Serve un’enorme immaginazione per figurarsi il mondo
Il lato oscuro dell’universo
di Michela Dall’Aglio (Doppiozero, 13.03,2019)
L’oscurità ha un fascino innegabile. Nell’oscurità si entra con timore ed eccitazione per scoprire un mistero, per sapere e capire. Paradossalmente ci spinge ad avventurarci nelle tenebre il desiderio di farvi luce. E quando, alla fine, l’enigma si scioglie, insieme all’entusiasmo c’è la preoccupazione che ormai tutto sia noto e non rimanga più niente da scoprire. L’universo se ne ride della nostra ingenuità presuntuosa e quando siamo tentati di pensare di averne quasi capito ogni cosa, ci rilancia una sfida. Emblematico esempio è l’affermazione attribuita a lord Kelvin, fisico tra i più eminenti del secolo scorso, il quale, attorno al 1900, quando si riteneva che l’elettromagnetismo e la fisica newtoniana potessero spiegare tutta la realtà, sentenziò: «Non c’è più nulla da scoprire in fisica, resta solo da fare misure sempre più precise». E dopo soli cinque anni Albert Einstein pubblicò la teoria della relatività ristretta e nel 1915 quella della relatività generale rivoluzionando completamente la cosmologia.
Da allora gli scienziati si sono fatti più prudenti e, nonostante le straordinarie scoperte degli ultimi decenni attorno alla natura intrinseca della realtà e alle dinamiche del cosmo, nessuno ha avuto l’ardire di esprimersi con la sicumera di lord Kelvin. E giustamente, perché ultimamente sull’orizzonte della scienza si sono affacciate due grandi nuove entità, ancora ben lungi dall’essere chiarite. La prima è la materia oscura (dark matter), espressione dal duplice significato che ben le si attaglia: si tratta, infatti, di un argomento oscuro, perché complesso e ancora ignoto, e, allo stesso tempo, di una sostanza oscura, perché non riflettendo la luce è assolutamente inosservabile, ma produce degli effetti sulla materia visibile. La seconda, ancora più misteriosa della prima, è l’energia oscura, una forza della cui esistenza gli scienziati hanno prova certa, però non ne sanno assolutamente nulla. A causa loro l’universo, che ormai ci sembrava quasi a portata di mano (almeno intellettualmente), c’è sfuggito di nuovo.
Il tema, benché non proprio elementare, è intrigante anche per i profani e sono usciti di recente molti libri che ne trattano. Tra questi ne segnalo due in particolare. Il primo, L’altra faccia dell’universo (il Mulino) è scritto da Luca Amendola, docente di Fisica Teorica in Germania presso l’Università di Heidelberg. In esso l’autore vuole raccontare lo stato attuale delle conoscenze in materia spiegando anche come sono state acquisite e quali prospettive teoriche e applicazioni pratiche ne possano derivare. Del secondo, L’universo oscuro (Carocci), è autore Andrea Cimatti, professore di Fisica e Astronomia all’Università di Bologna. Egli intende «offrire a un pubblico di non esperti un quadro introduttivo e aggiornato sulle attuali conoscenze dell’universo», o meglio sarebbe dire, come subito precisa, sulle attuali non conoscenze. Si tratta di due saggi brevi che grazie alle competenze degli autori e alla loro scrittura chiara e divulgativa interessano certamente a fisici e cosmologi, però sanno catturare l’attenzione anche di chi è semplicemente curioso di sapere qualcosa dell’incredibile realtà in cui siamo immersi.
Se la materia oscura non emette né assorbe radiazione elettromagnetica (luce) ed è perciò totalmente invisibile agli occhi e agli strumenti, come mai si è arrivati a immaginarne e poi a provarne l’esistenza, per di più senza sapere di che cosa sia fatta? Il primo scienziato a parlarne, negli anni Trenta del secolo scorso, fu il fisico svizzero Fritz Zwicky, il quale fu anche il primo ad analizzare il moto delle galassie anziché quello delle singole stelle. Per effetto dell’attrazione gravitazionale, le galassie tendono a raccogliersi in ammassi più grandi «muovendosi come molecole in un gas» (Amendola).
Studiando il moto dell’ammasso di galassie chiamato Chioma di Berenice, Zwicky giunse a un risultato che definì - con un certo aplomb, va detto - «piuttosto inaspettato»: la massa necessaria a tenere insieme le galassie nell’ammasso doveva essere di circa centocinquanta volte maggiore di quella rappresentata dalle stelle visibili. Diversi anni dopo, nel 1974, grazie a nuovi strumenti, in particolare al telescopio di Mount Palomar in California, Vera Rubin, astronoma americana la cui famiglia era originaria dell’Europa dell’Est, osservando il moto di altre galassie a spirale come la nostra, notò che le stelle esterne «ruotavano molto più velocemente di quanto predetto dalla legge kepleriana, come se fosse presente molta più massa di quella visibile nel bulge», cioè nel massiccio rigonfiamento che sta al centro delle galassie (Amendola). Trovò così una prima importante conferma l’osservazione di Zwicky, e a partire dagli anni ’80 del secolo scorso un numero crescente di scienziati si convinse della sua esistenza, fino ad arrivare all’odierna quasi unanimità.
