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Editoriale

Saldi di fine stagione: a Riace un tempo i Bronzi, ora Lucano. Analisi di un caso mediatico nell’orbita del mondialismo che avanza beato

Sud vittima della grande balla del ripopolamento con migranti, strumento di persuasione per il Piano Kalergi
domenica 3 aprile 2016
"Prima ancora che il diritto a emigrare, va riaffermato il diritto e non emigrare cioè a essere in condizione di rimanere nella propria terra" (Benedetto XVI)
Avevo pensato ad uno scherzo, ad un gioco.
Sapete quando si prende la foto di un pincopallino e - per mezzo di un apposito programmino - la si monta sulla copertina del "sorrisi e Canzoni" o su quella di "Panorama" o, ancora più su, del "Time"?
di Domenico Monteleone
Ecco, avevo pensato a qualcosa di simile quando ho letto - su (...)

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> Riace chiama. L’esperienza straordinaria di Riace e del suo sindaco va messa a confronto con l’immondo business della speculazione sui migranti che si svolge nei centri gestiti direttamente dallo Stato, spesso sotto gli occhi e con la complicità di molte Prefetture.

giovedì 4 ottobre 2018

Lucano non è il «simbolo» ma l’accoglienza realizzata

Riace chiama. L’esperienza straordinaria di Riace e del suo sindaco va messa a confronto con l’immondo business della speculazione sui migranti che si svolge nei centri gestiti direttamente dallo Stato, spesso sotto gli occhi e con la complicità di molte Prefetture

di Guido Viale (il manifesto, 04.10.2018)

Domenico Lucano, il sindaco di Riace, arrestato con motivazioni pretestuose che rispondono più a un desiderio esplicitamente espresso dal ministro Salvini che a ragioni di ordine giuridico, non è solo, come è stato detto, «il simbolo dell’accoglienza».

È l’accoglienza realizzata, a beneficio tanto dei nuovi arrivati che dei cittadini italiani di paesi che prima del loro arrivo erano stati costretti ad abbandonare, per emigrare anche loro. Riace è la dimostrazione che italiani e migranti, se ben governati, possono non solo vivere bene insieme, ma anche prosperare: far rinascere i borghi e le terre abbandonate, ricostruire una vita di comunità nei loro abitati, imparare gli uni dagli altri a conoscere, rispettare e valorizzare la cultura, le tradizioni, le usanze, ma anche le sofferenze di cui ciascuno di noi è portatore.

L’esperienza straordinaria di Riace e del suo sindaco va messa a confronto con l’immondo business della speculazione sui migranti che si svolge nei centri gestiti direttamente dallo Stato, spesso sotto gli occhi e con la complicità di molte Prefetture, o con l’abbandono a cui sono condannati centinaia di migliaia di profughi e migranti a cui non è stata concessa alcuna protezione internazionale e, quindi, alcun diritto di soggiorno; e che il recente decreto “sicurezza” voluto dal ministro Salvini non farà che moltiplicare, senza alcuna reale possibilità di rimpatriarli in una “patria” da cui sono dovuti fuggire, come lo stesso Salvini ha dovuto ammettere dopo aver fatto di questa promessa il “cavallo di battaglia” della sua campagna elettorale.

E’ questa moltitudine di disperati abbandonati a sé stessi - in nome dello slogan “prima gli italiani” - in un paese che non conoscono, condannata all’accattonaggio, alla piccola e grande delinquenza, alla prostituzione o, nel migliore dei casi, a un lavoro in nero sottopagato, quello che mette in allarme una popolazione che non ha modo di conoscerli, di incontrarli e soprattutto di progettare insieme a loro la rinascita del nostro paese, come è stato fatto invece a Riace e in molti altri Comuni e in molte altre esperienze che hanno puntato sull’accoglienza e sull’inclusione dello “straniero”.

