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Poesia della settimana

Lentamente muore - di "Pablo Neruda"

Trattasi di una poesia di Martha Medeiros, brasiliana di Porto Alegre, pubblicitaria e cronista per Zero Hora (fls).
lunedì 16 febbraio 2015 di Vincenzo Tiano
"Lentamente muore chi diventa schiavo dell’abitudine,
ripetendo ogni giorno gli stessi percorsi,
chi non cambia la marca o colore dei vestiti,
chi non rischia,
chi non parla a chi non conosce.
Lentamente muore chi evita una passione,
chi vuole solo nero su bianco e i puntini sulle i
piuttosto che un insieme di emozioni;
emozioni che fanno brillare gli occhi,
quelle che fanno di uno sbaglio un sorriso,
quelle che fanno battere il cuore
davanti agli errori ed ai sentimenti! (...)

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> Lentamente muore - --- Scosse le fondamenta!!!

sabato 27 marzo 2010

L’obbligo della verità dopo troppi silenzi

di Adriano Prosperi (la Repubblica, 27 marzo 2010)

Nel caso dei preti pedofili bisognerà evitare almeno che tutto si riduca alla solita diatriba fra clericali e laici. O che ci si metta addirittura a contare i numeri: quanti i pedofili tra i preti, quanti tra i non preti.

Sono cose che abbiamo già visto quando si discuteva su quanti eretici e quante streghe fossero stati mandati a morte dai tribunali della Chiesa cattolica e quanti da altre chiese e da altri poteri. E intanto passava in secondo piano la sofferenza delle vittime e la tenebra dell’intolleranza e si cancellava la responsabilità storica, giuridica, culturale degli assassini.

L’apologetica e la controversia uccidono la verità. E qui la questione della verità è fondamentale: e deve stare a cuore agli uomini di governo della Chiesa più che a chiunque altro se sono capaci di prendere sul serio il loro stesso ufficio e di capire quale sia la tremenda responsabilità che si sono assunti. Per candidarsi al governo delle coscienze bisogna dimostrare di saper rispettare la verità.

L’occultamento del vero, avvenga per trascuratezza burocratica o per malinteso spirito di corpo, uccide la fiducia. Tanto più quando si tratta di una verità orrenda che dovrebbe far tremare chi la viene e a conoscere e dovrebbe accendere di furore, di pena, di fame di giustizia chi ha il compito di governare e di giudicare.

Non per niente a tanti è venuto spontaneo citare la terribile parola del Gesù dei vangeli: bisogna che gli scandali avvengano ma guai a coloro che sono causa degli scandali. La macina al collo e il suicidio come la sola pena adeguata per chi scandalizza questi piccoli: questa la violenza estrema della parola evangelica. Gli echi di questa pagina hanno risuonato nei secoli: le abbiamo ritrovate in un grande capolavoro di Dostoevskij che tutti hanno letto o dovrebbero leggere.

E si ricorderà che Gesù di Nazareth non scendeva nei dettagli. Chissà cosa avrebbe detto delle attenuanti che sono state evocate in questi giorni: l’età del colpevole, il suo stato di salute, il silenzio delle vittime, di quelle creature piccole. Piccole e mute: non solo perché prive dell’uso della parola. Mute, perché per uscire dal buio e dal silenzio senza parole di quella lurida aggressione, al bambino e alla bambina che l’hanno subìta può non bastare una vita intera. Una vita compromessa, avvilita, oscurata per sempre da chi gode della fiducia dei fedeli in grazia del suo abito e della parola evangelica - quella frase, «lasciate che i pargoli vengano a me», si provi a immaginarla sulle labbra del prete pedofilo.

Per questo ci è parso singolarmente infelice il grido «Basta scandali!» che è risuonato in Piazza San Pietro e che ha unito per un attimo il capo della Chiesa cattolica al responsabile della protezione civile italiana. C’è chi davanti al brontolio di tuono della tempesta che ruggiva nel mondo intero e che bussava ormai alle porte dell’ovattato mondo della comunicazione italiana, sempre timoroso e pronto a inginocchiarsi davanti ai poteri consacrati e agli abiti talari ha evocato l’idea di una congiura anticristiana.

