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PIANETA TERRA. Tracce per una svolta antropologica...

MITO, FILOSOFIA, E TESSITURA: "LA VOCE DELLA SPOLETTA È NOSTRA" ("The Voice of the Shuttle is Ours"). Un testo di Patricia Klindienst (trad. di Maria G. Di Rienzo) - a c. di Federico La Sala

OVIDIO. La tela di Aracne apre il libro sesto delle "Metamorfosi", la storia di Filomela lo chiude (...) Prima che la dea adirata Atena (Minerva) stracci la stoffa tessuta da Aracne, la tessitrice, donna mortale, racconta su di essa una storia molto particolare (...)
sabato 13 aprile 2019
[...] In Una stanza tutta per sé, Virginia Woolf ci fornisce una comica metafora
della poetica femminista usando l’esempio del gatto di razza Manx, che vive
sull’isola di Man. Dalla finestra ella vede questo gatto attraversare il
prato: nota che apparentemente al gatto "manca" qualcosa, ma si chiede se la
sua condizione non sia primariamente solo una "differenza" dai gatti con la
coda. È il gatto senza coda un mostro della natura, una mutazione? O è un
prodotto della cultura, un (...)

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> MITO, FILOSOFIA, E TESSITURA: "LA VOCE DELLA SPOLETTA È NOSTRA" ("The Voice of the Shuttle is Ours"). --- Trama e ordito. Cosa sarebbe successo a Ulisse se Penelope avesse smesso di tessere la sua tela? (U. Galimberti).

martedì 18 gennaio 2022

Lettere

Le trame delle donne

Cosa sarebbe successo a Ulisse se Penelope avesse smesso di tessere la sua tela?

Risponde Umberto Galimberti *

Prima che l’uomo erigesse un muro invalicabile a dividere la Natura dalla Storia, penso l’esistenza avesse un senso diverso dall’insostenibile peso di viverla, come accade da 5000 anni a oggi per 5 miliardi di persone su 6. Oggi i "tempi storici" sono superati nella lentezza delle trasformazioni che li producono e quindi la Storia stessa, che può definirsi un continuo succedersi di mutamenti effimeri ancorché tragici, sta morendo e con lei i riferimenti culturali maschili che maggiormente l’hanno espressa (e ancor oggi la esprimono): poteri, guerre e religioni. Oggi abbiamo il "tempo reale", che è senza attese e ci porta sia verso un progresso scientifico ad accelerazione esponenziale, sia verso la nostra Natura e il sentimento di corrispondervi. Se la Storia era "trina", la Natura è duale: vita-morte, bene-male, giorno-notte, femminile-maschile avranno di nuovo la stessa dignità ormai indifferente agli esorcismi e alle divisioni che la Storia gli imponeva. La tradizione del kilim risale, nel tempo, lungo 500 generazioni, da quando, ancora in epoca neolitica, la prima civiltà si esprimeva all’interno di una cultura femminile. Per questo motivo, per il complesso simbolico che anima i suoi segni e i suoi colori, per la straordinaria e sempre uguale ritualità di cui era all’origine, l’antico kilim è l’icona vivente speculare alla nostra esistenza, in cui luci e ombre, colore e dinamica affermano la propria specificità in quell’eterno che per alcuni è divino. Sa dirmi qualcosa di questo enigmatico tessuto a cui le donne affidavano quel segreto che è la loro natura, forse a esse stesse ignota?

Dario Valcarenghi, Milano

La sua enigmatica lettera contiene un messaggio che, se fosse recepito, potrebbe evitare all’Occidente, terra della sera, il suo tramonto. La via che lei indica è nell’attenta decifrazione degli antichi kilim che, nell’Anatolia, le donne tessevano secondo un’antica scrittura simbolica che ha preceduto quella alfabetica, che gli uomini hanno introdotto per la "loro" comunicazione. Le donne conoscevano il due: la terra e il cielo. E consideravano se stesse espressione della terra generatrice; fecondata dai raggi di luce e dalle lacrime del cielo.

Gli uomini, abbandonata la natura, inaugurarono la storia che è tre: cielo, terra e uomo. Il simbolo cosmologico (cielo e terra) divenne antropologico: non più la terra e il cielo, ma l’uomo che dispone del cielo e della terra. Questo passaggio segnò il congedo dalla natura (duale) a favore della storia (triadica) che tratta cielo e terra non più come orizzonte e confine ma come materia da impiegare per le proprie artificiali costruzioni.

