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VIVA L’ITALIA, VIVA LA COSTITUZIONE ....

LA SVOLTA DI SALERNO... E LA LOTTA PER LA LIBERTA’ E LA DEMOCRAZIA, OGGI! - di Federico La Sala

Un omaggio alla memoria al Presidente Pertini e un augurio al nostro Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano
mercoledì 25 aprile 2012 di Emiliano Morrone
Un omaggio e un augurio al nostro Presidente della Repubblica, GIORGIO NAPOLITANO
LA SVOLTA DI SALERNO... E LA LOTTA PER LA LIBERTA’ E LA DEMOCRAZIA, OGGI!
di Federico La Sala
Caro Direttore,
trovo più che necessario e urgente accogliere la sollecitazione di Giorgio Napolitano (sull’Unità del 13.10.2004, p. 25, su "Angelo Oliva e la memoria della sinistra"): "Troppe vicende e figure del passato [...] rischiano di scivolare nell’ombra della rimozione e dell’ignoranza, nel modo più freddo (...)

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> LA SVOLTA DI SALERNO... E LA LOTTA PER LA LIBERTA’ E LA DEMOCRAZIA, OGGI! - L’idea originale dei comunisti italiani fu soprattutto quella di farsi classe dirigente prim’ancora di andare al potere Ma il peso del legame con l’Urss resta sulla nostra generazione (di Alfredo Reichlin).

venerdì 21 gennaio 2011


-  No, non fu Lenin il nostro pane
-  Ma l’egemonia sì
-  L’idea originale dei comunisti italiani fu soprattutto quella di farsi classe dirigente prim’ancora di andare al potere Ma il peso del legame con l’Urss resta sulla nostra generazione

di Alfredo Reichlin (l’Unità, 21.01.2011)

È il 150esimo anniversario dell’Italia unita. E tutto spinge a ripensare i caratteri del moto risorgimentale, il ruolo che in esso ebbero le classi dirigenti, gli intellettuali, le masse popolari. E poi, quanto il fascismo usò e distorse il mito risorgimentale e quanto le forze che guidarono la Liberazione e la Ricostruzione della democrazia italiana non solo si rifecero ai valori risorgimentali ma incisero sul vecchio blocco storico che si era costituito al tempo dall’unità d’Italia, sia fondando la Repubblica e sia dando alle forze popolari un ruolo e un posto che esse nella storia d’Italia non avevano avuto mai.

È in questo quadro che questa Mostra si colloca. Sappiamo benissimo che il PCI è storia conclusa e la sua vicenda è del tutto irripetibile. Ma se questo è vero è altrettanto vero che essendo per tanti aspetti questa vicenda non separabile da quella nazionale essa pesa nel bene così come nel male anche sul modo di essere dell’Italia di oggi. E sono molte le cose di oggi che, a loro modo, spingono a tornare sul grande interrogativo su cosa in realtà sia stato quella strana «giraffa»: il PCI. Era questa la singolare immagine che Togliatti usava spesso per definire il suo Partito. E non era affatto il mascherare o rinnegare l’appartenenza al movimento comunista internazionale né rinunciare a rivendicare la propria origine nella rivoluzione russa. Del resto, nessuno come lui difese quel famoso «legame di ferro» con la Russia staliniana.

Ciò che egli voleva dire era un’altra cosa: che venivamo da lontano, e in primo luogo da quelli che egli definì i nostri padri, i pionieri del socialismo. Quegli uomini straordinari che all’inizio del secolo XX dettero alle plebi contadine della Valle Padana una formazione politica tale per cui la politica era tutt’uno con una fede e un ideale di riscatto umano. Ma era, al tempo stesso una lotta per il progresso civile sorretti da una visione del mondo e una cultura che andavano ben oltre gli orizzonti della buona amministrazione. Era, quel socialismo italiano la formazione di una nuova umanità. E il suo segno rimane. Ecco un grande tema che mi limito solo a sfiorare ma che nella Mostra è molto presente: è il carattere originale, di massa di questo partito. Partito di governo perché partito di popolo. Ma proprio qui sta il lato tragico della singolare vicenda del PCI. Il partito il quale si pose il compito di conciliare per la prima volta la classe con la nazione e di insegnare alle masse povere intrise di sovversivismo che cos’è la democrazia e perché è interesse dei ceti sfruttati e subalterni difendere lo Stato democratico, che tuttavia è lo stesso partito che per il suo legame con l’URSS staliniano ha contribuito a rendere incompiuta la democrazia italiana. E questa responsabilità pesa sulla mia generazione. La Mostra comincia dalla Prima guerra mondiale ma si incentra sul rapporto del PCI con la Repubblica. Eppure tante cose testimoniano che la cultura politica di quel comunismo italiano veniva da molto più lontano.

Da quei problemi irrisolti che tennero gli italiani ai margini dei grandi movimenti che avevano segnato in Europa l’avvento dell’Età moderna.: la rivoluzione inglese che aveva affermato la supremazia del Parlamento. E poi i sommovimenti religiosi e sociali innestati da Lutero nel mondo contadino tedesco. E soprattutto la gloria della Rivoluzione francese, l’Illuminismo e i Diritti dell’Uomo. L’Italia, invece, per secoli restò ai margini e subì il potere temporale dei Papi. Coloro che oggi riducono il Risorgimento a una sorta di conquista regia dalla quale si possa tornare indietro dimostrano che di questa storia non hanno consapevolezza.

La forza dei comunisti italiani è stata quella di pensarsi come parte delle grandi correnti riformatrici europee. I nuovi giacobini e i nuovi italiani. E io penso che proprio da qui veniva l’idea di un partito diverso rispetto alle formazioni rivoluzionarie concepite sul modello strettamente classista, bolscevico. Il PCI non fece sua la visione del potere che veniva da Lenin. L’idea sulla cui base edificò se stesso era molto diversa: al fondo era l’idea dell’egemonia. Una classe diventa dominante se prima ancora di andare al potere diventa dirigente. E questo fu il pane che noi mangiammo insieme con tante altre sciocchezze. Fu un’ idea nostra, originale della rivoluzione italiana.

Non «fare come in Russia» ma affrontare noi le grandi questioni irrisolte che avevano bloccato il cammino del popolo italiano. Grandi questioni storiche, non riducibili alla prepotenza dei padroni: la questione contadina, la questione meridionale, la questione vaticana, cioè il problema di come combinare la pace religiosa con le libertà politiche e civile: laicità dello Stato e riconoscimento dell’apporto che una coscienza religiosa può dare alla coscienza sociale e civile.


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