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VIVA L’ITALIA, VIVA LA COSTITUZIONE ....

LA SVOLTA DI SALERNO... E LA LOTTA PER LA LIBERTA’ E LA DEMOCRAZIA, OGGI! - di Federico La Sala

Un omaggio alla memoria al Presidente Pertini e un augurio al nostro Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano
mercoledì 25 aprile 2012 di Emiliano Morrone
Un omaggio e un augurio al nostro Presidente della Repubblica, GIORGIO NAPOLITANO
LA SVOLTA DI SALERNO... E LA LOTTA PER LA LIBERTA’ E LA DEMOCRAZIA, OGGI!
di Federico La Sala
Caro Direttore,
trovo più che necessario e urgente accogliere la sollecitazione di Giorgio Napolitano (sull’Unità del 13.10.2004, p. 25, su "Angelo Oliva e la memoria della sinistra"): "Troppe vicende e figure del passato [...] rischiano di scivolare nell’ombra della rimozione e dell’ignoranza, nel modo più freddo (...)

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> LA SVOLTA DI SALERNO... L’Italia e il cammino iniziato dal governo di solidarietà nazionale. Quell’ostracismo a sinistra poi la svolta atlantica. La Lectio magistralis tenuta da Giorgio Napolitano all’Ispi di Milano

giovedì 7 febbraio 2013


-   La Lectio magistralis tenuta ieri da Napolitano all’Ispi di Milano
-  Quell’ostracismo a sinistra poi la svolta atlantica
-  L’Italia e il cammino iniziato dal governo di solidarietà nazionale

di Giorgio Napolitano (Corriere della Sera, 07.02.2013)

La nostra Repubblica, le sue istituzioni, le sue forze politiche più rappresentative, conobbero prestissimo - nonostante il prodigioso approdo dell’Assemblea costituente, con l’approvazione a larghissima maggioranza della Legge fondamentale - una rottura radicale. A partire dal 1948, la divisione dell’Europa e del mondo in due blocchi contrapposti, a forte connotazione ideologica ancor prima che militare, si rispecchiò nell’antagonismo irriducibile tra i due maggiori schieramenti politici; e quello di opposizione, guidato dalla sinistra socialista e comunista, si identificò col duplice rifiuto iniziale del disegno di integrazione europea e dell’alleanza con gli Stati Uniti d’America.

Quel rifiuto, quella scelta di campo sul piano internazionale, avrebbe rappresentato una fatale palla di piombo al piede del partito divenuto egemone nella sinistra, bloccando a lungo una normale dialettica nei rapporti politici e nelle prospettive di governo del Paese.

Tuttavia, a partire dagli anni 60 si mise in moto un graduale riavvicinamento tra le principali forze politiche italiane nell’impegno europeistico, e innanzitutto nella partecipazione al Parlamento europeo. Fu necessario invece ancora un decennio per il superamento, nella sinistra, dell’ostracismo verso la Nato.

Ma un sostanziale ripensamento si fece strada di fronte alla sempre più scoperta e dura caratterizzazione - fin dall’intervento militare del 1968 in Cecoslovacchia - della leadership sovietica in termini di chiusura a ogni evoluzione democratica in seno al blocco dell’Est, e di negazione di ogni sovranità e libertà di determinazione nei Paesi membri del Patto di Varsavia.

Il punto di arrivo di quei processi di ripensamento e riavvicinamento venne segnato con la risoluzione, davvero «storica», approvata dal Senato e dalla Camera nell’ottobre e nel dicembre del 1977, cioè nel periodo del governo di «solidarietà nazionale». La risoluzione recava le firme dei rappresentanti - e ottenne il voto dei gruppi parlamentari - di tutti i partiti dell’«arco costituzionale». Quei partiti si riconobbero solidalmente, per la prima volta, «nel quadro dell’Alleanza atlantica e degli impegni comunitari, quadro» - cito - «che rappresenta il termine fondamentale di riferimento della politica estera italiana». Quel comune riferimento fu sottoposto - anche negli anni 80 - a non trascurabili tensioni e prove, ma non venne mai più offuscato.

