CORPO CELESTE. Memoria e conversazione (storia di un piccolo libro)
di Anna Maria Ortese *
Col nome di corpi celesti venivano indicati, nei testi scolastici di anni lontanissimi, tutti quegli oggetti che riempiono lo spazio intorno alla Terra. E anche il nome oggetto, riferendosi a quello spazio, allora incontaminato, purissimo, si colorava pallidamente di azzurro. Noi - che sfogliavamo quei testi e ammiravamo quelle carte della volta celeste - eravamo invece sulla Terra, che non era un corpo celeste, ma era data come una palla scura, terrosa, niente affatto aerea.
Perciò, durante tutta una vita, poteva accadere che, guardando di sera, nella luce tranquilla della campagna, quel vasto spazio sopra di noi, pensassimo vagamente: «Oh, potessimo anche noi trovarci lassù!». Le leggende e i testi scolastici parlavano di quello spazio azzurro e di quei corpi celesti quasi come di un sovramondo. Agli abitanti della Terra essi aprivano tacitamente le grandi mappe dei sogni, svegliavano un confuso senso di colpevolezza. Mai avremmo conosciuto da vicino un corpo celeste! Non eravamo degni!, pensava l’anonimo studente.
Invece, su un corpo celeste, su un oggetto azzurro collocato nello spazio, proveniente da lontano, o immobile in quel punto (cosi sembrava) da epoche immemorabili, vivevamo anche noi: corpo celeste, o oggetto del sovramondo, era anche la Terra, una volta sollevato delicatamente quel cartellino col nome di pianeta Terra. Eravamo quel sovramondo.
Quando ho compreso questo, non subito, a poco a poco, nel continuo terremoto del cresce,ell’amarezza di scoperte inattese (della infelicità, del passare delle cose), sono stata presa da un senso di meraviglia, di emozione indicibile. L’emozione si faceva reverenza, diveniva la sorpresa e la gioia di una più grande scoperta, quella di un destino impareggiabile. Mi trovavo anche io sulla Terra, nello spazio, e il mio destino non era molto dissimile da quello degli oggetti e corpi celesti tanto seguiti e ammirati. Dove avrebbe portato non sapevo: forse su, forse giù, forse nel buio, forse nella luce.
Una cosa era certa, era nozione ormai incancellabile: tutto il mondo era quel sovramondo. Anche la Terra e il paese dove abitavo; e la collocazione, o vera patria di tutti, era quel sovramondo!
* Anna Maria Ortese, Corpo Celeste, Adelphi, Milano 1997.