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2007 ....

ITALIA MALATA. ROMPERE IL TERMOMETRO PER NON MISURARE LA FEBBRE!!! INTERCETTAZIONI: DISTRUGGERE LA LEGGE E LA COSTITUZIONE PER CONVIVERE CON LA MAFIA?! Una nota (2006) di Stefano Rodotà

martedì 23 ottobre 2007 di Federico La Sala
[...] Prima di aggredire i magistrati, i politici riflettano sulle loro inerzie. Ora è sicuramente necessario un lavoro rapido: ma la via migliore è quella del disegno di legge, che permette una reale collaborazione di tutti i parlamentari e una più efficace discussione davanti all’opinione pubblica. E, soprattutto, non si può più accettare il ricorso al decreto legge quando si tratta di diritti fondamentali delle persone. [...]

Un decalogo (...)

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> ITALIA MALATA. ROMPERE IL TERMOMETRO PER NON MISURARE LA FEBBRE!!! INTERCETTAZIONI: DISTRUGGERE LA LEGGE E LA COSTITUZIONE PER CONVIVERE CON LA MAFIA?! --- La vera emergenza di Claudio Fava.

domenica 2 settembre 2007

La vera emergenza

di Claudio Fava *

Ci voleva il presidente dell’Associazione degli Industriali siciliani per farci capire che, nel Paese reale, l’emergenza mafiosa non sono i lavavetri ma i mafiosi: con un gesto senza precedenti Ivan Lo Bello ha comunicato che caccerà dalla sua associazione gli imprenditori che pagano il pizzo a Cosa Nostra. Sono bastate due righe d’agenzia per ribaltare il suggerimento di consociativismo mafioso che l’ex ministro dei Trasporti Lunardi propose qualche anno fa ai siciliani spiegando che alla mafia non c’è rimedio, e che dunque conviene abituarsi a conviverci. Un rimedio dunque c’è: basta non pagare. Ci perdonerà l’assessore Cioni di Firenze, ma ci sembra lontanissima, parole da un altro pianeta, anche la sua fiera intervista di qualche giorno fa.

Quella con cui annunciava la crociata contro gli stracci e i secchi dei maghrebini agli incroci della città. Se parliamo di sicurezza (e di rischi: quelli veri), il Paese reale oggi non sono i semafori di Firenze ma la periferia di Catania. Al signor Vecchio, presidente dei costruttori edili, hanno fatto quattro attentati in otto giorni: bombe, incendi, saracinesche divelte... L’ultimo, due giorni fa, dopo che era già stata disposta dal prefetto la protezione ventiquattrore su ventiquattro nei suoi confronti: una tanica piena di benzina lasciata davanti al deposito di un suo cantiere. Come dire: lo Stato può pure tentare di proteggervi con scorte e vigilanza, ma se noi mafiosi vogliamo farvi saltare in aria l’azienda, non ci ferma nessuno. Dal canto suo, il signor Vecchio ha fatto sapere, per la quarta volta (con una lettera aperta che l’Unità ha pubblicato ieri in prima pagina), che alle cosche lui non pagherà un centesimo.

In altri tempi, tempi non troppo remoti, a un imprenditore così tenace nel rivendicare la propria dignità di cittadino e di uomo, avrebbe fatto subito eco il saggio ammonimento degli altri imprenditori: non fare l’eroe, paga, campa tranquillo, pensa ai figli,che tanto per recuperare i piccioli ti basta evadere un poco di tasse... Andò più o meno così sedici anni fa con l’imprenditore Libero Grassi a Palermo. Grassi non pagò, andò il televisione e davanti a qualche milione di italiani spiegò che se si fosse piegato a quel miserabile ricatto mafioso non avrebbe più avuto la forza di guardare in faccia i figli. Due giorni dopo il presidente della sua associazione di categoria gli fece sapere, a mezzo stampa, che era un fesso, che a Palermo pagavano tutti e che quel baccano non serviva nemmeno al buon nome della Sicilia. Per Grassi fu una condanna a morte: isolato, umiliato, a completare il lavoro ci pensarono un paio di ragazzotti assoldati dalla cosca che pretendeva il pizzo. Lo ammazzarono sotto casa scaricandogli una pistola in testa, così gli altri avrebbero imparato da che parte stare.

Non tutti hanno imparato, non tutti si sono rassegnati. Il presidente degli industriali siciliani, che non fa solo accademia ma rischia anche le proprie aziende e la propria pelle, è uno che non s’è rassegnato. E che ha deciso di portare solidarietà al signor Vecchio senza chiacchiere ma nell’unico modo possibile: mandando a dire ai mafiosi che in Sicilia, tra quelli che non pagheranno più il pizzo, non ci sarà solo il costruttore catanese.

Certo adesso arriveranno i primi pelosissimi distinguo. Qualche commerciante si agiterà dicendo che lui il pizzo non sa cosa sia. Qualche collega di Lo Bello argomenterà che sì, certo, adesso denunciamo, però lo Stato, signori miei, dov’è lo Stato? che fanno a Roma? e cosa c’entriamo noi poveri cristi siciliani? Qualche gioielliere palermitano continuerà a pensare quello che ha sempre pensato: lui non paga il pizzo, al massimo fa un regalo, ecco, un regalino ogni tanto a certi amici, che così non gli fanno più rapine, risparmia sulla vigilanza e tiene la saracinesca alzata fino alle dieci di sera. E a Firenze qualcuno continuerà a lustrarsi con lo sguardo con gli strofinacci sequestrati durante la giornata ai lavavetri. Come se fossero kalashnikov e non scopette.

* l’Unità, Pubblicato il: 02.09.07, Modificato il: 02.09.07 alle ore 13.01


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