Ed è su questo abbandono che prosperano le fortune elettorali di Salvini e del suo governo: la paura del migrante e non dei tanti delinquenti italiani, con la lupara o con il colletto bianco, che affliggono la nostra vita quotidiana. Il risultato è l’abbandono all’incuria, al degrado e allo spopolamento di paesi, territori, edifici, ma anche di intere città, da cui ogni anno partono per l’estero decine di migliaia di giovani italiani e italiane, spesso laureate e diplomate, a cui non viene offerta alcuna possibilità di lavorare e valorizzare le loro capacità in Italia; e certo non perché quel lavoro che non c’è per loro sia stato portato via da chi è costretto a vivere di espedienti, come i profughi e dei migranti che hanno raggiunto fortunosamente il nostro paese, per lo più con l’intento e la volontà di proseguire verso l’estero.

Nel nostro interesse, nell’interesse del nostro paese, di una convivenza pacifica tra tutti, di un senso di umanità che rischia di essere soffocato per sempre, dobbiamo opporci con forza all’arresto di Mimmo Lucano e al tentativo di far naufragare questa bellissima dimostrazione di buona convivenza.
-  Per l’Osservatorio Solidarietà - Carta di Milano


La disobbedienza generosa di Lucano

di Tomaso Montanari (Il Fatto, 04.10.2018)

Ho un amico senegalese, arrivato in Italia sei anni fa: è un clandestino. Lavora: fa il falegname. Ha un ruolo nella nostra società: a cui non nuoce in nulla, anzi alla quale giova moltissimo, con la sua dedizione, con la qualità del suo lavoro, con la sua onestà. Ma è un fantasma: uno schiavo del nostro sistema.

Ma con le leggi che ci siamo dati, non c’è modo di fargli avere un permesso di soggiorno, e chissà, un giorno la cittadinanza. Abbiamo chiuso tutte le strade: e non perché siano troppi, ché anzi ci servono (in tutti i sensi). No: per la “percezione dell’insicurezza” messa a reddito da una politica ridotta all’imprenditoria della paura. Ebbene, se io potessi organizzare un matrimonio combinato per dargli la cittadinanza, lo farei. Se, pur violando qualche norma, potessi affidargli un appalto pubblico per un lavoro che fosse in grado di fare bene, non ci penserei un momento. È quello che ha fatto Mimmo Lucano, su una scala così importante da essere diventato un modello e un riferimento internazionale. Ora Mimmo Lucano si difenderà in un processo, come tutti coloro che si trovano costretti a violare la legge perché quella legge è inumana, ingiusta, sbagliata. È una resistenza civile, una disobbedienza: e chi la pratica sa perfettamente che può essere chiamato a pagarne tutto intero il prezzo. Anche se vive in una terra, come la Locride, in cui certo le infrazioni della legge hanno altri moventi, e in cui un cittadino si potrebbe ingenuamente aspettare che la procura usasse tempo e soldi per perseguire altri reati. Ma il punto non è questo. Il punto è da che parte stare: e c’è un’Italia che sta con Mimmo Lucano, perché sente che l’unico modo di superare queste leggi è disobbedire, pagandone il prezzo. Chi la pensa così sa che dalla parte del sindaco di Riace c’è un alleato potente: che si chiama Costituzione della Repubblica italiana. Già: si può violare la legge, e però attuare la Costituzione.

Il precedente è quello celeberrimo di Danilo Dolci, processato nel 1956 per resistenza e oltraggio a pubblico ufficiale, istigazione a disobbedire alle leggi e invasione di terreni. Capi di imputazione ben più gravi di quelli contestati a Lucano: e legati anche in quel caso a una lotta per i diritti dei più poveri. In quel memorabile processo sfilarono come testimoni della difesa di Dolci figure come quelle di Carlo Levi ed Elio Vittorini, e fuori dall’aula le ragioni dell’imputato furono difese da La Pira, Piovene, Guttuso, Zevi, Bertrand Russell, Moravia, Bobbio e Zavattini, Silone, Sellerio, Capitini, Paolo Sylos Labini, Eric Fromm, Sartre, Jean Piaget e da altri ancora.

