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PIANETA TERRA. Tracce per una svolta antropologica...

MITO, FILOSOFIA, E TESSITURA: "LA VOCE DELLA SPOLETTA È NOSTRA" ("The Voice of the Shuttle is Ours"). Un testo di Patricia Klindienst (trad. di Maria G. Di Rienzo) - a c. di Federico La Sala

OVIDIO. La tela di Aracne apre il libro sesto delle "Metamorfosi", la storia di Filomela lo chiude (...) Prima che la dea adirata Atena (Minerva) stracci la stoffa tessuta da Aracne, la tessitrice, donna mortale, racconta su di essa una storia molto particolare (...)
sabato 13 aprile 2019
[...] In Una stanza tutta per sé, Virginia Woolf ci fornisce una comica metafora
della poetica femminista usando l’esempio del gatto di razza Manx, che vive
sull’isola di Man. Dalla finestra ella vede questo gatto attraversare il
prato: nota che apparentemente al gatto "manca" qualcosa, ma si chiede se la
sua condizione non sia primariamente solo una "differenza" dai gatti con la
coda. È il gatto senza coda un mostro della natura, una mutazione? O è un
prodotto della cultura, un (...)

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> MITO, FILOSOFIA, E TESSITURA: "LA VOCE DELLA SPOLETTA È NOSTRA" ("The Voice of the Shuttle is Ours") --- "ARANEUS SEU DE PROVIDENTIA DEI" (CELIO SECONDO CURIONE): L’ELOGIO DEL RAGNO.

martedì 17 settembre 2019

Celio Secondo Curione...

L’ ELOGIO DEL RAGNO NELLA LETTERATURA RELIGIOSA DEL CINQUECENTO

di Luigi D’Ascia *

Tra il marmo e il legno dorato dei soffitti e le sontuose volte affrescate, che pascono l’occhio dei signori rinascimentali di mitologia e simbolismo, c’è spazio anche per un ospite umile ma necessario, che nasconde infinite virtù dietro un’apparenza insignificante: il ragno. Pur abituati a maestosi animali araldici, i potenti interlocutori laici ed ecclesiastici di Celio Secondo Curione - piccolo nobile della frontiera piemontese che si proietta con il suo brillante talento oratorio sul grande teatro dell’Italia settentrionale eternamente contesa fra le potenze europee - non si sentono infastiditi dalla presenza di quel minuscolo intruso che aspira a diventare il nume tutelare della casa. Partecipano anche loro - non solo Guillaume Pellicier vescovo di Montpellier, ambasciatore francese a Venezia e destinatario dell’Elogio del ragno - gli illustri protettori che a Pavia (dove poté appoggiarsi all’eminente famiglia Sfondrati), a Ferrara e a Venezia assicurarono a Curione quell’impunità di cui aveva vitale bisogno dopo le sue disavventure con l’Inquisizione cisalpina, di quella tensione religiosa, preparata dalla mistica quattrocentesca e in Italia dalla controversa figura di Pico, che invitava a cercare nel piccolo l’infinitamente grande e nell’allegoria l’unico modo appropriato di avvicinarsi al mistero divino.
-  Sono quindi disposti a tacitare i ‘cani del Signore’, quegli inquisitori domenicani che fanno la guardia ai palazzi dove si nascondono gli eterodossi e che, per arrivare ai soffitti dove il rinnovamento religioso tesse laboriosamente le proprie ragnatele, non esitano a cambiare il loro aspetto di mastini con quello più spregevole di servi armati di scopa, pronti a ripulire gli spazi loro affidati da qualsiasi contaminazione eretica. Il ragno che si cela sotto il soffitto è metafora del non conformista religioso che dissimula la propria presenza ma intanto resta pronto a catturare qualsiasi preda spirituale venga a cadere nella sua sottile ragnatela propagandistica.

Curione insomma nella sua prima opera a stampa, pubblicata a Venezia nel 1540 senza indicazione d’editore e poi ristampata a Basilea nel 1544 con il titolo Araneus sive de providentia Dei, fa del ragno l’emblema di quell’atteggiamento che in anni successivi verrà detto nicodemismo, dal nome dell’evangelico Nicodemo, che per paura dei farisei si recava a visitare Gesù soltanto di notte, e che implicava la diffusione di un messaggio certamente eterodosso in modi ‘coperti’, simbolici e allusivi, evitando di ‘trarre le illazioni’ che avrebbero sconfessato esplicitamente l’autorità ecclesiastica. [...]

Nel caso dell’Elogio del ragnoil messaggio religioso velato dalla ‘dissimu-lazione onesta’ di un linguaggio complesso e allusivo implicava un attacco a fondo alla base filosofica del concetto fondamentale di una mediazione istituzionale fra uomo e Dio, da cui discendevano culto dei santi, purgatorio e altre credenze della religiosità tardo-medioevale. Curione nega infatti l’esistenza di cause seconde, riconducendo ogni effetto fenomenico all’universale causalità divina.
-  Per arrivare a questa osservazione sviluppa un’argomentazione fortemente originale prendendo le mosse dal problema aperto dell’intelligenza animale, che rappresenta una sfida alla facile contrapposi-zione fra istinto e ragione, e la identifica con una forma oscura e incosciente dell’onnipotenza divina. Dentro il ragno, l’essere minuscolo e disprezzato, c’è Dio. Tale paradosso era già stato anticipato da Erasmo quando nella sua polemica con Lutero sul libero arbitrio aveva menzionato fra i sublimi misteri teologici da non divulgare al popolo la circostanza che da un certo punto di vista le sfere celesti e l’antro dello scarabeo - equivalente funzionale del ragno di Curione - fossero ugualmente partecipi dell’essenza divina.
-  L’infinità in potenza della materia collosa che il ragno produce da se stesso per tessere i fili della ragnatela presuppone l’infinità in atto dell’essere divino. La sua posizione al centro della ragnatela che si allarga verso l’esterno, aumentando continuamente lo spazio fra un perimetro e quello successivo, allude chiaramente a un universo teocentrico retto dalla provvidenza. Ma ciò che vale per il ragno vale per la natura nel suo complesso: non esistono cause seconde, cioè processi relativamente autonomi dall’intervento divino, e il principio delnatura non facit saltus, con la sua successione ordinata di cause che si accorda così bene con una visione gerarchica della società cristiana, cede alla libertà dello spirito divino che, essendo operoso, si manifesta dove e quando vuole. [...]

