Un lavoro alla Camera, polemica su Ferraro Da tre anni lavora per i Radicali. Il presidente della commissione Attività produttive: «è pagato con i nostri soldi» STRUMENTIVERSIONE STAMPABILEI PIU’ LETTIINVIA QUESTO ARTICOLO
Salvatore Ferraro ROMA - Daniele Capezzone è certo di una cosa: questa, dice, è una storia bellissima. Perché lui è «onorato e fiero» di lavorare con Salvatore Ferraro - l’ex assistente di Filosofia del diritto condannato per favoreggiamento nell’omicidio di Marta Russo - ed è orgoglioso, da presidente della commissione Attività produttive, di averlo «assunto» come collaboratore, quattro mesi fa, alla Camera. Solo che, in Parlamento, la vicenda produce schieramenti inimmaginabili, altro che destra e sinistra: Capezzone si ritrova alleato con Ignazio La Russa (An), Carlo Giovanardi (Udc) e Mario Borghezio (Lega), ed è almeno in parte criticato da Giachetti (Margherita) e Bonelli (Verdi). Le critiche arrivano anche dai genitori della ragazza assassinata: parlano della vicenda con una voce quasi vuota e, per descrivere questa storia, usano espressioni parecchio diverse da quelli di Capezzone. Una è «rammarico», l’altra è «tristezza». «Perché in questo Paese s’aiutano i delinquenti, mica i parenti delle vittime - dice Donato Russo, il papà di Marta, la studentessa uccisa alla Sapienza nel ’97 - qui i parenti delle vittime sono abbandonati a se stessi. Se Ferraro non avesse preso parte all’assassinio di mia figlia, non credo che oggi lavorerebbe in Parlamento: aver partecipato a un omicidio a quanto pare gli ha aperto molte porte...». Sono parole di un padre al quale hanno ucciso la figlia, certo, ed è inevitabile che siano così lontane da quelle pronunciate da Capezzone, «questa è una storia bellissima»: ma quale che sia la prospettiva, la notizia pubblicata ieri dall’Unità non è passata inosservata. Soprattutto in Parlamento. Sentite Baccini (Udc): «Il rischio è che le istituzioni siano attaccate e demolite dall’interno, come nel caso degli ex terroristi che ormai hanno capito che per far franare i punti cardine del Paese è meglio stare all’interno dei Palazzi». Ma la storia di Ferraro è diversa da quella di Sergio D’Elia, l’ex terrorista di Prima Linea recentemente nominato segretario d’aula. Rimane però il fatto che, non solo a Roma, l’omicidio di Marta Russo sia, come dice il capogruppo dei Verdi Angelo Bonelli, «una ferita ancora aperta». Accadde tutto nel ’97: era il 9 maggio e quella studentessa stava passeggiando nei pressi di Giurisprudenza quando crollò a terra colpita da un proiettile. Anni di processi sia nelle aule dei Tribunali sia nei bar e negli studi televisivi: fino al 2003, quando la Cassazione condanna Scattone a 5 anni e 4 mesi per omicidio colposo e Ferraro a 4 anni e 2 mesi per favoreggiamento. «Ferraro è stato in prigione quando avrebbe potuto evitarlo - dice Capezzone - gli sarebbe bastato dire il falso e accusare Scattone: non l’ha fatto, ha pagato una pena secondo me ingiusta e poi ha iniziato un percorso con i Radicali, ha aiutato altri detenuti curando loro gratuitamente l’aspetto legale, ha scritto una pièce teatrale, e adesso lavora con me, pagato dai Radicali». Ferraro, oggi trentanovenne, dice poche parole: «Collaboro da tre anni con il partito Radicale, metto a disposizione la mia esperienza da giurista per migliorare la situazione dei carcerati». Ma non è questo il punto, forse. «È solo una questione di opportunità - dice Roberto Giachetti, Margherita - io al posto di Capezzone non l’avrei fatto». Concetto ribadito anche da Bonelli, che però fa anche notare «il fatto che con i propri soldi i Radicali possano fare ciò che vogliono, come ogni cittadino». E se Ignazio La Russa difende Capezzone, «chi ha commesso una colpa deve essere marchiato a vita?», e se per Mario Borghezio (Lega) «è giusto dare una chance a chi ha sbagliato, questo non è il caso D’Elia», Alfredo Antoniozzi, Forza Italia, esprime «sconcerto, perché quello è un fatto che ha toccato gli italiani, per il clamore che l’omicidio ha suscitato, per il luogo dov’è stato commesso. La riabilitazione è giusta, ma perché farlo lavorare in Parlamento? La decisione di Capezzone mi sembra quantomeno inopportuna». «La possibilità di reinserimento - per Giovanardi, Udc - è garantita dalla Costituzione». Punti di vista molto diversi all’interno dello stesso schieramento, dello stesso partito. Sembra il destino di Salvatore Ferraro, dividere. Anche stavolta è stato così, con questa storia che per alcuni è «triste», per altri «bellissima».