Recensione
H.K. Bhabha, The location of culture, Routledge, London-New York 1994, trad. it. I luoghi della cultura, Meltemi, Roma 2001, ISBN 88-8353-066-7
di Orazio Irrera *
Il complesso testo di Homi K. Bhabha cerca di esaminare, dalla prospettiva propria degli studi cosiddetti "postcoloniali", i temi della differenza culturale e dell’agire subalterno e marginale in rapporto alla riproduzione dell’autorità sociale e alle pratiche di discriminazione politica.
Il risultato è il tentativo di una "ri-scrittura" della storia della modernità da una prospettiva non eurocentrica che si propone di «disturbare quei discorsi ideologici che tentano di assegnare una normalità egemonica allo sviluppo diseguale e alle differenti vicende di nazioni, razze, comunità, popoli» (p. 237).
Si tratta infine di individuare quelle strategie di resistenza - legate ad un concetto di cultura come istanza irregolare creatrice di significato e valore - messe in scena dai vari antagonismi sociali allorquando sono in gioco l’emancipazione sociale e la sopravvivenza culturale.
La migrazione, l’esilio, la marginalità sociale e culturale sono accomunate da quella che Bhabha chiama «estraneità al domestico», ovvero da quel fenomeno che si riferisce alla tendenza a sradicarsi e a perdere la propria identità "di partenza" o "originaria", ma anche alla possibilità di ri-scrivere attivamente la propria storia personale a partire dall’esperienza della ridislocazione.
Il concetto di identità che ne deriva non risulta un «riflesso di tratti etnici e culturali già dati, ma una negoziazione complessa e continua che conferisce autorità a ibridi culturali nati in momenti di trasformazione storica e sociale» (p. 13).
Quest’esperienza di ri-scrittura e di ibridazione incrina il discorso storicistico della modernità eurocentrica, che si fonda su un’autorappresentazione tramata dagli ideali di progresso morale e civile, oltre che materiale; il presente storico risulta essere infestato da passati non nominati e non rappresentati che aprono la possibilità discorsiva di ridefinire i luoghi in cui vengono prodotte quelle soggettività cui finora è stato negato un sostanziale riconoscimento.
All’interno dell’economia del discorso di Bhabha, e degli studi postcoloniali in genere, un ruolo fondamentale è giocato dal concetto di "ibridità" (e dalle nozioni equivalenti di "imitazione", "cortesia astuta", "re-inscrizione") che fanno riferimento a quegli incroci inattesi che sono impliciti nel processo di riproduzione dell’autorità coloniale e che contribuiscono a indebolirla, favorendo delle dinamiche di negoziazione culturale che portano alla creazione imprevedibile e incontrollabile di soggettività alternative ed antagoniste in grado di sovvertire le relazioni di dominio da cui sono germinate.
Solo a titolo di esempio è possibile ricordare le vicende relative all’assimilazione "parziale" della Bibbia da parte dei nativi indiani - trattate da Bhabha nel cap. 6, «Segni premonitori» - per cui attraverso la diffusione di questo libro "inglese" si tentava di nascondere le sue particolari condizioni di enunciazione, ovvero il progetto del piano Burdwan che mirava ad indurre i nativi a partecipare alla distruzione della propria cultura e religione per creare «una classe di persone, indiane di sangue e di colore, ma inglesi nei gusti, le opinioni, la moralità e l’intelletto», come diciassette anni più tardi si esprimerà a proposito di questo progetto Th. Macaulay nella sua Minuta sull’educazione.
Ma nella ripetizione di questo "significante" dell’autorità coloniale si verifica un’appropriazione e uno slittamento del simbolo dell’autorità che viene appunto "ibridizzato" e deformato dalle domande e dalla ricezione nativa. Il simbolo dell’autorità coloniale viene così de-contestualizzato dal sistema differenziale di segni di matrice coloniale, volto ad affermare la propria autorità e a legittimare la situazione di dominio e subordinazione dei nativi, e viene così re-inscritto in un nuovo sistema differenziale, assumendo un significato che sovverte la strumentalità e le strategie di potere sottese al significante Bibbia (appartenente al "vocabolario" dell’autorità coloniale).
