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Politica

Dal sito di Beppe Grillo l’elenco dei parlamentari italiani condannati in via definitiva

lunedì 29 maggio 2006 di Vincenzo Tiano
Per vedere l’elenco clicca qui.
Beppe Grillo propone di precludere il parlamento a chi è stato condannato in via definitiva.
Vedi il manifesto della proposta.

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sabato 11 novembre 2006

Un lavoro alla Camera, polemica su Ferraro Da tre anni lavora per i Radicali. Il presidente della commissione Attività produttive: «è pagato con i nostri soldi» STRUMENTIVERSIONE STAMPABILEI PIU’ LETTIINVIA QUESTO ARTICOLO

Salvatore Ferraro ROMA - Daniele Capezzone è certo di una cosa: questa, dice, è una storia bellissima. Perché lui è «onorato e fiero» di lavorare con Salvatore Ferraro - l’ex assistente di Filosofia del diritto condannato per favoreggiamento nell’omicidio di Marta Russo - ed è orgoglioso, da presidente della commissione Attività produttive, di averlo «assunto» come collaboratore, quattro mesi fa, alla Camera. Solo che, in Parlamento, la vicenda produce schieramenti inimmaginabili, altro che destra e sinistra: Capezzone si ritrova alleato con Ignazio La Russa (An), Carlo Giovanardi (Udc) e Mario Borghezio (Lega), ed è almeno in parte criticato da Giachetti (Margherita) e Bonelli (Verdi). Le critiche arrivano anche dai genitori della ragazza assassinata: parlano della vicenda con una voce quasi vuota e, per descrivere questa storia, usano espressioni parecchio diverse da quelli di Capezzone. Una è «rammarico», l’altra è «tristezza». «Perché in questo Paese s’aiutano i delinquenti, mica i parenti delle vittime - dice Donato Russo, il papà di Marta, la studentessa uccisa alla Sapienza nel ’97 - qui i parenti delle vittime sono abbandonati a se stessi. Se Ferraro non avesse preso parte all’assassinio di mia figlia, non credo che oggi lavorerebbe in Parlamento: aver partecipato a un omicidio a quanto pare gli ha aperto molte porte...». Sono parole di un padre al quale hanno ucciso la figlia, certo, ed è inevitabile che siano così lontane da quelle pronunciate da Capezzone, «questa è una storia bellissima»: ma quale che sia la prospettiva, la notizia pubblicata ieri dall’Unità non è passata inosservata. Soprattutto in Parlamento. Sentite Baccini (Udc): «Il rischio è che le istituzioni siano attaccate e demolite dall’interno, come nel caso degli ex terroristi che ormai hanno capito che per far franare i punti cardine del Paese è meglio stare all’interno dei Palazzi». Ma la storia di Ferraro è diversa da quella di Sergio D’Elia, l’ex terrorista di Prima Linea recentemente nominato segretario d’aula. Rimane però il fatto che, non solo a Roma, l’omicidio di Marta Russo sia, come dice il capogruppo dei Verdi Angelo Bonelli, «una ferita ancora aperta». Accadde tutto nel ’97: era il 9 maggio e quella studentessa stava passeggiando nei pressi di Giurisprudenza quando crollò a terra colpita da un proiettile. Anni di processi sia nelle aule dei Tribunali sia nei bar e negli studi televisivi: fino al 2003, quando la Cassazione condanna Scattone a 5 anni e 4 mesi per omicidio colposo e Ferraro a 4 anni e 2 mesi per favoreggiamento. «Ferraro è stato in prigione quando avrebbe potuto evitarlo - dice Capezzone - gli sarebbe bastato dire il falso e accusare Scattone: non l’ha fatto, ha pagato una pena secondo me ingiusta e poi ha iniziato un percorso con i Radicali, ha aiutato altri detenuti curando loro gratuitamente l’aspetto legale, ha scritto una pièce teatrale, e adesso lavora con me, pagato dai Radicali». Ferraro, oggi trentanovenne, dice poche parole: «Collaboro da tre anni con il partito Radicale, metto a disposizione la mia esperienza da giurista per migliorare la situazione dei carcerati». Ma non è questo il punto, forse. «È solo una questione di opportunità - dice Roberto Giachetti, Margherita - io al posto di Capezzone non l’avrei fatto». Concetto ribadito anche da Bonelli, che però fa anche notare «il fatto che con i propri soldi i Radicali possano fare ciò che vogliono, come ogni cittadino». E se Ignazio La Russa difende Capezzone, «chi ha commesso una colpa deve essere marchiato a vita?», e se per Mario Borghezio (Lega) «è giusto dare una chance a chi ha sbagliato, questo non è il caso D’Elia», Alfredo Antoniozzi, Forza Italia, esprime «sconcerto, perché quello è un fatto che ha toccato gli italiani, per il clamore che l’omicidio ha suscitato, per il luogo dov’è stato commesso. La riabilitazione è giusta, ma perché farlo lavorare in Parlamento? La decisione di Capezzone mi sembra quantomeno inopportuna». «La possibilità di reinserimento - per Giovanardi, Udc - è garantita dalla Costituzione». Punti di vista molto diversi all’interno dello stesso schieramento, dello stesso partito. Sembra il destino di Salvatore Ferraro, dividere. Anche stavolta è stato così, con questa storia che per alcuni è «triste», per altri «bellissima».


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