Inviare un messaggio

In risposta a:
V-angelo

IL VANGELO DI GIUDA ... E IL MESSAGGIO EVANGELICO di prof. Federico La Sala

domenica 7 maggio 2006 di Emiliano Morrone
IL VANGELO DI GIUDA ... E IL MESSAGGIO EVANGELICO
di Federico La Sala
Se è vero, come è vero, che “il nucleo centrale del cristianesimo” è - come puntualizza Gianfranco Ravasi (“Giuda tra libertà e disegno divino, Il Sole-24 ore, 23.04.2006, p. 2) - “l’incarnazione del Logos, il Verbo, il Figlio di Dio divenuto uomo”, divenuto essere umano, allora perché non ci si chiede come mai il Codice da Vinci (“scempiaggini storiografiche che non meritano (...)

In risposta a:

> IL VANGELO DI GIUDA ...E IL MESSAGGIO EVANGELICO di prof. Federico san La Sala

lunedì 19 marzo 2007

Figlio di Simone, detto Iscariota - forse «di Kariot», villaggio palestinese meridionale, o deformazione da «sicarius», nome dei ribelli al potere romano, o «ish-karja», «uomo della falsità», per soprannome posteriore, o forse anche «tintore» - era entrato in scena nei Vangeli già a Cafarnao, dopo il discorso di Gesù sul «pane di vita», quando il Signore aveva esclamato: «Non ho forse scelto io voi, i dodici? Eppure uno di voi è un diavolo!». E Giovanni annotava: «Parlava di Giuda» Il contenuto dell’apocrifo intitolato al discepolo dei 30 denari, già noto per la testimonianza di Ireneo, non ha alcun valore per la ricostruzione storica delle ultime ore di Gesù e non inficia i dati evangelici, al contrario di quanto sostenuto da chiacchiere giornalistiche. L’opera nasce dalle elucubrazioni di un ambito piuttosto creativo del cristianesimo gnostico egizio, sofisticato quanto eterodosso

Giuda quante speculazioni sul Traditore

Si avvicina di più alla realtà «Il Maestro» di Max Brod (1952) che, al di là del suo Giuda nichilista, centra tutto sulla forza salvifica della donazione di sé compiuta da Cristo. L’apostolo rimane responsabile del suo atto: la libertà umana non è cancellata e non cade la responsabilità personale della spia. Ma questo atto è inserito da Dio in un progetto più ampio paradossalmente positivo

di Gianfranco Ravasi (Avvenire, 18.03.2007)

Come accade in medicina, potremmo parlare anche per il mondo editoriale dell’esistenza, in questi mesi, di una sindrome che attanaglia le redazioni, gli uffici stampa o quelli delle pubbliche relazioni: è la «sindrome Dan Brown» che spinge a consacrare ogni sforzo perché si ripeta quello stesso miracolo mediatico, che tra l’altro vede la religione (con buona pace di coloro che la ritengono il reperto inerte di un paleolitico culturale) come il lievito e la spezia fondamentale del successo. Dopo la Maddalena browniana, ora è la volta di Giuda Iscariota, il discepolo traditore. Si è cominciato con l’ormai popolare (anche se ignoto ai più nel testo originario) Vangelo apocrifo di Giuda e si continua ora, da un lato, con saggi che ripropongono quel testo antico in modo corretto come quelli di Enrico Giannetto (Medusa) o di Erich Noffke (Claudiana) o di Tom Wright (Queriniana) e d’altro lato, con parti di fantasia miscelati a materiali storico-critici, rispolverando anche romanzi ormai dimenticati ma dal titolo inequivocabile come il Vangelo secondo Giuda del polacco Henryk Panas (1912-1985), storia di un ricco e colto affarista che segue Gesù inizialmente perché innamorato della Maddalena (ci risiamo...) e che poi vive una storia più grande di lui, quella appunto del tradimento, che affiderà a un vangelo apocrifo (lo hanno appena riproposto le edizioni e/o).