L’esercizio del potere da parte dell’autorità coloniale, soprattutto per quel che riguarda la dimensione culturale, chiama in causa per la. «l’attitudine nella pratica politica a creare immagini o a rappresentare» e a coinvolgere l’immaginario nel processo di identificazione sociale e psichica.
Le complesse spiegazioni di Bhabha si sviluppano allora su una sorta di doppio registro che tiene conto sia delle tematiche psicanalitiche, con particolare riguardo alle teorie di J. Lacan e F. Fanon, sia di quelle semiotiche implicite nella dimensione discorsiva dell’esercizio dell’autorità. I soggetti sia individuali che collettivi formatisi nei diversi processi di identificazione sociale e culturale risultano essere inscritti contemporaneamente «nell’economia del piacere e del desiderio e nel discorso del dominio e del potere» (p. 99).
Le analisi di Bhabha vengono quindi condotte sui sistemi di rappresentazioni del potere coloniale e sulle dinamiche inerenti alla costruzione ideologica dell’alterità; in particolare nel cap. 3, «La questione dell’Altro», viene affrontata quella modalità di conoscenza e potere che è lo "stereotipo", che agisce bloccando la rappresentazione della differenza fissandola entro «coordinate di conoscenza» (soprattutto di natura razziale e sessuale) che producono al contempo differenziazione, fissazione, gerarachizzazione e difesa, articolando sul piano della rappresentazione le strategie discorsive del dominio coloniale.
La modalità di conoscenza stereotipica attraversa i vari discorsi eurocentrici «che creano "l’Oriente" come una zona del mondo unitaria da un punto di vista razziale, geografico, politico e culturale» (p.104) e garantisce un sistema coerente di rappresentazioni, unificato in virtù di un intento politico e ideologico: «creare un’immagine dei colonizzati come popolazione composta da tipi degenerati in base alle loro origini razziali, per potere in tal modo giustificare la conquista e fondare dei sistemi di amministrazione ed istruzione» (p.103).
Allo stesso tempo lo stereotipo è indagato «sotto forma di feticcio», come l’oggetto "buono" che facilita i rapporti sessuali in base ai meccanismi rassicurativi che ripudiano la differenza sessuale; l’ansia di castrazione e il riconoscimento della differenza sessuale in quanto minacce all’identità sono frenate dal feticcio da un lato grazie ad un gioco di metafore (come sostituzioni che mascherano l’assenza e la differenza) e di metonimie (che registrano la mancanza percepita attraverso contiguità), e dall’altro attraverso due forme di identificazione complici nell’Immaginario, ovvero il narcisismo e l’aggressività.
La conoscenza stereotipica è dunque - proprio come il feticcio - sempre ambivalente e oscilla fra l’affermazione arcaica di pienezza e somiglianza col già noto o con un’origine ritenuta "pura" e l’ansia che si associa alla mancanza ed alla differenza. A livello di formazione degli enunciati, che costituiscono il versante discorsivo del potere coloniale, la conoscenza si scinde in modo complementare in dati "ufficiali", vagliati scientificamente e "fantasie", determinate da operazioni aggressive/difensive di natura inconscia.
L’"evidenza del visibile", che fonda le pratiche discriminatorie e blocca il gioco delle differenze, risulta essere costruita da queste complesse e ambivalenti strategie di potere, l’"effetto di verità" o la "trasparenza discorsiva" sono obiettivi strategici di primaria importanza nell’esercizio dell’autorità coloniale. La posizione teorica di Bhabha è caratterizzata proprio dall’articolazione di tali dinamiche relative al sapere/potere con dei meccanismi proiettivi e introiettivi che si riferiscono all’inconscio.
Posizione di rilievo all’interno delle tematiche esposte nel testo assume il rapporto fra nazione, narrazione e temporalità. Nelle analisi sulla genesi della nazione moderna il ruolo attribuito alla letteratura è fondamentale, produzione culturale e identità politica si intrecciano di continuo dando vita a strategie di identificazione che si compiono in nome del popolo o della nazione.
