschiutta confrontarono i tempi misurati da due orologi al cesio, uno a Torino (250 metri di altitudine), l’altro sul Plateau Rosa (3500 metri), trovando una differenza di circa 30 nanosecondi al giorno, in ottimo accordo con la teoria einsteiniana.
Gli ultimi prototipi di orologi atomici sono talmente accurati (sbagliano di non più di un secondo ogni 10 miliardi di anni - pressappoco l’età dell’Universo) da permettere di osservare il rallentamento gravitazionale del tempo su dislivelli di appena qualche decina di centimetri: in pratica, si è arrivati al punto di evidenziare la minuscola differenza tra il tempo misurato da un orologio sul pavimento e quello misurato da un orologio su un tavolo.
Fin dall’inizio, 100 anni fa, la Relatività generale apparve come un capolavoro di bellezza teorica. Ma nessuno, neanche Einstein, poteva immaginare che le sue verifiche osservative e sperimentali avrebbero raggiunto un tale grado di precisione. Quello che la teoria einsteiniana celebra sotto i nostri occhi è dunque uno straordinario connubio tra vero e bello, che non smetterà mai di incantarci.