Salò, Napolitano ferma La Russa
A Porta San Paolo il ministro della Difesa omaggia i fascisti della Repubblica sociale
Il Presidente: la Resistenza fu volontà di riscatto, eroico chi rifiutò di aderire alla Rsi:
«Chi rifiutò l’adesione alla Rsi è simbolo della volontà di riscatto del Paese»
di Marcella Ciarnelli (l’Unità, 09.09.2008)
LETTURA di parte di una pagina senza equivoci della storia del Paese. Ci ha provato a proporla il ministro della Difesa, Ignazio La Russa, rendendo omaggio ai militari che aderirono alla Repubblica sociale. Ma a smentirla ha provveduto subito con le sue autorevoli parole il presidente della Repubblica che ha ricordato come tra gli autentici simboli della Resistenza ci siano stati, oltre ai partigiani, proprio i militari che non aderirono alla Repubblica di Salò e per questo subirono la deportazione.
Porta San Paolo, sessantacinque anni dopo. Cielo azzurro. Palco rosso delle grandi occasioni. Al governo del Paese c’è il centrodestra. Roma è amministrata da un sindaco la cui militanza politica è nota e che proprio nelle ore precedenti alla celebrazione di questo 8 settembre che segnò anche la difesa strenua della Capitale dalle truppe neonaziste, è inciampato nella nostalgia. E in questa sede, tenta ancora una volta di correre ai ripari correggendo il tiro e condannando «senza esitazioni l’esito liberticida ed antidemocratico di quel regime».
Ma ci pensa il ministro a riaprire la polemica. E con che toni. Non ci è riuscito La Russa a non abbandonarsi ad un revisionismo che sembra aver trovato nuova linfa nei successi elettorali. Così il titolare della Difesa, davanti al Presidente della Repubblica che ascolta e riguarda gli appunti del suo intervento in cui è già prevista la puntualizzazione necessaria ad una rilettura distorta della storia, si lascia andare. E ricorda il sacrificio dei militari della Rsi che «dal loro punto di vista, combatterono credendo nella difesa della Patria». E cioè «quelli della Nembo che si opposero allo sbarco degli anglo-americani meritando, quindi, il rispetto, pur nella differenza di posizioni, di tutti coloro che guardano con obbiettività alla storia d’Italia».
Ma il presidente Napolitano non ci sta. La sua puntualizzazione storica è netta. Nel cuore del suo discorso invita a ricordare la Resistenza nella sua intierezza, nel suo «duplice segno: quello della ribellione, della speranza di libertà e giustizia che condussero tanti giovani a combattere nelle formazioni partigiane» e «quello del senso del dovere, della fedeltà e della dignità che animarono la partecipazione dei militari, compresa quella dei siecentomila deportati nei campi tedeschi, rifiutando l’adesione alla Repubblica di Salò». Dal Capo dello Stato è così arrivato l’invito a «rafforzare il comune impegno di memoria, di riflessione, di trasmissione alle nuove generazioni del prezioso retaggio della battaglia di Porta San Paolo, della difesa di Roma e della Resistenza» rivolto a tutti, ma per prime, alle forze politiche che sono state esortate ad «animare un clima di condiviso patriottismo costituzionale».
Il discorso di Napolitano viene da lontano. Segue il filo rosso della riflessione e dell’analisi storica che già furono all’origine del discorso che pronunciò a Cefalonia in occasione della commemorazione dei soldati che lì sacrificarono la loro vita e successivamente a Genova, città medaglia d’oro al valore, nell’anniversario del 25 aprile in cui mise in guardia dalle «false equiparazioni». Resta sullo sfondo quella necessità di una memoria condivisa che parta dal riconoscimento del valore della Resistenza i cui valori si ritrovano nella Carta Costituzionale che deve essere punto di riferimento comune, ma di cui debbono essere assunti i valori senza alcun ripensamento o rilettura di parte.
Il ministro La Russa ha perso l’occasione per farlo. Anche se poi ha cercato di minimizzare l’accaduto raccontando che Napolitano, nel breve tragitto dal palco all’auto, non gli avrebbe fatta nessun appunto al suo discorso.
Le parole del Capo dello Stato dal palco erano state chiarissime. E, quindi, non avevano bisogno di nessuna aggiunta. Ma La Russa ha insistito «nessun contrasto» mentre cominciavano a fioccare le reazioni alle sue parole. «Il cittadino La Russa può pensare quello che vuole, ma il ministro della Difesa è lì per ricordare la lotta antifascista da cui nasce la Repubblica di cui egli è ministro. Invece la repubblichina di Salò è un’altra cosa» ha detto Massimo D’Alema. Per Piero Fassino «non si possono equiparare libertà e dittatura. L’umana pietà non cancella la storia. «Le affermazioni del ministro La Russa e del sindaco Alemanno - afferma Rosi Bindi - non stupiscono e anzi confermano la fragile cultura democratica della destra italiana incapace di riconoscersi nei valori della Resistenza e della Costituzione». Il segretario di Rifondazione, Ferrero chiede le dimissioni del ministro. La destra, ovviamente, fa quadrato.