La costruzione dell’unità nazionale moderna attraverso gli apparati di potere simbolico - che Bhabha riassume con la formula al di là dei molti, uno - presuppone inoltre un particolare tipo di temporalità sincronica e cumulativa (che si richiama al tempo "omogeneo e vuoto" dello storicismo di cui parla Walter Benjamin) che ha il compito di omogeneizzare culturalmente territori e gruppi di individui diversi, trasformando la differenza di spazio in identità di tempo, costruendo narrativamente il mito di un origine pura e comune.
Tuttavia questa temporalità continua e cumulativa, che il nostro chiama "pedagogica", è solo un tratto di un movimento narrativo duplice e ambivalente; infatti la richiesta di rappresentatività sempre presente nel tessuto sociale provoca delle crisi nel processo di significazione narrativa, proprio perché la riproduzione dei simboli dell’attività nazionale è messa in atto sempre e di continuo e soprattutto da soggetti diversi che contribuiscono in modo molteplice e con elementi culturali nuovi a quell’integrazione marginale di individui che per Bhabha è il movimento fondamentale della vita della nazione moderna.
La ripetizione dei segni della cultura nazionale implica perciò un elemento "performativo" che apre uno spazio di significazione alle "pratiche emergenti" prodotte da soggettività storicamente decentrate; il proliferare della differenza turba la temporalità sempre identica del pedagogico e inaugura un presente tramato di "indecidibilità", simile allo Jeztzeit di Benjamin, in cui un evento imprevedibile può sconvolgere o sovvertire la temporalità omogenea e vuota di una nazione. La vita della nazione, allora, non sarà più delimitata dai confini spaziali che la separano da altre nazioni, ma dovrà far i conti con una «polemica marginalità interna». Motivo per cui le proiezioni paranoidi rivolte all’esterno tornano a tormentare il luogo stesso da cui hanno preso forma, mentre l’aggressività che prima veniva indirizzata all’esterno si riversa ora nello spazio identitario della nazione. Se il simbolo dell’identità nazionale garantisce un’identità stabile con ciò che simboleggia, esso viene sconvolto e trasformato in segno, il cui continuo movimento traduttivo lo fa slittare senza fine da una posizione sociale ad un’altra.
La ripetizione del segno porterà sempre con sé uno scarto temporale, un ritardo, che veicola tutta la novità delle posizioni sociali emergenti da una complessa dinamica di negoziazione, in cui - come abbiamo sopra visto nel caso della Bibbia - si verifica un’appropriazione "parziale" che incrina il sogno stesso dei soggetti sociali dominanti, ovvero un’imitazione da parte dei subordinati. Questa mimesi infatti è sempre parziale e costituisce quell’Unheimlich che destabilizza le strategie identitarie ed assimilazioniste dei soggetti egemoni. Il popolo come unità è costretto a ridefinirsi in un movimento impresso di continuo dalla marginalità; il processo omogeneizzante di sedimentazione storica (pedagogico) è sempre turbato dalla tendenza a perdere la propria identità in seguito al contatto con l’Altro (performativo).
Questo "terzo spazio di enunciazione" - fondamentale per la scrittura della nazione moderna - situato in quella dimensione inter-stiziale o inter-media (in-between) in cui si svolge la negoziazione e l’emergere di nuove soggettività alternative è il "luogo" in cui la differenza culturale ri-articola «la somma di conoscenze dalla prospettiva della singolarità significante dell’"altro" che resiste alla totalizzazione - la ripetizione che non si trasforma nell’identico, la carenza originaria che dà luogo a strategie politiche e discorsive in cui l’aggiungere-a non significa sommare, ma serve a turbare il calcolo del potere e della conoscenza producendo altri spazi di significazione subalterna» (p. 225).
* Fonte: Jura Gentium
* Alcune pagine (in rete) da: H.K. Bhabha, I luoghi della cultura.
FLS