Ma l’attenzione maggiore, nella linea del sogno di un nuovo Codice, è ora protesa sul Vangelo secondo Giuda di Beniamino Iscariota (Mondadori), opera di fiction elaborata da un curioso personaggio inglese, Jeffrey Archer, un lord finito in galera per falsa testimonianza e diventato poi autore di alcuni best-seller, con ammiccamenti teologici. Ho avuto occasione anch’io un paio d’anni fa di sentirlo, inviato a me dal cardinal Martini a cui egli si era rivolto proprio per la consulenza esegetica a questo romanzo. Io allora lo dirottai su qualche neotestamentarista delle università pontificie romane e fu così che egli incrociò il noto esegeta salesiano Francis Moloney che ora può godere di luce riflessa per questa sua assistenza, per altro accompagnata da quella di altri teologi anglicani. La presentazione dell’opera prevista martedì 20 marzo a Roma presso la Sala della stampa estera non deve far pensare che siamo in presenza di un saggio che proponga una nuova interpretazione della figura di Giuda. Non è certo nuova l’idea che quel discepolo abbia tradito non per denaro bensì per una delusione politica nei confronti di Gesù poco incline a cavalcare le istanze antiromane dell’Israele oppresso di allora. Un po’ meno scontata ma altrettanto esplorata è l’ipotesi che Giuda non si sia ucciso e che il racconto di quella fine tragica sia stata modellata su altri morti drammatiche come l’impiccagione di Achitofel, il consigliere traditore del re Davide (2 Samuele 17, 23). Sta di fatto, però, che ci troviamo di fronte a una sorta di romanzo storico che - attraverso la consulenza di Moloney - riesce solo ad assicurare affidabilità alle coordinate storico-culturali d’insieme e al relativo fondale. Noi ora ci accontentiamo di proporre ai nostri lettori due note di indole più generale riguardanti la figura dell’apostolo traditore.

La prima ovviamente vuole fare il punto sul vangelo apocrifo di Giuda, di cui si è tanto parlato (e favoleggiato) nei mesi scorsi. Si tratta di un codice papiraceo scritto in copto, la lingua tardo-egiziana, databile al IV secolo, traduzione di un testo greco che è da collocare nel II secolo perché, attorno al 180, il vescovo di Lione, sant’Ireneo, nella sua opera Contro le eresie dimostra di conoscerne e criticarne il contenuto. Scoperto in Egitto attorno agli anni ’70 del secolo scorso, il manoscritto apparve sul mercato antiquario statunitense negli anni ’80 e, dopo 17 anni di oscuramento, venne acquistato da un antiquario, Fieda Nussberger-Tchacos, che riuscì a piazzarlo, ad alto costo, alla svizzera Maecenas Foundation for Ancient Art. Quest’ultima, anch e per rifarsi dell’esborso, si accordò con l’americana National Geographic Society per un restauro, un’edizione critica, una traduzione inglese e un’ampia divulgazione della scoperta con uno straordinario battage pubblicitario, promettendo tra l’altro la restituzione del codice all’Egitto per collocarlo nel Museo Copto del Cairo.

Il contenuto di questo apocrifo - che, come si è detto, era già noto anche attraverso la testimonianza di Ireneo - non ha nessun valore per la ricostruzione storica delle ultime ore di Gesù e quindi non inficia minimamente i dati evangelici, al contrario di quanto sostenuto da molte chiacchiere giornalistiche. L’opera, infatti, nasce dalle speculazioni successive di un ambito piuttosto creativo del cristianesimo gnostico egiziano, un cristianesimo sofisticato, intellettualistico ed eterodosso. Lo stesso Gesù del Vangelo di Giuda è un essere celeste che oscilla tra incarnazioni diverse (ai discepoli si presenta come un bambino) e tra epoche differenti. Anche l’interpretazione della figura di Giuda, a prima vista suggestiva, è in realtà inficiata dalle tesi generali dell’eresia gnostica.