Ma la questione oggi è quella del mutamento profondo della cornice mondiale entro cui è chiamata ad operare la politica estera e di sicurezza nell’Italia, pur in continuità con quegli ancoraggi fondamentali sanciti dal più vasto arco di forze politiche 35 anni orsono... Non si può, a questo proposito, non ripartire dal decisivo spartiacque rappresentato - tra il 1989 e il 1991 - dalla dissoluzione del Patto di Varsavia e quindi della stessa Unione Sovietica. Si aprì allora una fase che sarebbe durata fino alla fine del Ventesimo secolo o agli inizi del successivo.

E si può dire che mai si era avuta una simile affermazione del primato mondiale dell’Occidente, un simile esplicarsi della sua forza di attrazione politica, economica e ideale, insieme con la sopravvivenza - al lungo periodo della sfida con la superpotenza sovietica - degli Stati Uniti come sola superpotenza militare. Apparve allora non irragionevole parlare di mondo unipolare, e perfino di «fine della storia». Ma nel primo decennio di questo XXI secolo lo scenario mondiale è venuto esibendo trasformazioni tali da imporre ben diverse categorie di giudizio e di previsione.

L’emergere di nuove grandi realtà e forze protagoniste, innanzitutto, ma non solo, sul terreno economico - la Cina, l’India, il Brasile - il nuovo dinamismo di Paesi del Sudest asiatico e anche di un grande Paese come la Turchia nella vasta regione a cavallo tra l’Europa e l’Asia, il recupero di posizioni e il consolidamento, anche politico, della Russia, forte della valorizzazione delle sue risorse energetiche, hanno sancito un processo di spostamento del centro di gravità dello sviluppo mondiale dall’Atlantico al Pacifico. Ecco che allora una crescente attenzione è stata rivolta - guardando al mondo dall’Occidente - al «resto», come lo si è definito: sempre meno semplice e secondario «resto», ma decisivo quadrante del mondo in via di cambiamento.

È stato messo l’accento sui limiti della potenza americana, e sulle difficoltà di un’Europa ancora debolmente integrata e in perdita di produttività, si è evocata l’immagine di un «mondo post-americano» e si sono assunte con allarme le proiezioni del calo già in atto del peso demografico ed economico dell’Occidente. Né si può trascurare l’incidenza di un più complesso fenomeno, quello del drammatico sminuirsi del «global standing» dell’America, della sua credibilità presidenziale e nazionale, e della condivisione delle sue istanze di sicurezza.

Questa severa valutazione è stata motivata da Brzezinski sulla base di una drastica critica alle reazioni della presidenza di George Bush al terribile colpo sferrato da Al Qaeda al cuore dell’America l’11 settembre del 2001. Una drastica critica dell’impostazione e conduzione della pur giusta immediata risposta militare in Afghanistan, della grave decisione unilaterale di muovere guerra all’Iraq, dell’incapacità di esprimere una strategia di isolamento dell’estremismo e del terrorismo islamico dal più vasto mondo musulmano. Rispetto a quell’improvvido corso della politica internazionale degli Stati Uniti, una svolta lungimirante fu intrapresa dal presidente Obama. Ma egli era ormai alle prese con una nuova durissima prova.

La crisi finanziaria esplosa negli Stati Uniti nel 2008 per effetto - seguo la traccia della prima e forse più penetrante analisi, quella di Tommaso Padoa Schioppa - di una «resa dei conti sul disavanzo con l’estero degli Stati Uniti» e dello «scoppio della bolla immobiliare», entrambe generatrici di un’onda di «grande panico», si è propagata in Europa e ha introdotto uno «sconvolgimento complessivo nel corpo dell’economia globale».

Quel che non ha retto è stato il «modello di crescita senza risparmio dell’economia degli Stati Uniti». Siamo in effetti in un mondo che poggia su ben più numerosi pilastri, e che nello stesso tempo si può definire, come lo definisce Charles Kupchan, «un mondo di nessuno»; un mondo che si caratterizza per la graduale redistribuzione e comunque, innanzitutto, per la dispersione del potere globale ma è anche esposto al moltiplicarsi di focolai di crisi e di minacce alla sicurezza collettiva. Si impone quindi la ricerca di nuove sedi e scelte di governance globale innanzitutto sul piano economico, una nuova e più avanzata prospettiva multilateralista, un nuovo quadro di cooperazione e solidarietà...