Tra le costruzioni artificiali c’è la scrittura, svalutata da Platone come può essere una copia pietrificata rispetto a un dialogo vivente. Eppure il "testo" che la scrittura compone viene dal latino "textus" che significa "tessuto", in cui è possibile scorgere una "trama" e un "ordito", le due componenti della tessitura, misteriose, enigmatiche, se è vero che "tramare" e "ordire" esprimono a un tempo la cadenza della natura che tesse il filo della vita e le scansioni della storia che ribolle di congiure e sinistri disegni. Perché la storia che l’uomo inaugura con le sue imprese è appesa al filo che la donna tesse nell’attesa.

Se Penelope avesse smesso di tessere la sua tela Ulisse avrebbe perso il filo che lo teneva legato alla sua Itaca. Tutto quello che accade a Ulisse, tutto il suo peregrinare e viaggiare, in una parola tutta la sua storia dipende dal filo che Penelope tesse. Perché la storia è iscritta nella natura e guai a quell’uomo, a quella cultura, a quella civiltà che tradisce questo rapporto e, come l’Occidente, perde l’orma del mondo naturale. OR-MA TRA-DITA è quel che risulta mescolando tra loro le sillabe di OR-DITO e TRA-MA.

Non sono giochi di parole, ma misteriosi segni delle donne che, come la natura, danno la vita. Una vita appesa a quel cordone ombelicale che ci tiene vivi quando, incoscienti, dormiamo nel buio del ventre materno. Una vita appesa a un filo, come quello delle tre Parche, figlie di Zeus, che regolavano la durata della vita di ognuno: "Una avvolge il filo, l’altra lo misura, la terza lo taglia".

Misteriosa orchestrazione di messaggi in codice, di alfabeti dimenticati, di simboli trascurati eppure fondanti quella cultura universale, da cui l’Occidente si è separato per affermare il primato della storia sulla natura, anzi della sua storia su quella primordiale cultura che concepisce la vita come unione degli opposti: la trama e l’ordito, il maschio e la femmina, il cielo e la terra, la vita e la morte.

Per avere smarrito questa simbolica duale, di cui la donna è gelosa custode, noi occidentali trattiamo i kilim, le cui figure raccontano una storia di novemila anni trasmessa da madre a figlia, come semplici tappeti da calpestare. E in essi più non avvertiamo quella presenza amica che proteggeva dal vento e dalla sabbia, serviva da mensa, da letto, fungeva da spazio sociale, per discutere e chiacchierare, da culla per bambini, da paramento funebre, da luogo di preghiera, da serbatoio di segreti dove intessuti erano i sogni delle donne che la storia degli uomini ha solo trascurato e calpestato. Eppure lì, nel kilim, c’è la trama profonda del senso della storia che nascite e morti cadenzano, come vuole il ritmo della natura, che non si è mai fatta incantare dal racconto della storia nel suo incessante proferir parole di riscatto, progresso, redenzione.

* Fonte: la Repubblica, D-memory, 440, Marzo 2005


KILIM: "[...] la memoria è un fatto interiore e "ki-lim" (la parola ricondotta alle sue radici) vuol dire "come dentro". Ce lo ricorda, riprendendo l’ etimologia da Giovanni Semerano, Dario Valcarenghi il più esperto in Italia di Kilim anatolici e autore di quello splendido "catalogo": Storia del Kilim anatolico (1994) che l’ editrice Electa farebbe bene a ripubblicare se ancora gli editori hanno cura dei libri importanti. "Come dentro" perché i gesti delle donne che da cinquecento generazioni compongono le trame e gli orditi dei Kilim rispondevano a una esigenza interiore, le figure che uscivano dalle loro mani non erano il frutto di mediazioni culturali, ma avvenivano senza coscienza, come risultato puro del sentimento del mondo. Ne abbiamo conferma, come dicevamo, da Giovanni Semerano che ha pubblicato da Leo Olschki, editore in Firenze, quattro volumi, di cui due dizionari etimologici su Le origini della cultura europea (1994) [...] Il Kilim fa essere la visione cosmologica come è stata interiorizzata dall’ uomo, prima dell’ avvento della storia, prima che l’ uomo si ponesse al centro dell’ universo e facesse ruotare l’ universo intorno a sé [...]" (U. Galimberti, "Il tappeto che vola nel Tempo", 25 sett. 1999)


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