STORIA E STORIOGRAFIA.
LA "RESURREZIONE DEI MORTI". SULL’UTILITA’ E IL DANNO DELL’ARALDICA PER LA VITA... *
LO STEMMA DELLA CITTA’ DI APRILIA *
Un approfondimento
di don Antonio Pompili, Socio Ordinario dell’Istituto Araldico Genealogico Italiano
Lo stemma di una città riflette le peculiarità, le tradizioni del suo territorio, della sua storia, rappresentando, attraverso figure e colori scelti per il loro significato simbolico, i valori sui quali la città è stata concepita e nei quali una intera comunità si riconosce, perché assimilatati nel corso delle generazioni e degli eventi che ne hanno caratterizzato il passato. Aprilia, come gli altri comuni di fondazione dell’Agro Pontino è il risultato di un intervento massiccio e invasivo dell’uomo che, attraverso la bonifica tentata per più volte nel corso della storia ma realizzata solo nel secolo passato, ha modificato sostanzialmente un ambiente ostile all’uomo e al suo insediamento, convertendolo alle sue esigenze economiche, politiche e strategiche. Si tratta di uno scenario completamente nuovo rispetto ad origini molto più antiche vantate da moltissimi altri comuni italiani che, nati a partire dal Medioevo, trovarono la base vitale per la genesi dei relativi stemmi civici nelle insegne dei signori che dominavano i loro territori, o in miti legati alla loro fondazione, o ancora negli stilemi architettonici di torri, castelli, abbazie e altri monumenti che ne tratteggiarono i connotati e tutt’oggi ne costituiscono il fascino.
Il processo di composizione delle insegne araldiche di Aprilia è stato fortemente condizionato dall’assenza di una storia civica o di miti fondatori cui appellarsi, prevalendo dunque inevitabilmente l’aspetto politico e ideologico, insieme al nome stesso imposto alla Città, scelto per il suo valore simbolico.
Lo stemma della Città di Aprilia si caratterizza come un’arma «parlante», più specificamente diremmo «alludente», in quanto le figure che lo caratterizzano, le 5 rondini che si stagliano su un campo di cielo, richiamano in maniera allusiva il nome stesso della Città, che è legato alla fondazione nel mese di Aprile (del 1936).
Quarta città dell’Agro Pontino bonificato (dopo Littoria, oggi Latina, quindi Sabaudia e Pontinia), il nome che le fu imposto suona come fortemente augurale poiché allude all’«aprirsi» del luogo ad una nuova vita. Presso l’Archivio Centrale dello Stato si trova un documento a firma dell’Architetto Oriolo Frezzotti, autore del piano regolatore di Latina e degli edifici pubblici di Pontinia e anche di alcuni a Sabaudia.
In una cartella presente nel fondo relativo al Comune di Pontinia si trova un appunto manoscritto dello stesso Frezzotti che descrive l’origine del nome dei centri dell’Agro Pontino. Secondo tale documento la descrizione dell’origine del nome di Aprilia, sulla quale si basa l’iconografia simbolica dello stemma della Città, è da individuarsi - similmente agli altri comuni pontini di nuova fondazione - come aggettivo del sostantivo civitas, per cui Aprilia civitas è «la città dell’Aprile o della Primavera».
Il primo bozzetto acquerellato dello stemma del nuovo centro dell’Agro Pontino fu predisposto da Araldo di Crollalanza, presidente dell’O.N.C. (Opera Nazionale Combattenti), e erede di una famiglia di insigni araldisti che contribuirono tra la fine del XIX sec. e l’inizio del XX a un aggiornamento in Italia della scienza del blasone. -Il Crollalanza spedì il bozzetto, realizzato su un cartoncino di tipo bristol di dimensioni 24 per 32 centimetri, il 2 ottobre del 1937: esso consisteva in uno scudo azzurro su cui erano presenti cinque rondini nere sormontate dal Capo del Littorio, che in base alle leggi allora in vigore (R.D. n. 1440 del 12 ottobre 1933) doveva completare gli stemmi civici e che era di rosso con fascio littorio d’oro, circondato da due rami di quercia e d’alloro annodati da un nastro dei colori nazionali. Tra il capo e il campo principale vi era un «filetto d’argento». -Tale presenza si giustificava probabilmente ai fini di una corretta sintassi araldica, per evitare quello che in termine tecnico si direbbe un «cucito», vale a dire l’accostamento diretto tra di loro di due dei cinque «colori» (rosso, azzurro, verde, porpora, nero) o dei due «metalli» (oro e argento) contemplati come «smalti» propri dall’araldica. In questo caso per evitare l’accostamento tra il rosso del capo littorio e l’azzurro del campo principale.
Simile accortezza non è riscontrabile negli originali stemmi degli altri comuni pontini che pure furono costituiti nelle loro versioni al tempo del regime fascista da uno scudo d’azzurro. Lo scudo del bozzetto per lo stemma di Aprilia era infine sormontato da una corona color giallo-oro e ornato ai fianchi e in punta da un listello bicolore giallo e verde.