Nel Medio Oriente e in Africa del Nord il «risveglio politico globale» si è manifestato con maggiore forza, ma con esiti e sviluppi assai diversi... In Siria una leadership, che era apparsa qualche anno fa sensibile all’esigenza di affrancarsi da pesanti tutele esterne e di avvicinarsi all’Europa, e che aveva, nel solco di una tradizione politica laica, garantito rispetto del pluralismo religioso, ha reagito nel modo più brutale, aggressivo e sanguinario alla contestazione popolare e ad ogni opposizione.

Ma anche là dove le primavere arabe sono state coronate da indubbio successo e hanno dato avvio a un processo di rinnovamento politico-istituzionale, sono seguiti caotici contraccolpi. Rispetto a questi fenomeni ci siamo atteggiati, come istituzioni italiane, nel solco di una storica strategia condivisa di attenzione e impegno nel Mediterraneo e di amicizia verso il mondo arabo.

La grande posta in giuoco, nel rapporto non solo col mondo arabo ma col più vasto mondo musulmano, è quella del superamento di radicali, devastanti contrapposizioni. Fa testo in questo senso lo storico discorso pronunciato dal presidente Obama nel giugno 2009 al Cairo. E fa testo anche per l’equilibrio con cui egli pose in quel contesto la questione del conflitto israelo-palestinese, in termini non acritici né verso gli uni né verso gli altri, sollecitando una soluzione basata sulla convivenza tra due Stati nella pace e nella sicurezza. È in questo approccio che si è riconosciuta e si riconosce l’Italia...

Ma torno ora alla tendenza generale che si può cogliere nel processo di trasformazione in atto. La crisi scoppiata nel 2008 e non ancora superata ha dato la prova di quanto sia profonda e stringente l’interdipendenza globale, la rete e l’intreccio dei rapporti, in ogni senso, tra tutte le economie del mondo, e come sia ineludibile l’affrontare insieme problemi di comune interesse. Può essere troppo audace il parlare di «alba di una nuova era di multilateralismo». Ma la prospettiva dovrebbe essere questa.

Peraltro, anche se il G20 ha affrontato con successo la prova del rafforzamento delle istituzioni multilaterali partendo dall’allargamento e irrobustimento del Fondo monetario internazionale, molti altri traguardi appaiono ardui e sappiamo come anche in altri fori, compresi quelli che fanno capo alle Nazioni Unite, si proceda a fatica verso risposte soddisfacenti a sfide di portata globale.

Nel mio riflettere e operare di questi anni sui temi della politica estera e di sicurezza italiana, ho cercato di cogliere la profondità delle trasformazioni nel quadro mondiale ma non ho mai ceduto alla suggestione di un fatale declino dell’America e dell’Occidente. Restiamo legati da ogni punto di vista all’amicizia e alleanza con gli Stati Uniti... Come italiani e come europei, siamo soprattutto legati a un patrimonio storico comune di idealità, di principi e di valori, che ci fanno identificare, a fianco dell’America, con l’Occidente come luogo della democrazia e dei diritti umani.

Perciò il punto d’arrivo del percorso politico e istituzionale che ho vissuto negli ultimi sette anni è la parte che ora tocca fare all’Europa nella prospettiva di un rinnovato ruolo dell’Occidente. E dicendo Europa, intendo Europa unita. In questo mondo l’Unione Europea saprà porsi «all’altezza delle sue potenzialità e responsabilità?». È una domanda che la crisi attuale dell’Unione, dell’eurozona e più in generale del progetto europeo, non ci dà alibi per eludere.

L’impegno a superare la crisi, traendone tutte le lezioni, deve corrispondere proprio all’esigenza di portarci, in quanto Europa unita, all’altezza delle nuove responsabilità. Ciò comporta un’accresciuta volontà di procedere in tutte le direzioni individuate dalle istituzioni europee per rafforzare, completandola, l’Unione economica e monetaria e imprimerle una nuova capacità di promozione dello sviluppo economico e sociale dell’Europa. Ma non basta. È indispensabile procedere sul serio verso l’Unione politica.


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