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I soggetti sono due, e tutto è da ripensare ....

DONNE E UOMINI. Il riconoscimento dell’altra metà del cielo e la difesa della modernità, nella ricerca e nella riflessione di ALAIN TOURAINE

(...) il mio libro incita ad andare oltre, non a combattere un dominio in nome di una verità oggettiva o di una volontà collettiva, ma dare per scopo all’azione collettiva la proclamazione della libertà di soggetti creatori e liberatori di se stessi.
sabato 21 ottobre 2006 di Federico La Sala
Alain Touraine è un sociologo militante: Con le Monde des Femmes (Fayard, pagg. 246 Euro 19,00) dice di questo libro: "Da uomo, non avrei mai osato scrivere un libro che tratta direttamente delle donne, se non per mostrare che esse creano una nuova cultura e segnalarne la natura storica e sociale, questo libro è rivolto a quegli uomini che ignorano l’esistenza di donne che si autodefiniscono e che si legittimano tra loro".
"CHI" SIAMO NOI, IN REALTÀ. RELAZIONI CHIASMATICHE E CIVILTÀ: UN (...)

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> DONNE E UOMINI. ---- "È venuta meno l’idea di una legge assoluta" intervista ad Alain Touraine (di Franco Marcoaldi)

lunedì 7 novembre 2011

"È venuta meno l’idea di una legge assoluta"

intervista ad Alain Touraine

a cura di Franco Marcoaldi (la Repubblica, 7 novembre 2011

Nella ricerca dell’autorità perduta ci stiamo facendo guidare dall’autorevolezza dei nostri compagni di viaggio. Che sarà anche difficile da definire, ma è immediatamente percepibile, quando ad esempio ti trovi vis-à-vis con Alain Touraine, stella di prima grandezza della sociologia contemporanea, un imponente ottuagenario con due bellissimi occhi azzurri e un volto grifagno, vagamente beckettiano.

«Mi lasci dire: parlare di scomparsa dell’autorità, sic et simpliciter, è molto vago e confuso. È invece molto più chiaro e preciso dire che è scomparsa quell’autorità, esercitata nelle scuole o nei tribunali, nelle imprese o nella vita politica, sulla base di una legge assoluta. Di natura religiosa. Quella legge, che si conforma alla parola di Dio o alla legge naturale intesa come prolungamento della religione, non funziona più. Dunque sono le basi trascendenti dell’autorità a non fare più presa. E questo per la semplicissima ragione che viviamo in un mondo che non è più governato da principi assoluti, ma mobili, in trasformazione: come avviene nella scienza, nella tecnologia, nella comunicazione».

-  Però ogni autorità, per essere tale, ha bisogno di un suo fondamento.

«Ci arrivo subito. Vivendo in un mondo retto dai principi della secolarizzazione, della razionalizazione, della laicizzazione, i fondamenti non positivi dell’autorità e del potere sono in via di sparizione. E ciò che resta sul fronte del diritto naturale è piuttosto vago. Potremmo dire che con l ’ingresso nella modernità il novanta per cento dell’esperienza umana è legato alle invenzioni umane, mentre solo il restante dieci per cento discende dalla natura. Ed è esattamente per questo che il ritorno ad un’autorità tradizionale non ha alcun senso. Con ciò non sottovaluto affatto l’influenza religiosa. Semplicemente osservo che siamo calati irreversibilmente in un mondo secolarizzato, fondato sulla scienza e la tecnica. E, almeno in una certa misura, sulla pluralità delle culture. Dunque, sull’impossibilità di regole morali, e prima ancora religiose, valide per tutti. I cattolici la pensano in un modo, i protestanti in un altro, i musulmani in un altro ancora. Quindi, togliamo di mezzo il primo equivoco: la nostalgia per un surplus di autorità, o peggio di repressione».

-  Ma autorità non è sinonimo di autoritarismo.

«Certo, però è pur vero che nell’idea tradizionale c’è sempre un fondamento trascendente: di ordine politico, religioso. O di filosofia della storia, come nel caso del progresso predicato in epoca sovietica».

-  Restano però le lacune crescenti dell’autorità secolarizzata e democratica. Basterebbe osservare la politica.

«Forse non li applichiamo con la necessaria costanza, ma noi disponiamo di due principi fondamentali. Il primo è la scienza, la ragione: non si può dire che un litro d’acqua pesa cinquanta grammi. Non lo si può dire, perché non è vero. E il principio razionale e scientifico ha immediate ricadute sulla moralità e sulla politica: pensi alla questione della razza, di cui non ha neppure più senso parlare visto che non ha una base scientifica. Il secondo, e ancor più importante principio che abbiamo ereditato al medesimo tempo dal cristianesimo e dal secolo dei lumi, è quello dei diritti fondamentali dell’uomo. Questo è l’unico, vero fondamento dell’autorità moderna. Ciascuno ha il diritto di essere un individuo riconosciuto come tale, al pari di tutti gli altri. E nelle situazioni politiche, economiche, sociali ed educative date, beneficia al medesimo tempo di diritti assieme individuali e collettivi. L’autorità, pertanto, non discende più dall’alto, ma matura in basso, in ogni individuo».

-  Proviamo a vedere, in questo schema, come si concretizza l’esercizio dell’autorità da parte di un magistrato, un insegnante, un padre di famiglia.

«L’autorità di ciascuna di queste figure si legherà alla sua capacità di combinare leggi, codici e norme, con i diritti individuali. Nel mondo del lavoro, ad esempio, consisterà nel combinare leregole generali dell’organizzazione con le condizioni di accettabilità che queste regole hanno per chi, individualmente, le deve poi mettere in atto. Oppure, venendo alla scuola: un insegnante risulterà autorevole nella misura in cui riuscirà a ottenere con la persuasione il rispetto delle regole anche da parte di chi si dimostra refrattario».

-  Il caso della scuola è uno di quelli che più frequentemente vengono portati ad esempio da chi lamenta una crisi dell’autorità.

«È noto che la riuscita scolare ha molto a che fare con l’origine sociale. Ma alcune ricerche sociologiche hanno mostrato che è ancora più importante la qualità della relazione insegnanteallievo. Diciamo che l’origine sociale influisce per il trenta per cento, l’altro settanta rimanda a quella relazione. A mio avviso un buon insegnante è quello che riesce a rapportarsi sia alla classe, intesa come gruppo, quanto alla somma dei singoli casi individuali. Mentre un cattivo insegnante è quello che si preoccupa soltanto della propria disciplina: sono un professore di storia, di chimica o di fisica. Punto e basta. Già, ma quelle diverse discipline vanno insegnate in condizioni date. Insegnare una certa materia a un ragazzo immigrato che non padroneggia bene la lingua del paese di accoglienza, implica un riconoscimento del suo caso specifico, a meno che non lo si voglia ritrovare, vent’anni dopo, in un ospedale psichiatrico. Questo è un caso tipico in cui si affacciano sia la differenza tra le culture quanto il tema dei diritti universali. Il buon insegnante, l’insegnante autorevole, deve essere capace di compiere questo piccolo miracolo: le regole sono uguali e comuni, ma va rispettata la differenza, perché ciascuno ha la propria storia».

-  Un altro problema legato alla scomparsa della vecchia autorità è il rapporto con il passato: sempre più labile, sempre più flebile.

«Di formazione sono uno storico e dunque capisce da sé quanto io sia sensibile alla questione. Mi piange il cuore quando vedo persone che non sanno se sia venuto prima Napoleone o Giovanna d ’Arco. Si potrebbe dire che oggi alla storia si è sostituita la geografia. Si ignora sempre di più il passato, mentre grazie ad internet e a spostamenti sempre più frequenti, si ha una diversa dimestichezza con quanto accade su scala planetaria».

-  Il passato, però, non è soltanto storia pubblica: è anche storia privata.

«E qui le cose vanno meglio di quanto si pensi. Ad esempio se paragoniamo l’Europa agli Stati Uniti. C’è un test quanto mai semplice: la vitalità dei nostri cimiteri, il rapporto con i nostri morti. Magari ci sarà un sottofondo animista, ma è comunque indicativo di relazioni forti, di legami profondi. Bisognerebbe semmai ragionare su come mai il legame tra passato a futuro sia molto più intenso sul piano privato rispetto a quello pubblico».

-  La tendenza che lei vede è verso l’interiorizzazione dell’autorità?

«Tutto ciò che interiorizza l’autorità è positivo, tutto ciò che la esteriorizza è condannabile. Un individuo che non riconosca alcuna autorità è totalmente disorientato, incapace di distinguere il bene dal male. Ma come affermava proprio la Arendt, ciò che definisce l’essere umano è il diritto di avere diritti. E questo corrisponde, per l’appunto, all’assoluta interiorizzazione dell’autorità».


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