Alla fine Dolci fu condannato: a cinquanta giorni di reclusione. Eppure la sua battaglia ebbe un’importanza cruciale: per cambiare il senso comune, e le stesse leggi della Repubblica.

Uno degli avvocati difensori di Dolci fu, è noto, Piero Calamandrei, e la sua arringa è il testo più illuminante da leggere per capire anche questo caso di 62 anni dopo: “Anche oggi l’Italia vive uno di questi periodi di trapasso, nei quali la funzione dei giudici, meglio che quella di difendere una legalità decrepita, è quella di creare gradualmente la nuova legalità promessa dalla Costituzione”.

Ebbene, quel periodo di trapasso non è finito: la nostra legalità non è ancora la legalità nuova promessa dalla Costituzione. In particolare, la legislazione sui migranti è in gran parte contro lo spirito e la lettera della Costituzione, e contro i diritti umani più elementari. Disobbedire a queste leggi, essendo disposti a pagare il prezzo di questa disobbedienza, è un modo generoso e impervio per cambiare lo stato delle cose.

Per questo sto con Mimmo Lucano, e faccio mie le parole di Calamandrei: “Vorrei, signori Giudici, che voi sentiste con quale ansia migliaia di persone in tutta Italia attendono che voi decidiate con giustizia, che vuol dire anche con indipendenza e con coraggio questa causa eccezionale: e che la vostra sia una sentenza che apra il cuore della speranza, non una sentenza che ribadisca la disperazione”.


L’errore di Antigone

di Mattia Feltri (La Stampa, 04.10.2018)

C’è qualche cosa di commovente in Mimmo Lucano, sindaco di Riace, che imbroglia le carte per salvare una prostituta nigeriana e offrirle un domani. Commovente al pari di Antigone, l’eroina di Sofocle che dà sepoltura al fratello contravvenendo alla legge di Creonte. Non è invece commovente Matteo Salvini quando blocca per giorni gli immigrati sulla Diciotti, ma in fondo non è molto diverso da Antigone e da Lucano: tutti e tre piegano le regole a un loro convincimento morale.

Antigone rifiuta la legge scritta della democrazia contando di scamparla in nome della legge aristocratica degli dèi, Lucano per scamparla si muove di nascosto in nome della legge naturale dell’uomo, Salvini agisce allo scoperto e pensa di scamparla in nome del superiore volere del popolo. E poi rivendicano di farlo a fin di bene, ma non significa nulla, avanti di questo passo e fino all’abisso qualsiasi dittatura è stata fondata per un mondo migliore.

Questa non è disubbidienza civile. La disubbidienza civile, quella di Marco Pannella e dei radicali, era ed è altro: è la violazione plateale e annunciata della legge proprio perché siano le conseguenze a stabilirne l’iniquità. Il problema è che Antigone aveva torto (ma pagò un prezzo spropositato), e hanno torto Lucano e Salvini: la loro forza morale non sfida la legge, la rovescia di prepotenza o la aggira col sotterfugio, e ognuno finisce col costruirne una su misura. Se, come diceva Lucano, l’idea personale di giustizia superasse l’idea collettiva di legge, avremmo sessanta milioni di codici penali in più e una democrazia in meno.


La triste storia di Riace che rende tutti più deboli

di Goffredo Buccini (Corriere della Sera, 04.10.2018)

Con la sua ostensione della bontà ha spaccato l’Italia in due tifoserie. O, meglio, ne ha rafforzato divisioni già profonde. Sarebbe forse utile, invece, un approccio più pragmatico alla vicenda umana, politica e giudiziaria di Domenico Lucano, il sindaco di Riace agli arresti domiciliari nel paesino calabrese diventato, per opera sua, modello mondiale dell’accoglienza (e dunque assai osannato e assai vituperato).

