Fisica
Immaginate l’universo
Amedeo Balbi ha scritto un libro per spiegare come l’uomo sia in grado di concepire l’impercettibile, a cominciare dalla teoria della relatività
di Chiara Valerio (la Repubblica, 29 Settembre 2021)
Nel creare la relatività, Einstein non ha solo immaginato di correre dietro alla luce: ha visualizzato con la fantasia treni in corsa, fulmini che cadono, calamite in movimento, persone che precipitano dai tetti, cabine sollevate da una fune, giostre in rotazione, e molto altro».
Amedeo Balbi che da anni, alla sua attività di ricerca affianca - come nella migliore tradizione anglosassone - quella di divulgatore, ha scritto un saggio sull’immaginazione che genera realtà: la teoria della relatività. E, già per questo, è un libro che bisognerebbe leggere. Inseguendo un raggio di luce si legge con passione e con quel senso di attesa che sempre prende quando ci si avvicina alla scienza. Attesa di capire e attesa di avere un risultato.
Leggendo Balbi ci si rende conto che i risultati, quando sono tali, sono parziali, e che da Dante a Liu Cixin, la letteratura, talvolta, ha dato una forma e una possibilità all’universo prima che gli scienziati giungessero a formulare ipotesi. La differenza tra letteratura e scienza, Balbi la segna all’inizio: «Tutto ciò di cui parlerò, quindi, per quanto strano o lontano dall’esperienza comune possa sembrare, è stato messo alla prova sperimentalmente, come sempre deve essere quando si fanno affermazioni scientifiche sulla realtà. Ma una parte del fascino della relatività sta anche nella sua capacità di evocare situazioni ipotetiche o paradossali, e nella possibilità di chiedersi “come sarebbe se?”».
Inseguendo un raggio di luce è una storia analogica della relatività, e una storia degli esperimenti, mentali e fisici, che hanno permesso via via di verificare certi aspetti della relatività, e una storia degli apparecchi (e della loro costruzione) che hanno consentito di misurare certi fenomeni, e in ultimo una piccola ricognizione di fantascienza e di immaginazioni fantascientifiche - potremmo mai trasmettere via onde gravitazionali come trasmettiamo via onde elettromagnetiche?
Se capire la teoria della relatività è ostico e spiegarla complicato, raccontarla deve essere difficilissimo. Scrivo “deve essere” perché non mi è mai venuto in mente di farlo nonostante legga continuamente libri sulla relatività. Mi guarda dalla scrivania anche l’ultimo Relatività generale di Rovelli (Adelphi) che tuttavia, essendo un manuale, va letto con altro spirito.
Raccontare la relatività, con termini più o meno specifici, attraverso illustrazione (come per esempio fa Balbi) o aggiungendo formule al racconto, come pure capita, è un’opera meritoria. La teoria di Einstein infatti, oltre ad averci permesso di dare una immagine e un tempo all’universo, e tracciarne una evoluzione, costringe a scendere a patti con una realtà assai più bizzarra di quanto dica il senso comune. Più vasta e larga. E a confrontarci con l’evidenza, talvolta angosciosa ma sempre eccitante, che le cose siano più precise, ma anche più vaghe, perché per coglierle bisogna progettare e costruire sensori la cui capacità di impressione va molto oltre i nostri sensi. L’unico senso, la cui utilità rimane intatta in questo universo infinitamente più grande e infinitamente più piccolo della scala umana, è l’immaginazione che, ripeto, è il vero e fortunato tema di questo libro di Amedeo Balbi. Una immaginazione alla quale tutti possono contribuire, una sorta di immaginazione di specie.
Con un padre fisico, avevo in casa molti saggi scientifici, ma ricordo con nettezza che il primo tra tutti che ho aperto, adolescente, è stato Relatività, Cosmologia, Astrofisica di Livio Gratton (Bollati Boringhieri), seguito immediatamente da Dal big bang ai buchi neri. Breve storia del tempo di Stephen Hawking (Rizzoli), uscito qualche anno prima e già un successo editoriale, il libro di Gratton è invece del 1968. Non so cosa avessi capito, ma avevo provato a capire.
Sono stati pubblicati negli ultimi anni, libri sull’universo, sullo spazio-tempo, sull’energia e materia oscura - la forma dell’universo dipende dalla massa - e che aggiungono esattezza e suggestione ad esattezza e suggestione. Penso a Qualcosa di nascosto a fondo di Sean Carroll o a Fino alla fine del tempo di Brian Green, entrambi pubblicati per i tipi di Einaudi, o anche al formidabile Tutto l’universo per chi ha poco spazio tempo di Sandra Savaglio appena messo in tascabile da Mondadori, penso ai libri e al romanzo di Jim Al Khalili (tutti pubblicati per Bollati Boringhieri). Li elenco qui per ricordarmi che non è possibile divulgare la divulgazione, bisogna leggerla. Per rispettare lo sforzo di sintesi e immaginazione (sì, ancora) di chi ha scritto, e per onorare il profondo lavoro scientifico che sta dietro, evidente e innominato.
Rossella Panarese, conduttrice e curatrice di Radio 3 Scienza, ha osservato, nella voce Comunicazione scientifica per l’Enciclopledia Treccani «Colmare questo deficit è il compito di scienziati, insegnanti e naturalmente giornalisti e divulgatori, ma anche delle istituzioni politiche che devono promuovere progetti di formazione pubblica. Questa idea di pubblico è tanto lineare, quanto ottimista. Gli esperti possono parlare un solo linguaggio, convincente in quanto rigoroso, perché il loro pubblico è visto come un insieme di unità omogenee e indistinte, che si chiamino lettori, ascoltatrici, cittadine o elettori. Ma pur individuando una reale carenza conoscitiva da colmare, questo modello non riesce a esaurire, per es., la comprensione delle ragioni di uno scetticismo nei confronti della scienza che è ancora oggi uno dei problemi che ci troviamo a indagare».
Ogni buon libro di divulgazione scientifica, ogni programma e progetto di divulgazione scientifica, che tiene in sé lo sforzo di chiarire senza semplificare o deformare, è un passo opposto al dilagante antiscientismo che, in diciotto mesi di Covid, si manifesta in asserzioni e comportamenti che attentano ai singoli e alla comunità. Antiscientismo dal quale non sono immuni nemmeno gli intellettuali.