ROVELLI - i quanti, l’epistemologia e l’interdisciplinarietà
di Giorgio Mattana *
“E pensare che oggi qualcuno vede scienze naturali, scienze umane e letteratura come ambiti impermeabili l’uno all’altro ...” (p. 127). Helgoland è un appassionante libretto in cui il fisico Carlo Rovelli espone con leggerezza, adottando la forma del racconto scientifico-filosofico, la sua interpretazione “relazionale” della meccanica quantistica, nonché la visione del mondo a suo avviso più coerente con essa. Nel 1925 il giovane Werner Heisenberg, sulla sperduta isoletta del Mare del Nord Helgoland, detta anche Isola Sacra, in una sorta di ritiro spirituale, concepisce la teoria dei quanti. A definirne il formalismo matematico contribuiranno altri giovani scienziati: Pascual Jordan, Paul Dirac e Wolfgang Pauli. Max Born, quarantenne, è il più anziano del gruppo. Alcuni la chiamano “la fisica dei ragazzi”, ma è una svolta epocale. Si uniranno poi all’impresa Ervin Schrödinger, Louis de Broglie e altri. Padri spirituali ne sono a vario titolo Max Planck, con la sua fondamentale costante, Niels Bohr con il suo modello dell’atomo, e Albert Einstein, che peraltro non ne accetta le implicazioni indeterministiche, con l’idea dei “quanti” di energia.
La teoria dà conto in modo mirabile di una serie di sconcertanti risultati sperimentali che tormentavano i fisici del primo Novecento, ma scuote al tempo stesso dalle fondamenta l’immagine scientifica del mondo. Ancora più della relatività generale di Einstein, che modificava radicalmente la concezione dello spazio e del tempo della meccanica newtoniana e del senso comune, rendendoli dipendenti da masse e movimenti e fra loro inscindibilmente interconnessi.
Il principio di indeterminazione di Heisenberg, che stabilisce l’impossibilità di accertare contemporaneamente la posizione e la velocità di un elettrone, variabili che nel mondo macroscopico permettono di calcolare la traiettoria di ogni corpo in movimento, sfidava le basi della fisica classica, nella quale Rovelli sembra a tratti includere la stessa relatività, al fine di sottolineare la sconvolgente novità dell’immagine della natura riflessa dalla meccanica quantistica.
La peculiarità del testo non risiede tuttavia nella brillante esposizione dei caposaldi della teoria, già oggetto di numerose trattazioni divulgative incluse quelle dello stesso Rovelli, ma nell’illustrazione della sua interpretazione “relazionale” e delle sue più significative ricadute filosofiche e interdisciplinari. Il principio di indeterminazione, la misteriosa costante di Planck, l’effetto fotoelettrico, la sovrapposizione quantistica illustrata dall’apologo di Schrödinger del gatto sveglio/addormentato, che Rovelli sostituisce a quello vivo/morto, lo sconcertante fenomeno dell’entanglement, per cui due particelle venute a contatto nel passato mantengono una sorta di legame reciproco anche a migliaia di chilometri di distanza, ci fanno gettare lo sguardo su un abisso dove la realtà ordinariamente intesa scompare. Il mondo della fisica classica, erede del meccanicismo settecentesco, fatto di materia e movimento, viene soppiantato da un mondo di relazioni e di eventi che prende forma dalle fondamentali intuizioni di Heinsenberg sulla fisica degli “osservabili”.
Perché cercare di capire cosa fa l’elettrone, e con esso tutte le altre particelle della fisica subatomica, quando non lo osserviamo? E se l’elettrone non seguisse alcuna orbita? E se prendesse forma, assumesse questa o quella caratteristica, per esempio emettere luce, solo nell’interazione con noi? Quello che si profila è un radicale mutamento di paradigma scientifico-filosofico, una nuova visione della natura basata sulla considerazione che l’interazione fra osservatore e osservato codificata da Heisenberg è la regola, non l’eccezione.
Nulla esiste in assoluto, tutto è in relazione a qualcosa, proprio come l’elettrone esiste nella relazione con noi e assume interagendo con i nostri strumenti di misura posizione, velocità o energia. Non esiste un elettrone “in sé”, con una sua orbita definita che non riusciamo a cogliere per l’imperfezione del nostro sistema osservativo. Non esiste una natura popolata di oggetti con proprietà assolute, nulla esiste in “sdegnoso” isolamento: tutto è in relazione ad altro, tutto interagisce con altro, tutto è in relazione con tutto. Il sasso è in relazione con il suolo a cui si “manifesta” con il suo peso, la velocità è sempre in relazione al sistema di riferimento, l’alto e il basso esistono solo in relazione alla superficie terrestre. È un’ontologia di relazioni, di cui gli oggetti rappresentano i “nodi”, di sistemi fisici che si rispecchiano gli uni negli altri. E tali relazioni non poggiano su nulla di solido, come stabiliva la fisica della materia e del movimento, delle qualità primarie oggettive in sé esistenti e di quelle secondarie. La grammatica del mondo scoperta dalla fisica quantistica non è costituita da semplice materia e movimento. “La relazionalità che permea il mondo scende fino a questa grammatica elementare. Non possiamo descrivere nessuna entità elementare se non nel contesto di ciò con cui è in interazione” (148).