Ma simili bassi servigi hanno il torto di nascondere agli occhi degli italiani la gravità del problema. Non solo per la Chiesa: anche per il nostro paese che non può permettersi di subire tutta insieme la vergogna dell’ondata di discredito internazionale che si abbatte oggi sui due volti che lo rappresentano nel mondo: e passi pure che l’opinione pubblica rida di noi per le grottesche performances di un leader politico che dichiara guerra al cancro. Ma se la tempesta si abbatte sul papa di Roma e sulle autorità cattoliche, allora sì che le fondamenta storiche del Paese sono scosse.

E dunque guardiamo in faccia la verità: che è quella di una turpitudine storica e non solo episodica, giuridica e non solo morale. Questa vicenda è cominciata secoli fa: la inaugurò papa Paolo IV Carafa quando nel 1559 stabilì che i preti e i frati colpevoli di reati di natura sessuale nati nel contesto della confessione sacramentale dovessero essere sottoposti al Sant’Uffizio dell’Inquisizione. Era una misura in apparenza radicale, dura, minacciosa per i colpevoli: in realtà era la via d’uscita per chiudere la conoscenza di episodi scandalosi nello spazio giuridico di un tribunale ecclesiastico segretissimo. La ragione della scelta era ovvia: Lutero aveva bruciato non solo la bolla di scomunica ma anche l’intero corpus del diritto canonico, giudicato da lui una delle muraglie con cui il clero si era alzato al di sopra del popolo cristiano.

La Chiesa cattolica ribadì la superiorità sacrale del clero, mantenne il diritto canonico e il privilegio del foro per i chierici e, nel confermare l’obbligo del celibato ecclesiastico, preparò un comodo rifugio per chi lo infrangeva e per chi infangava il sacramento del perdono dei peccati attentando ai minori e alle donne che si affacciavano al confessionale. Da allora e per secoli i processi per i casi di «sollicitatio» sono stati nascosti dal segreto impenetrabile del Sant’Uffizio mentre i colpevoli venivano semplicemente trasferiti di sede per difendere il buon nome del clero: fino a oggi. E il segreto è diventato anche più fitto e ha coperto altre e più gravi turpitudini quando, per opera del cardinal Alfredo Ottaviani prefetto del Sant’Uffizio, fu approvata una istruzione per il «crimen sollicitationis» immediatamente sepolta nel segreto dei palazzi vaticani.

Quella istruzione imponeva un segreto assoluto sulle materie relative non solo al reato di «sollicitatio» ma anche a quello che veniva definito il «crimine pessimo»: cioè l’atto sessuale compiuto da un chierico con fanciulli impuberi dei due sessi o con animali. Chissà perché al cardinal Ottaviani venne in mente di includere anche questo nuovo versante del crimine sotto l’antico mantello protettivo.

Il Sant’Uffizio scomparve ufficialmente dalla nomenclatura istituzionale vaticana nel 1965 e Ottaviani uscì di scena, mentre il Concilio Vaticano II sembrava aprire scenari nuovi: scenari di fiducia verso il mondo moderno incluso il principio fondamentale fra tutti della trasparenza e della verità come obbligo dei governanti verso i governati. Ma concluso il concilio il vento cambiò. E la nuova Congregazione per la dottrina della fede fece sua l’istruzione del cardinal Ottaviani. Un documento ufficiale della Congregazione governata dal prefetto cardinal Joseph Ratzinger datata 18 maggio 2002 ne riprese la sostanza. Si intitola «De delictis gravioribus». Dunque il cardinal Ratzinger ha coperto con quel segreto specialissimo le vicende che per il suo ufficio doveva conoscere e governare.

Oggi non per sua scelta ma per la pressione di un mondo in rivolta gli si pone nella sua nuova veste il problema di decidere quale percorso proporre alla Chiesa cattolica. Ed è un singolare esempio dei corsi e ricorsi storici che tocchi di nuovo a un papa tedesco, il secondo dell’età moderna dopo quell’Adriano VI che dovette fare i conti con la Riforma luterana, affrontare un problema che ha trovato specialmente nella coscienza della Germania un’eco profonda: un problema che ripropone ancora una volta e su di una materia terribile la questione della capacità della Chiesa di interpretare i segni dei tempi. Si tratta di decidere se conservare o abbandonare quello che è stato fin dall’inizio uno strumento per difendere dalla verità e dalla giustizia i membri del clero.


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