L’idea di fondo che ha mosso Lucano è molto difficile da contestare in buonafede. Fare leva sui migranti per ripopolare borghi deserti delle nostre montagne, soprattutto al Sud, è una scelta ormai diffusa e praticata dal sistema Sprar (lui ci arrivò in anticipo): e porta, al contrario della «sostituzione» paventata da alcuni, anche il rientro di molti ragazzi del posto, perché le cooperative sociali, come testimoniano pure tante storie narrate dal Corriere con Buone Notizie, creano reddito, lavoro, nuova imprenditorialità (si pensi a casi virtuosi come la rinascita di Petruro Irpino, protagonista la Caritas, o di Castel del Giudice, a opera di un sindaco riformista e di un imprenditore «olivettiano»): insomma, vita che ricomincia.

La strada assai vitale imboccata dal sindaco di Riace, però, sembra virare a un certo punto verso un’altra direzione, creando nel tempo una specie di repubblica autonoma sulle montagne calabresi. I «bonus» come moneta parallela dei migranti (ora carta straccia nelle tasche dei negozianti), i laboratori solidali quali volano di lavoro (chiusi da tempo) sono ingegnose trovate che reggono solo con il sostegno dello Stato, in assenza del quale tornano mera utopia. E la gestione dei soldi pubblici può diventare dunque una ricca pignatta cui qualcuno, meno idealista di Lucano, può aver mirato. Del sindaco le carte mostrano, accanto a un grado quasi insostenibile di naïveté, una disinvoltura amministrativa spinta ben al di là dei fardelli penali e ben distante dall’immagine di economista prodigio che gli era stata ritagliata addosso per via ideologica.

In uno Stato di diritto, inoltre, il fine non giustifica mai i mezzi, anzi, se i mezzi sono sbagliati pervertono il fine. Così l’idea di bypassare la legge per offrire ai migranti corsie preferenziali occulte si presta a ogni forzatura. La parte politica più vicina a Lucano si rallegra del fatto che siano cadute molte delle accuse mosse dalla Procura. Ed è comprensibile.

Dovrebbe tuttavia preoccuparsi di quanta benzina diano alle tesi di Salvini l’uso opaco del danaro e il ricorso ai matrimoni combinati per mettere in regola le migranti. Lo scarso rispetto per i contraenti italiani di quei matrimoni, poveri fantocci paesani arruolati dal sindaco alla bisogna (il «piccolino» che non ha «mai visto una donna» e il «poverino» così stralunato da non ricordare nemmeno il nome della falsa promessa sposa) riesuma poi l’idea inquietante che per raddrizzare il legno storto dell’umanità poco importi quanto si debba sacrificare di ogni individuo, conta il disegno etico.

Il gip ha scagionato da altre e più gravi accuse (concussione, associazione per delinquere, truffa) il sindaco con parole che però ne velerebbero il profilo di amministratore quand’anche nelle prossime ore fosse revocata o alleggerita la misura cautelare. Arrestandolo per i matrimoni combinati (dunque favoreggiamento dell’immigrazione clandestina) e per la gestione dei rifiuti, ne fa un quadro sorprendente: dice cioè che Lucano tiene talmente in non cale la legge che, se restasse libero, continuerebbe nell’illecito anche sapendo di avere gli occhi di tutti addosso. Perché, aggiungiamo noi, certo di avere ragione.

Invece, con buona pace di molta intellighenzia di sinistra, Lucano ha inferto - magari con le migliori intenzioni - al sistema dell’accoglienza da lui stesso propagandato nel mondo un colpo dieci volte più duro di quanto avrebbero saputo fare mesi di propaganda sovranista.

Scegliere senza controllo né criteri oggettivi quale migrante aiutare va benissimo per un privato cittadino volenteroso ma apre voragini di ingiustizia sotto la scrivania di un sindaco. La solidarietà senza legalità diventa caos e arbitrio. Dalla storia di Riace, comunque vada a finire, usciamo tutti più deboli e più poveri.


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