Dietro la fisica degli “osservabili” di Heisenberg c’è Ernst Mach, profondamente influenzato dalla lezione humeana, che ha proposto l’empiriocriticismo come la cornice concettuale più adatta a inquadrare l’impresa conoscitiva umana, successivamente adottata dai neopositivisti del Circolo di Vienna. Dell’epistemologia machiana, anche detta fenomenismo, Rovelli sottolinea lo spirito antimetafisico, la scrupolosa aderenza ai dati dell’esperienza e lo smascheramento degli errori e dei paradossi connessi al bisogno di oltrepassarli postulando un mondo di oggetti, cose o enti sussistenti in modo assoluto e dotati di proprietà definite una volta per tutte. Contro Mach si era scagliato Lenin in nome del materialismo attaccandone il portavoce russo Bogdanov, ma dalla disamina di Rovelli è il materialismo che esce sconfitto, in quanto rappresentante della vecchia metafisica, non diversamente dalle idee platoniche e dallo spirito assoluto di Hegel.
L’empiriocriticismo machiano si presta invece ottimamente a fare da sfondo a quel mutamento di paradigma (Kuhn) o a quella rottura epistemologica (Bachelard) che ci propone la meccanica quantistica. La teoria più strana, controintuitiva e sconvolgente che sia mai stata concepita, ma anche la più riccamente confermata: “non ha mai sbagliato”. Non si dimentichi che a non essere prevedibile è il comportamento della singola particella, che le sue leggi sono probabilistiche e che in quanto tali sono state sempre confermate, per non dire delle loro innumerevoli applicazioni tecnologiche. Da essa Rovelli deriva una visione più “leggera” della natura, come trama di relazioni e gioco di specchi, priva di un fondamento assoluto e di un punto di vista privilegiato, così nuova da chiamare in causa un pensiero ancora più radicale e “altro” di quello machiano. La dottrina di Nāgārjuna, pensatore indiano del secondo secolo, asserisce esplicitamente “che non ci sono cose che hanno esistenza in sé, indipendentemente da altro” (p. 150). L’assenza di esistenza indipendente è “vacuità”: “le cose sono vuote nel senso che non hanno realtà autonoma, esistono grazie a, in funzione di, rispetto a, dalla prospettiva di qualcosa d’altro” (p. 151). “La lunga ricerca della ‘sostanza ultima’ della fisica, passata attraverso materia, molecole, atomi, campi, particelle elementari ... è naufragata nella complessità relazionale della teoria quantistica dei campi e della relatività generale” (p. 153).
Le ricadute interdisciplinari dell’interpretazione della realtà proposta da Rovelli sono facilmente intuibili, sia a livello generale sia per quanto riguarda la psicoanalisi, dove non può non trarne alimento la concezione relazionale della mente affermatasi negli ultimi decenni. L’evoluzione della teoria da un modello strettamente unipersonale verso modelli sempre più caratterizzati in senso relazionale, dalla concezione kleiniana delle relazioni oggettuali, alla visione winnicottiana della relazione madre-bambino, al modello bioniano della rêverie e della relazione contenitore-contenuto, fino alla teoria del campo e ai modelli intersoggettivisti e relazionali, sembra ormai un fatto acquisito. Come in fisica il mondo degli oggetti si stempera in un più fluido e cangiante mondo dove la lama di un coltello assomiglia alla spumeggiante cresta di un’onda dell’oceano, dove le cose si palesano le une alle altre nell’interazione, proprio come all’osservatore umano, così in psicoanalisi l’osservazione della mente in interazione con un’altra mente ne ha evidenziato le caratteristiche relazionali. E come non ha senso parlare in assoluto delle proprietà di un oggetto, così non ha senso parlare di un soggetto che non sia in relazione con altri soggetti che ne riflettono l’immagine e ne vengono riflessi, in una complessa trama di relazioni di cui rappresentano i nodi.
Si potrebbe addirittura ipotizzare che l’evoluzione relazionale della psicoanalisi sia consistita nell’abbandonare l’implicito isomorfismo con il mondo della fisica classica, popolato di oggetti, cose o enti concepiti come in sé conclusi e privi di relazione ad altro, per approdare a una visione più fluida, molteplice e interattiva della soggettività, sempre legata a una complessa e mutevole rete di relazioni esterne e interne. Ma l’utilità del punto di vista relazionale riguarda anche il rapporto della psicoanalisi con le altre discipline, riecheggiando le più condivisibili acquisizioni postmoderne sul carattere prospettico e contestuale di ogni attività conoscitiva, senza assecondarne le più radicali e discutibili derive scettiche e nichiliste. Si tratta di una visione relativa e complessa della conoscenza, basata sul lutto della verità unica e della spiegazione definitiva, ma compatibile con l’esistenza di specifici criteri di referenzialità e validazione all’interno di ogni disciplina. La congruenza fra metodo e oggetto permette di vedere la psicoanalisi come una disciplina caratterizzata da uno specifico metodo di indagine e da un altrettanto specifico sistema concettuale e linguistico, adeguati alla conoscenza di un determinato oggetto e irriducibili ad altri metodi e sistemi. Su questa base essa può dialogare con le altre discipline nella consapevolezza della relatività delle proprie conoscenze, ma anche della loro irriducibilità a quelle delle altre scienze, alla ricerca di una descrizione sempre più articolata, complessa e verosimilmente mai definitiva del soggetto umano.
*Fonte: Spi-Web, 12 Novembre 2020