Si stanno facendo diverse ipotesi su cosa sia la materia oscura, ancora nessuna sufficientemente testata. Ad ogni modo, si sa che «le galassie sono distribuite in una struttura che assomiglia a una ragnatela cosmica», afferma Andrea Cimatti, che assomiglia molto alle reti neuronali del cervello - il che non significa niente, ma è molto suggestivo. Le galassie e gli ammassi di galassie si trovano al centro di una immane sfera di materia oscura, il cui compito potrebbe essere proprio quello di tenerle insieme impedendone la disgregazione. «La nostra visione un po’ naïve di un universo composto da oggetti luminosi - avverte - viene quindi stravolta... gli oggetti luminosi sono solo punte di iceberg che nascondono grandi quantità di materia non direttamente osservabili».
Nell’universo, la materia ordinaria, composta di particelle note, rappresenta circa il 5% della materia esistente; quella oscura, dotata di massa ma invisibile, ne rappresenta circa il 25%. E il restante 70% cos’è? Energia oscura, rispondono gli scienziati. Qualcosa di ancora più grande e misterioso della materia oscura. Se ne cominciò a ragionare diversi anni fa quando, in seguito alle osservazioni di Georges Lemaître, Edwin Hubble e altri, si comprese che l’universo, fino ad allora considerato statico, si sta espandendo e da circa cinque miliardi di anni lo sta facendo a una velocità crescente e francamente impressionante: le misure attuali, precisa Andrea Cimatti, parlano di un’espansione di 70 km al secondo per ogni megaparsec (un Mpc=3,086x1019km, cifra incomprensibile per i più ma utile per farci un’idea dell’immensità dell’universo!). Per spiegare l’espansione accelerata, attraverso calcoli e considerazioni che sia Amendola che Cimatti riferiscono con dovizia di particolari, si è arrivati a postulare l’esistenza di una forza repulsiva che, come in un gioco alla fune, contrasta la forza di gravità causando un’accelerazione dell’espansione e impedendo che «quattordici miliardi di anni dopo la sua nascita, l’universo non [sia] né svuotato né collassato» (Amendola). E questa potrebbe essere una risposta parziale, ma comunque soddisfacente alla domanda: a cosa serve l’energia oscura.
Se ci si chiede, invece, cosa sia, il buio è assoluto: la natura di questa componente determinante e maggioritaria dell’universo per ora è del tutto ignota. Tra le ipotesi fatte è che possa essere l’energia intrinseca dello spazio vuoto, il quale non è, come si tende ancora a pensare tra profani, uno spazio senza niente dentro. Infatti, anche togliendo da una porzione di spazio particelle, radiazioni e campi elettromagnetici e gravitazionali, quello che resta è comunque uno spazio quantistico in cui particelle e antiparticelle virtuali - un tipo di particelle dalle caratteristiche peculiari - fluttuano vorticosamente annichilendosi istantaneamente; «l’energia collettiva di queste particelle è chiamata energia del vuoto» (Cimatti). Dunque, in realtà, in natura il vuoto assoluto non esiste. Quello che chiamiamo così è il vuoto quantistico, ed è pieno di particelle e di campi (manifestazioni diverse di una stessa realtà materiale) che vibrano, si muovono velocissime, interagiscono, scompaiono o si trasformano.
Ed è interessante notare, senza spingerci oltre in una materia che si fa decisamente difficile, come scrutare il cosmo infinitamente grande sia possibile soltanto attraverso la conoscenza dell’infinitamente piccolo, ossia della costituzione fondamentale della materia. Di questo si occupa la meccanica quantistica che, mostrando la trama del tessuto di cui è fatto il mondo, rivela una realtà completamente diversa da quella percepita dai sensi, governata da leggi surreali, controintuitive, che contraddicono la nostra esperienza o ne esulano. Gli scienziati considerano la meccanica quantistica una stupenda descrizione del funzionamento di ogni cosa; per quanto ancora nessuno sia in grado di dire esattamente perché, essa funziona talmente bene che le sue applicazioni pratiche -trasmissioni satellitari, internet, computer e medicina nucleare - hanno cambiato radicalmente la nostra vita.
Insomma, l’universo è un luogo molto strano e siamo ben lontani dall’averne chiariti i misteri. Soprattutto quello che Albert Einstein considerava il più grande di tutti, l’unico vero mistero dell’universo: la sua comprensibilità. Come mai la mente dell’uomo lo capisce e lo può descrivere perfettamente con la matematica? Qualcuno tra gli scienziati più inclini alla poesia, suggerisce che l’essere umano stia all’universo come la mente sta al corpo; in questa prospettiva potremmo essere l’autocoscienza di sé dell’universo. Chissà se lo sapremo mai. Certo è che, come disse il grande fisico Richard Feynmann, «serve un’enorme immaginazione per figurarsi com’è fatto davvero il mondo» (Le battute memorabili di Feynman, Adelphi).
Sul tema, nel sito, si cfr.:
LA LUCE, LA TERRA, E LA LINEA DELLA BELLEZZA: LA MENTE ACCOGLIENTE. "Note per una epistemologia genesica"
Federico La Sala