Egli sarebbe l’unico dei discepoli a scoprire la vera identità segreta di Gesù; e il suo tradimento è considerato come un evento provvidenziale ma non nel senso che intenderà la tradizione neotestamentaria e cristiana, e cioè con l’esito della morte e risurrezione di Cristo, sorgente di redenzione. La prospettiva del testo apocrifo è radicalmente diversa: Giuda contribuisce a mandare a morte non il vero Gesù ma solo l’uomo di cui l’essere spirituale Cristo era rivestito, il suo involucro materiale ed esteriore. Gesù, infatti, ha solo apparentemente assunto un corpo carnale per ingannare i «prìncipi di questo mondo» (gli «arconti») che presiedono alla storia e nascondersi tra gli uomini per riuscire a salvare, tra di loro, la sola stirpe eletta imprigionata nell’umanità peccatrice così da riportarla a quel cielo da cui era caduta. Il tradimento di Giuda fa , dunque, parte di quel progetto segreto e quello che è stato crocifisso ed è morto è stato solo un corpo umano insignificante. Tra parentesi ricordiamo che la tesi coranica secondo la quale sulla croce muore un sosia e non Gesù stesso nasce proprio dall’influsso di tesi gnostiche conosciute da Maometto forse attraverso i membri delle carovane cristiane egiziane che percorrevano l’Arabia. È facile, quindi, comprendere che il Vangelo di Giuda è solo l’espressione posteriore di teorie cristiane libere e fin stravaganti.

La seconda considerazione che vogliamo proporre punta, invece, sulla figura evangelica canonica di Giuda e sull’eco letteraria che, come si è visto, lambisce anche i nostri giorni. Giuda, figlio di Simone, detto Iscariota (forse «di Kariot», villaggio palestinese meridionale, o deformazione da sicarius, nome dei ribelli al potere romano, o ish-karja, «uomo della falsità», per un soprannome posteriore, o forse anche «tintore»), era entrato in scena nei vangeli già a Cafarnao, dopo il discorso di Gesù sul «pane di vita», quando Cristo aveva esclamato: «Non ho forse scelto io voi, i dodici? Eppure uno di voi è un diavolo!». E Giovanni annotava: «Parlava di Giuda, figlio di Simone Iscariota: costui, infatti, stava per tradirlo, lui, uno dei dodici!» (6,70). Era riapparso nella cena di Betania, nell’ultima settimana della vita di Gesù, quando aveva protestato per lo spreco del profumo di nardo versato sui piedi di Cristo da Maria, sorella di Lazzaro, meritandosi dall’evangelista anche il titolo di «ladro» (12,6). Matteo (26,14-16) aveva evocato questo aspetto quando lo raffigurava mentre pattuiva la somma di trenta monete d’argento per consegnare Cristo ai sommi sacerdoti, una notizia che - almeno nella cifra - è però modellata su un passo del profeta Zaccaria ove di scena è un pastore («essi pesarono trenta sicli d’argento come mia paga» 11,12).

Giuda era seduto a mensa con Gesù nell’ultima cena, quando «il diavolo gli aveva già messo in cuore di tradir e» il suo maestro che in quel momento gli offriva il «boccone dell’ospite», un segno di amicizia: «dopo quel boccone Satana entrò in Giuda», annota ancora Giovanni (13,2.27). E Matteo mette sulle labbra di Gesù l’annunzio del tradimento, sempre in quella sera, nel Cenacolo, e Giuda ipocritamente reagisce: «Rabbì, sono forse io? Gli rispose Gesù: Tu l’hai detto!» (26,20-25). Quelle parole, dette quasi in un soffio, fanno calare il sipario sulla vicenda di Giuda come discepolo di Gesù. Egli riapparirà al Getsemani per quel bacio dato a Cristo come un probabile segno di identificazione offerto nell’oscurità a chi doveva arrestare il Nazareno e divenuto l’immagine del tradimento (si pensi alla scena dipinta da Giotto nella Cappella degli Scrovegni a Padova). «Giuda con un bacio tradisci il Figlio dell’uomo?» (Luca 22,48): queste parole amareggiate di Gesù sono sostituite in Matteo da un secco ef’ho parei, «per questo sei qui!», ma accompagnato da un triste etaire, «amico, compagno» (26,50). Sarà solo Matteo, però, a registrare la tragedia di quest’uomo, che poco dopo corre dai suoi mandanti a restituire il prezzo di un tradimento, divenuto già insopportabile (27,3-10).

