DITTATORI. I due leader avrebbero potuto conoscersi a Ginevra, quando erano entrambi socialisti rivoluzionari. Di sicuro il capo del fascismo fu attento alla tragedia russa e sfruttò la paura del comunismo per raggiungere il potere
Quel misterioso incontro tra Mussolini e Lenin.
di Marcello Flores (Corriere della Sera, La Lettura, 04.02.2018)
Benito Mussolini e Vladimir Uljanov, noto come Lenin, avrebbero potuto incontrarsi a Ginevra nel 1904. Forse l’incontro ebbe luogo, probabilmente no. Ma la possibilità fu reale, visto che rivoluzionari italiani (come allora era Mussolini) e russi (come Lenin), appartenenti tutti alla variegata famiglia del socialismo, si ritrovavano spesso nello stesso Café Landolt. Parte dalla ricostruzione di questo possibile incontro - attraverso memorie discordanti e documenti contraddittori - il libro di Emilio Gentile Mussolini contro Lenin (Laterza), che racconta la polemica dell’italiano contro il russo, soprattutto nel corso della Prima guerra mondiale e subito dopo, che termina sostanzialmente con la conquista del potere da parte del primo e la morte del secondo, cui fa da corollario il ristabilimento delle relazioni diplomatiche tra Italia e Urss nel febbraio 1924.
Gentile ripercorre le strade parallele e diverse che entrambi seguirono all’interno del movimento socialista e rivoluzionario europeo del primo Novecento, il radicalismo che entrambi manifestarono all’interno dei loro partiti contro i più moderati ortodossi del marxismo, e la divergente biforcazione delle loro vite e delle loro politiche che il trauma della Prima guerra mondiale produsse e accentuò nel corso di pochi anni.
Lo studio di Gentile - uno dei più originali contributi apparsi nel centenario della rivoluzione russa - non vuole essere, ovviamente, un libro su Mussolini «e» Lenin, sul fascismo e il comunismo, sui rapporti tra Italia e Russia. Analizzando con precisione e ricchezza di citazioni l’interesse che Mussolini e il suo giornale, «Il Popolo d’Italia», dedicarono al bolscevismo e a Lenin, Gentile propone un altro piccolo pezzo del suo grande mosaico interpretativo sul fascismo: arricchendolo con l’analisi del rapporto e dello sguardo mussoliniano rispetto alla rivoluzione russa e alla figura di Lenin, un tassello centrale e indispensabile per meglio comprendere l’evoluzione del pensiero del futuro Duce soprattutto negli anni di passaggio dalla milizia socialista all’interventismo e poi alla fondazione dei Fasci e alla guida verso il potere di un fascismo sempre più dinamico e incisivo.
L’attenzione che «Il Popolo d’Italia» dedica alla rivoluzione russa a partire dai primi mesi del 1917 è costante, attenta alle notizie e alla ricostruzione degli eventi quanto a una loro interpretazione. E questa tensione «analitica» continuerà anche dopo la fine della guerra, nei confronti del regime bolscevico vincitore, della guerra civile che conduce vittoriosamente contro le armate bianche, del regime autocratico e «asiatico» che costruisce e che rappresenta - agli occhi di Mussolini - la prova del fallimento del socialismo come teoria e come proposta politica, quindi la giustificazione della propria scelta di abbandonarlo per cercare una «rivoluzione nazionale» di altro segno, ma altrettanto radicale.
Se l’idolo mussoliniano e del «Popolo d’Italia», per quanto riguarda la rivoluzione russa, è Aleksandr Kerenskij (su cui si spera di vedere presto in edizione italiana lo studio di Boris Kolonitskij Compagno Kerenskij), l’obiettivo polemico della crescente opposizione a Lenin è il Partito socialista italiano, affascinato tanto nei suoi vertici quanto, soprattutto, nella sua base, dal mito del leader rivoluzionario russo. Lenin è il «traditore» che, per conto dei tedeschi, sabota la rivoluzione russa e soprattutto il suo impegno nella guerra contro gli Imperi centrali; è il costruttore di una tirannia asiatica che viene definita come «esplosione di istinti zoologici». E il bolscevismo «ch’è la risorgenza e la sopraffazione degli istinti di ferocia primitiva, di annientamento, di distruzione, è la negazione del socialismo».
La battaglia ideologica contro i socialisti è particolarmente aspra dal 1918 al 1920, quando Mussolini mette a punto il suo progetto rivoluzionario (antistatalista e repubblicano), di cui un elemento ideologico centrale è proprio l’antibolscevismo (Gentile ricorda opportunamente un articolo antisemita, che Mussolini dovrà ritrattare e correggere rapidamente). Per il capo del fascismo il comunismo come progetto è ormai fallito, e Lenin con la Nuova politica economica (Nep) avrebbe intrapreso una chiara deriva capitalista, pur in un regime tirannico, sancendo la sconfitta del progetto socialista internazionale, che intravede in Germania e in Italia in modo definitivo.
Negli ultimi anni di vita di Lenin «Il Popolo d’Italia» polemizza con il «mito» che ne hanno creato i socialisti, con l’illusione delle masse, con un’esperienza di speranza tramutata in tragedia e sofferenza per tutto il popolo. Nello specchio di quel fallimento il Duce vede sorgere e affermarsi il trionfo del proprio movimento, e sembra pronto a concedere l’onore delle armi al nemico defunto. È comunque il fascismo ad avere salvato l’Italia dal bolscevismo, e di questa «leggenda», come la chiama Gentile, Mussolini si servirà per «legittimare la sua conversione dal fascismo libertario e antistalista, al nuovo fascismo antidemocratico e statalista, avvenuta nel corso del 1921». Una volta morto il «magnifico avversario» la strada è pronta per il riavvicinamento diplomatico tra i due primi totalitarismi del Novecento. Sul cui confronto c’è un ultimo interessante paragrafo, che si spera possa diventare presto uno studio più completo.