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Poesia

PURGATORIO DE L’INFERNO, 10. "Questo è il gatto con gli stivali" - di Edoardo Sanguineti

Mentre con il figlio osserva un libro illustrato, il poeta gli insegna che dietro a ogni cosa in esso rappresentata e a ogni manifestazione della vita si nasconde l’onnipotenza del denaro.
domenica 14 maggio 2006 di Vincenzo Tiano

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> PURGATORIO DE L’INFERNO, 10

sabato 6 gennaio 2007

Il poeta e l’odio di classe

di RICCARDO BARENGHI (La Stampa, 6/1/2007)

La provocazione di Edoardo Sanguineti ha quel suono ottocentesco che non si sentiva da parecchio tempo, un sapore nostalgico che fa anche tenerezza. Dice il Poeta, che però parla da politico visto che si candida alle primarie dell’Unione per scegliere il candidato a sindaco di Genova, che è giunta l’ora di «restaurare l’odio di classe perché i potenti odiano i proletari e l’odio deve essere ricambiato». Facce attonite in sala, ma il Poeta prosegue: «Oggi la merce uomo, il suo lavoro, è la più svenduta e chi dovrebbe averne coscienza, ossia la classe proletaria, non lo ha, inibita da una cultura dominata dalla tv». Parla con cognizione di causa, Sanguineti, lui non è «solo» un poeta ma anche un profondo intellettuale marxista: la materia, anzi il materialismo lo conosce. Ormai tredici anni fa, chi tirò fuori dalla storia l’odio di classe fu un personaggio che, secondo Sanguineti, ha contribuito non poco a «inibire i proletari» sommergendoli con la cultura dominata dalla tv. Fu infatti Silvio Berlusconi, nel suo discorso della discesa in campo, a spiegare che il suo «sogno» era quello di «una società libera...dove non ci sia la paura, dove al posto dell’invidia sociale e dell’odio di classe stiano la generosità, la dedizione, la solidarietà, l’amore per il lavoro, la tolleranza e il rispetto per la vita». Paradossalmente, Berlusconi aveva torto mentre ha ragione Sanguineti. Nel senso che quell’odio di classe, sbandierato e paventato dal Cavaliere ed evocato oggi dal Poeta, non esisteva nel 1994 e tantomeno esiste oggi.

Per fortuna, si dirà. O forse purtroppo, se si toglie alla parola «odio» quella carica violenta che contiene e che allude a rivoluzioni che non sono «un pranzo di gala ma atti di violenza» (Mao Tse Tung). E lo si derubrica a coscienza (di classe), consapevolezza di essere appunto una classe sociale e non un’altra, con una capacità di lottare per emancipare se stessi dalla condizione in cui si è ma senza voler a tutti i costi diventare qualcun altro, saltando il fosso e trasformandosi in poco probabili borghesi. Messa in questi termini, il Poeta non avrebbe tutti i torti. Se non fosse che proprio quel verbo da lui utilizzato non a caso - restaurare - dice che stiamo parlando di un qualcosa che assomiglia a un monumento, se vogliamo un’opera d’arte, forse un vecchio palazzo (d’inverno), insomma di un pezzo di antichità. Il quale, diroccato o restaurato che sia, resterà comunque un testimone del passato. Lo si può visitare, studiare, qualcuno lo potrà anche ammirare o rimpiangere, ma nessuno lo potrà resuscitare. Nemmeno un sindaco poeta.


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