La fine drammatica ormai incombe. Matteo l’affida a una sola riga: «Giuda, scagliate nel tempio le monete d’argento, si allontanò e andò a impiccarsi» (27,5). Luca, nella sua seconda opera, gli Atti degli Apostoli, ci offrirà una versione più clamorosa di quella fine, rimandando forse a un passo della Bibbia (Sapienza 4,19) ove si dipinge a tinte forti il destino dei malvagi: «Giuda, precipitando in avanti, si squarciò in mezzo e si sparsero fuori tutte le sue viscere» (1,18). Una morte atroce, comunque essa sia accaduta, funge da sigillo a una vita forse segnata dall’illusione e dalla delusione, causate da una falsa immagine di Gesù, sognato come un messia politico e scoperto come un maestro dall’orizzonte troppo alto e remoto. Giuda rimarrà come un simbolo universale di tradimento, anche se sant a Caterina da Genova (XV secolo) affermava di aver ascoltato in visione un Cristo sorridente dirle: «Se tu sapessi quel che io ho fatto per Giuda...!» e don Primo Mazzolari in una sua famosa predica parlava di Giuda come del «prediletto di Gesù e nostro fratello».

Esiste, come si diceva, tutta una letteratura attorno a Giuda, talora pronta a ripercorrerne la vicenda sconcertante (pensiamo al frammento epico L’eterno ebreo di Goethe o alla Fine di Satana di Hugo o al Giuda di Lanza del Vasto, al Sale della terra di Carlo Monterosso, all’Opera del tradimento di Mario Brelich, ai Trenta denari di Ferruccio Ulivi, al Vangelo di Giuda di Roberto Pazzi e così via) ma spesso anche incline a cercarne una difesa o una giustificazione. Persino il cattolicissimo Claudel nella sua Morte di Giuda (1933) riabiliterà una certa paradossale buona fede del traditore; Roger Caillois nel suo Ponzio Pilato (1961) ne farà un santo, votato all’attuazione di un progetto superiore. «La verità è - dichiara Giuda nel Quinto evangelio di Mario Pomilio (1975) - che io non fui il traditore: fui piuttosto la vittima di un curioso piano di salvezza, esteso a tutti gli uomini, che per esplicarsi perfettamente doveva escludere me».

È la tesi radicale anche dell’Ultima tentazione di Gesù del greco Nikos Kazantzakis (1955) che presenta Giuda come il più pio degli apostoli che sceglie il tradimento per rendere possibile la morte sacrificale ed espiatrice di Gesù. Analogo è, per certi versi, quel «vangelo secondo Giuda» che è La gloria, romanzo di Giuseppe Berto (1978). Ma forse si avvicina di più alla realtà il Maestro di Max Brod (1952) che, al di là del suo Giuda nichilista, centra tutto sulla forza salvifica dell’amore e della donazione di sé compiuta da Cristo. Giuda, dunque, rimane responsabile del suo atto: la libertà umana non è cancellata e, quindi, non cade la responsabilità personale del traditore. Ma questo atto è inserito da Dio in un progetto più ampio paradossalmente positivo: i nfatti, è proprio attraverso l’oscurità del tradimento e poi dell’odio, della violenza e della morte che si celebra la fecondità della redenzione e dell’amore di Gesù che si dona per la salvezza dell’umanità.


Questo forum è moderato a priori: il tuo contributo apparirà solo dopo essere stato approvato da un amministratore del sito.

Titolo:

Testo del messaggio:
(Per creare dei paragrafi separati, lascia semplicemente delle linee vuote)

Link ipertestuale (opzionale)
(Se il tuo messaggio si riferisce ad un articolo pubblicato sul Web o ad una pagina contenente maggiori informazioni, indica di seguito il titolo della pagina ed il suo indirizzo URL.)
Titolo:

URL:

Chi sei? (opzionale)
Nome (o pseudonimo):

Indirizzo email: