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ITALIA: 19 luglio 1992 ...

GIOVANNI FALCONE, PAOLO BORSELLINO, ANTONINO CAPONNETTO. UN URLO PER L’ITALIA E PER LA COSTITUZIONE

giovedì 19 luglio 2007 di Federico La Sala
"C’è un equivoco di fondo.
Si dice che il politico che ha avuto frequentazioni mafiose,
se non viene giudicato colpevole dalla magistratura,
è un uomo onesto.
No!
La magistratura può fare solo accertamenti di carattere giudiziale.
Le istituzioni hanno il dovere di estromettere gli uomini politici vicini alla mafia,
per essere oneste e apparire tali"
(Paolo Borsellino, "Lezione sulla mafia", 1989)
L’ITALIA HA TROVATO IL SUO LOGOPEDISTA "COSTITUZIONALE"!!! CHE PACIFICAZIONE!!! (...)

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> GIOVANNI FALCONE, PAOLO BORSELLINO, ANTONINO CAPONNETTO

giovedì 20 luglio 2006

Rita Borsellino: «I mandanti dell’omicidio di Paolo ancora nell’ombra» Saverio Lodato*

E siamo a 14 anni dalla strage di via D’Amelio. Il grande boato, la grande vampata, e nomi rimasti scolpiti sulle lapidi: Paolo Borsellino, Emanuela Loi , Walter Cusina, Vincenzo Li Muli, Claudio Traina, Agostino Catalano. E siamo ancora a parlarne, perché la mafia è tutt’altro che sconfitta, si è avvinghiata alla politica; i mandanti nell’ombra agirono e nell’ombra sono rimasti, qualcuno non volle la vigilanza sotto l’abitazione della madre del giudice così che potessero assassinarlo più agevolmente, ma non si è mai saputo chi - e dire che erano passati appena cinquantasei giorni dall’uccisione di Giovanni Falcone - ; processi stralcio ce ne sono ancora in giro per la Sicilia, e la verità un giorno (forse) da qualche parte salterà fuori. Paolo Borsellino sacrificò la vita per insegnarci qualcosa. Ma cosa? Certamente non la convivenza che stava a cuore al governo Berlusconi. Certamente non la caccia ai voti dei mafiosi. Certamente non il riciclaggio dei capitali sporchi. E Borsellino fece parte di un pool, quello di Falcone, quello di Caponnetto, che l’intransigenza giudiziaria inflitta a Cosa Nostra l’aveva fatta diventare il suo valore principale. Rita Borsellino, per tredici anni, l’anniversario lo aveva ricordato parlando del fratello per 365 giorni all’anno, in giro per l’Italia. Adesso che è scesa anche in politica è diventata il simbolo dell’Altra Sicilia, che però è ancora minoranza. Ma tutto quello che di negativo, sul piano politico e culturale, esprime il cuffarismo, oggi, soprattutto grazie a lei, ha vita assai più complicata.

Rita che c’è ancora da dire sul sacrificio di suo fratello? «Non si dirà mai abbastanza sul sacrificio di mio fratello. Troppo spesso sono stati detti luoghi comuni e frasi vuote, perché troppo spesso alle parole non sono seguiti i fatti. E allora bisognerà dire di più, ma fare anche in modo che non restino solo parole».

Che idea si è fatta di quella strage? «L’idea che mi feci quel giorno è rimasta la stessa in questi anni: non si trattò solo di mafia ma anche di altri interessi che, con quelli della mafia, si erano trovati a coincidere. Che a pochi giorni dalla strage di Capaci, e con le reazioni che c’erano state in tutt’Italia, la mafia tornasse a colpire così in alto, e rischiando così tanto, mi sembrò impossibile».

Ci sono ancora colpevoli che andrebbero stanati? «Certamente sì. Lo stesso gruppo di fuoco non è stato ancora del tutto individuato e non si sa ancora da dove e da chi venne azionato il telecomando. Ma soprattutto i cosiddetti "mandanti esterni" sono stati ipotizzati in tutti i processi, ma mai scoperti».

Per lei la verità può essere solo la verità giudiziaria? «Oltre a esserci la verità giudiziaria, che però in questo caso non è neanche completa, ci sono altre verità che magari non sono configurabili come reati, ma che sicuramente crearono quel clima che rese possibile la strage».

Questa mafia di oggi che non spara più è diventata più debole o solo meno rozza e meno feroce? «Non è affatto una mafia più debole. Anzi. Proprio perché ha smesso di sparare, è riuscita a farsi dimenticare, ha potuto riorganizzarsi e inserirsi ancora più profondamente nei gangli vitali della politica e della economia. Lo dimostrano le ultime inchieste che hanno colpito personaggi e strati sociali non identificabili con gli ambienti mafiosi. Ormai è dimostrato che Cosa Nostra ha suoi uomini direttamente inseriti nel mondo della politica, delle professioni e delle istituzioni».

Quella che nasce in questi giorni sarà l’ottava commissione antimafia. Sarà l’ultima? «Auspicare che sia l’ultima significherebbe affermare che di questo organismo parlamentare non c’è più bisogno. Francamente credo che sia un’utopia, intanto perché la mafia ancora oggi è radicata e presente. Ma se anche in questa legislatura si riuscisse a sconfiggere definitivamente la mafia, non si potrebbe in ogni caso abbassare la guardia e occuparsi di altro, perché le recidive sarebbero possibili ancora per molti anni».

Il capo dello Stato, Giorgio Napolitano, ha definito il sacrificio di suo fratello un "monito". «Il gesto del presidente è bello, e significativo di un’attenzione ancora viva: sono parole che sottolineano come il sacrifico di Paolo possa e debba ancora essere attuale».

Ma torniamo alla nostra Sicilia. Quando ci libereremo del cuffarismo? «Infatti. Il problema non è solo quello delle persone. In ogni caso questo sarebbe l’ultimo mandato di Cuffaro, se nel frattempo non dovessero intervenire fatti nuovi. Ma il problema vero è quello di un sistema che ha fatto della politica un miscuglio di clientele e favori, perdendo di vista l’idea della politica come servizio. La durata di tutto questo dipenderà solo dalla presa di coscienza di tanta parte di una società che ha perso di vista il suo ruolo, il suo diritto alla scelta».

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* www.unita.it, Pubblicato il 20.07.06


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