Nell’istanza di richiesta indirizzata dal Commissario prefettizio (che ad Aprilia assolveva alle funzioni del Podestà) al Re Vittorio Emanuele III, oltre al disegno a colore dello stemma, furono indicati i criteri seguiti per la composizione simbolico-raffigurativa dello stemma comunale. Ne emergeva da una parte come lo stemma volesse illustrare il nome di Aprilia, e dall’altra come per tale composizione mancava una simbologia precedente a cui appellarsi, anche in relazione dell’origine artificiale del territorio su cui sorgeva il nuovo Comune, ultimo dei quattro di fondazione dell’Agro Pontino bonificato.
Si legge infatti nella deliberazione n. 4 datata 28 gennaio 1938:
Merita attenzione anche l’aspetto grafico del bozzetto. Questo rispecchiava lo stile e le espressioni grafiche dell’epoca, ricordando canoni estetici propri dell’architettura razionalista - secondo i nuovi ed inediti criteri della quale era stata concepita l’urbanistica di Aprilia - e mostrando l’influsso del movimento artistico-culturale futurista. Infatti l’impianto grafico del disegno era caratterizzato da un aspetto stilizzato e di gusto dinamico, soprattutto a motivo della forma arcuata dello scudo, evidenziata dal movimento del nastro decorativo, oltre che dalla corona turrita, che non corrispondeva alla grafica propria della corona araldica codificata per gli stemmi civici ma ne era una libera più moderna interpretazione, pur conservandone indubbiamente la funzione di contrassegno.
Di fatto, il bozzetto non era corrispondente alle regole stabilite in materia araldica. Lo scudo doveva essere di forma sannitica, mentre troviamo una libera interpretazione della sua foggia, per quanto interessante potesse essere il suo stile; il nastro decorativo era un vezzo che non poteva avere spazio dovendo gli elementi esterni allo scudo avere solo il ruolo identificativo del rango dell’ente territoriale; la corona turrita manteneva solo un vago aspetto della corona muraria che era prescritta per gli stemmi civici.
Anche se non conforme alle regole araldiche, lo stemma civico campeggiava, in una versione scultorea realizzata secondo le fattezze del bozzetto originario e con tanto di nastro decorativo, all’ingresso dell’arengario, andato distrutto insieme alla torre civica con i bombardamenti che hanno duramente provato la Città. La stessa raffigurazione proposta per la concessione, in stile più contemporaneo e non rispondente alla foggia poi effettivamente concessa, si trova sulla medaglia commemorativa coniata per Aprilia, raffigurante da un lato il profilo del Duce, dall’altra lo stemma civico.
Ma tornando all’iter per la concessione dello stemma, si comprende bene come la relazione a Benito Mussolini svolta dal Commissario del Re presso la Consulta Araldica il 16 dicembre del 1938 in merito alle istanze presentate dal Podestà di Aprilia nel precedente mese di aprile, riporti un blasone nel quale non si parla del nastro ornamentale ma si richiamano le ornamentazioni caratteristiche degli stemmi civici: «Lo stemma proposto può così descriversi; campo di cielo, a cinque rondini di nero al volo spiegato, in formazione di cuneo rovesciato. Capo del Littorio: di rosso (porpora) al fascio Littorio d’oro circondato da due rami di quercia e d’alloro annodati da un nastro dei colori nazionali, sostenuto da una fascia d’argento. Ornamenti esteriori di Comune».
Notiamo che nel blasone descritto nel testo nella concessione regia dello stemma e del gonfalone comunale, non si nominerà la «fascia d’argento» (in realtà, secondo una più precisa terminologia, considerata la ridottissima altezza di questo elemento, dovremmo dire il «filetto d’argento»), che pure era presente nel bozzetto originario, come nel testo della deliberazione del Commissario Prefettizio del gennaio 1938. Notiamo inoltre che il campo principale non è di azzurro, ma «di cielo». Si tratta di una variante dell’azzurro caratteristica dell’araldica italiana, che riproduce il cielo nel suo aspetto naturalistico, anche comprensivo di formazioni nuvolose indistinte. Di fatto non corrisponde dunque ad un campo ripieno di un piatto celeste (come poteva ad esempio essere inteso dalla suddetta deliberazione, in cui si parlava di un «campo celeste chiaro», non essendo necessariamente note agli amministratori comunali le regole per una corretta blasonatura). -Esattamente il campo di cielo sarà quello descritto nella concessione di Re Vittorio Emanuele III con R.D. dell’8 aprile 1939: Campo di cielo, a cinque rondini di nero al volo spiegato, in formazione di cuneo rovesciato. Capo del Littorio, di rosso (porpora) al Fascio Littorio d’oro, circondato da due rami di quercia e d’alloro, annodato da un nastro dei colori nazionali. Ornamenti esterni da Comune.