La marcia su Roma: il colpo di stato di Vittorio Emanuele
di ANGELO D’ORSI *
Il 28 ottobre non è soltanto il giorno in cui ebbe inizio, nel 1922, la “Marcia su Roma” delle camicie nere, che si concluse con il colpo di Stato di Vittorio Emanuele III, che rifiutando di firmare il decreto di stato d’assedio emanato dal Governo Facta, e chiamando Benito Mussolini a Roma, con l’incarico di formare un nuovo Esecutivo pose fine alle libertà italiane, con una sorta di suicidio politico-istituzionale dello Stato liberale e di Casa Savoia.
Il 28 ottobre di sedici anni più tardi, nel 1938, su pressione delle potenze occidentali, “democratiche”, un decreto del governo (guidato da Juan Negrín), della Spagna repubblicana, ormai in procinto di cadere, sopraffatta dall’aggressione interna, da parte delle truppe infedeli di Francisco Franco, e dall’attacco esterno di Italia fascista e Germania nazista, liquidava le Brigate Internazionali, con la ormai grottesca motivazione di non dare adito a sospetti e polemiche sui combattenti stranieri, e facilitare una “distensione” degli animi in Spagna. 130.000 combattenti provenienti da oltre 50 nazioni furono obbligati a lasciare il territorio spagnolo, quello ancora controllato dalla Repubblica. Quegli uomini e quelle donne sfilarono, quel giorno fatale, per le vie di Barcellona, salutati da una folla immensa, si dice di 300.000 persone. Aerei sorvolarono quel corteo, spargendo volantini con un sonetto del grande poeta Miguel Hernández, una commossa ode al soldato morto per la libertà della Spagna, che cominciava con questi versi: “Se ci sono uomini che contengono un’anima senza confini, / una fronte sparsa di capelli mondiali, / coperta di orizzonti, navi e catene montuose, / con sabbia e neve, tu sei uno di loro”.
Fu la fine di un sogno internazionalista di eccezionale valore morale e politico, anche se di limitato peso militare. Le Brigate Internazionali nacquero per un moto spontaneo, anche se poi vennero, successivamente, inquadrate e organizzate per volontà del Comintern, e purtroppo videro scontri interni gravissimi, con gli emissari di Mosca, spesso più pronti a combattere anarchici, trotzkisti, socialisti, e comunisti irregolari, che i fascisti. Quelle divisioni intestine furono una delle concause della sconfitta repubblicana. La sinistra divisa perde sempre. La sinistra che si combatte da sola, che considera più importante fare piazza pulita dei compagni giudicati, per ragioni spesso discutibili e non di rado assurde, poco affidabili, invece che concentrarsi sugli avversari, e lottare contro di essi, è destinata, alla lunga, a estinguersi. E’ follia sperar che una volta o l’altra si possano imparare le (terribili) lezioni della storia?
Angelo d’Orsi
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