Sandro Mancini, Recensione a:
Non si può certo dire che il trentesimo anniversario della scomparsa di Enzo Paci sia trascorso in sordina. Oltre ad alcuni studi critici approfonditi, vanno segnalati i due ampi tomi dell’Omaggio a Paci e il fine dialogo filosofico di Renzi, in quanto costituiscono un importante momento di ricordo e approfondimento dell’opera e del magistero del fondatore di “aut aut”. Questi nuovi contributi si raccordano ai saggi critici e alle altre testimonianze pubblicate l’anno precedente presso lo stesso editore (AA. VV., Enzo Paci, a cura di M. Cappuccio e A. Sardi, CUEM, Milano 2005), e si riannodano al volume curato da S. Zecchi nel 1991, che raccoglieva gli atti del convegno del 1986 (Vita e verità. Interpretazione del pensiero di Enzo Paci, Bompiani, Milano 1991). Insieme all’attesa pubblicazione degli atti del convegno In ricordo di un maestro. Enzo Paci a trent’anni dalla morte. 1976-2006, tenutosi all’Università Federico II di Napoli e a quella di Salerno il 18 e 19 dicembre 2006, questi materiali critici e biografici si propongono non solo agli addetti ai lavori e ai bibliotecari (a cui sarà assai utile la sezione “Strumenti bibliografici”, curata da Alessandro Sardi, contenente un’aggiornata bibliografia degli scritti di e su P. e delle tesi di laurea su P.), ma anche ai lettori curiosi dei dettagli e delle sfumature della vita filosofica italiana nel creativo e contrastato trentennio del secondo dopoguerra.
Il primo tomo si apre con alcuni brevi inediti paciani, sulla fenomenologia della religione e su Kafka, commentati da Renzi e da Scaramuzza. Esso quindi si articola in due parti: la prima è incentrata sul vissuto e sulla sua sporgenza concettuale, contenente testimonianze di allievi e colleghi; tra queste segnalo la testimonianza di Marcella Pogatschnig (“Sul cammino di P.”) e di Renato Rozzi (“P., in relazione”). Il primo dei due testi fonde sapientemente ricordo e riflessione, in una vivida e acuta scrittura al femminile, che costituisce a sua volta un autentico diario fenomenologico, forse non inferiore a quello del suo maestro. Il secondo scritto ci conduce con acume nel clima delle lezioni pavesi degli anni Cinquanta. Così Rozzi sintetizza il profilo pedagogico del suo maestro a Pavia: «P. ci lasciava liberi: cosa ne pensano i suoi allievi? Chissà se qualcuno ha mai parlato della sua implicita capacità educativa, da docente acuto e lieve nel presumere le profondità personali, da adulto che riusciva a mettere la sua debolezza in relazione a quella dello studente e nello stesso tempo a sottrarsi a esso, appena un po’ ironico a causa del finissimo setaccio della sua cultura, sempre disponibile a trasporsi tutto sul piano filosofico» (t. I, p. 75).
La seconda parte del primo tomo propone un’ampia rosa di approfondimenti sugli sviluppi estetologici dell’itinerario paciano, a partire dall’estetica musicale e dall’approccio fenomenologico all’architettura, e da alcuni significativi intrecci (Mann, Proust, Ungaretti). Gabriele Scaramuzza, nelle sue note di commento alle inedite pagine paciane su Kafka, evidenzia bene il tratto saliente delle riflessioni estetiche del pensatore marchigiano sull’arte, in cui ravvisa a un tempo un fattore di coerenza e di limitazione: «[...]dovunque Paci, nelle sue letture di fenomeni artistici, è attento al problema del “significato”» (t. I, p. 48). Il curatore precisa che ciò non conduce P. a sottovalutare la specificità delle forme artistica, ma a ribadire la peculiarità di un approccio precipuamente filosofico, e aggiunge: «[...] la sua difesa dell’imprescindibile incidenza di un punto di vista filosofico nell’esperienza dell’arte resta ben legittima, e tuttora pienamente condivisibile» (t. I, pag. 49).