In ogni caso Curione dimostra una notevole capacità di attualizzare, nel contesto teologico della Riforma, una tradizione di teologia simbolica che si presentava strettamente intrecciata alla fortuna del genere letterario del detto pitagorico, inaugurata da Leon Battista Alberti e sviluppata da Ficino e da altri. Risulta agevole sintetizzare l’intero componimento di Curione in un ipotetico ma assai verisimile precetto «araneum incolam ne respuito», invito a non rifiutare la presenza del ragno nelle pie e dotte magioni [...] La figura di Pitagora, la cui rappresentazione deve molto al XV libro delle Metamorfosi ovidiane, è centrale nell’Elogio del ragno e non solo per l’evidente influsso di Zwingli, ma anche e soprattutto per la vicinanza di Curione a quelle fonti italiane cui si era abbeverato lo stesso teologo svizzero. [...]

Il pitagorismo ben interpretato è peraltro parte integrante di una theologia poetica che legge nella mitologia la chiave allegorica di una sapienza comune a tutte le religioni rivelate, facendo confluire sincretisticamente ermetismo e cabalismo nel contesto di un cristianesimo ispirato e profetico. Il riferimento ovidiano alla gara di tessitura fra Aracne e Minerva, che si conclude con la disfatta della prima e la sua trasformazione in ragno, diventa dunque parte integrante della ‘lettura’ del fenomeno della realtà naturale. Il concetto greco di hybris viene assimilato in maniera piuttosto prevedibile a quello di peccato originale, ma ciò che realmente interessa allo scaltrito propagandista della Riforma è ‘far passare’ una distinzione di stampo melantoniano fra il valore sociale e civile delle opere buone e la loro inutilità ai fini della salvezza eter-na, accettando in pieno l’idea di una giustizia divina arbitraria perché onni-potente che dal punto di vista umano diventa giustificazione per sola fede. Ribadire questo punto risulta così importante per l’eterodosso piemontese da indurlo ad accettare una certa incoerenza simbolica del protagonista animale dell’operetta: la condizione del ragno cambia completamente di significato e decade da dimostrazione della provvidenza divina a emblema della degenerazione animale dell’essere umano dimentico della propria dignitas originaria.
-  L’interpretazione biblica del mito di Aracne illustra la tendenza del Curione a conferire speciale rilevanza alla componente ebraica della sua costruzione sincretistica in quanto scaturigine di un linguaggio simbolico poi ripreso dai filosofi e divulgato dai poeti pagani, come illustra fra l’altro la caratteristica designazione di Salomone come «quel celebre Platone degli Ebrei». Del resto l’idea che «tutto è pieno di Cristo», già chiaramente enunciata nell’Elogio del ragno, si tradurrà nella ‘teologia politica’ del De amplitudine beati regni Dei in un’energica riaffermazione della salvezza finale degli Ebrei solo provvisoriamente privati della loro condizione di popolo eletto. Questo motivo ‘filosemita’ risulta decisamente preponderante rispetto al fugace accenno alla conversione finale dei musulmani e degli abitanti delle regioni recentemente scoperte del Nuovo Mondo. Nell’ambiente veneziano del 1540 dove vede la luce l’Elogio del ragno, contrassegnato da una presenza israelita cospicua e socialmente significativa, è lecito supporre un intrecciarsi di tradizioni profetiche ebraiche e cristiane che proiettano la pacificazione religiosa su uno sfondo escatologico. [...]

Nell’ Elogio del ragno si osserva la fermentazione di una dottrina sincretistica e vagamente esoterica non priva di punti di contatto con la speculazione di Bruno, che nella Cena delle ceneri mette in discussione, non diversamente dal Curione, la categoria di «istinto» animale e che pagò un duro scotto in termini processuali per il suo attaccamento alla dottrina della metempsicosi, che l’eretico piemontese aveva ritenuto potesse conciliarsi con i dati della rivelazione cristiana. [...]"

* CFR. CELIO SECONDO CURIONE, ARANEUS SEU DE PROVIDENTIA DEI, Edizione, traduzione e commento a cura di DAMIANO MEVOLI, Avvertenza di ANGELO ROMANO, Prefazione di LUCA D’ASCIA, Postfazione di LOTHAR VOGEL, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma 2019, pp. IX-XIX - ripresa parziale).


Sul tema, nel sito e in rete, si cfr.:

PER "LA PACE DELLA FEDE" (Niccolò Cusano, 1453), UN NUOVO CONCILIO DI NICEA (2025) ERMETISMO ED ECUMENISMO RINASCIMENTALE, OGGI

GUARIRE LA NOSTRA TERRA: VERITÀ E RICONCILIAZIONE. Lettera aperta a Israele (già inviata a Karol Wojtyla) sulla necessità di "pensare un altro Abramo"

RINASCIMENTO ITALIANO, OGGI: LA SCOPERTA DI UNA CAPPELLA SISTINA CON 12 SIBILLE.

Federico La Sala


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