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PER L’ITALIA E PER LA CHIESA: LA MEMORIA DA RITROVARE. Il teologo Ratzinger scrive da papa l’enciclica "Deus caritas est" (2006) e, ancora oggi, nessuno ne sollecita la correzione del titolo. Che lapsus!!! O, meglio, che progetto!!!

MAFIA: LA CHIESA, L’ITALIA.... e W O ITALY. L’URLO DI KAROL J. WOJTYLA AD AGRIGENTO (1993) - a c. di Federico La Sala

mercoledì 21 giugno 2006 di Federico La Sala
I MAFIOSI E IL PAPA AD AGRIGENTO
SI SENTIRONO COLPITI DA QUELLE PAROLE
di Giuseppe Savagnone (Avvenire, 21.06.2006)
Pagliarelli, Cruillas, Resuttana, Boccadifalco, Passo di Rigano, San Lorenzo, Partanna Mondello, Acquasanta, Altarello, Pagliarelli, Uditore... Sono nomi che non dicono nulla a chi non è nato a Palermo, ma che indicano altrettante borgate del capoluogo siciliano dove tutti i palermitani sanno quale potere abbia la mafia. La cattura, l’altra notte, di numerosi capi mandamento (...)

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> MAFIA: LA CHIESA, L’ITALIA.... LA AMFIA DEVOTA (saggio di Alessandra Dino - rec. dI Goffredo Fofi)

sabato 15 novembre 2008

LIBRI

I sacrilegi delle mafie

Padrini e picciotti ostentano la loro devozione, che in realtà più che fede è superstizione. E quando i preti oppongono alla cultura omertosa la vera religione, sparano: da don Peppino Diana a don Puglisi

Il saggio di Alessandra Dino evidenzia il processo di maturazione della Chiesa nei confronti della mentalità mafiosa, verso un sempre maggior impegno nell’educazione dei giovani

DI GOFFREDO FOFI (Avvenire, 15.11.2008)

La mafia devota di Alessandra Dino, antropologa palermitana, è uno dei testi più significativi usciti sulla questione mafiosa ( intendendo con mafia anche le associazioni criminali di altre regioni come camorra, ’ ndrangheta, Sacra corona unita). Affrontando l’argomento da un punto di vista trascurato, procedendo a molte interviste con magistrati, preti, pentiti, vedendo della questione gli aspetti più specificamente religiosi ma anche collocandoli sullo sfondo di una più generale questione civile, la Dino aiuta a comprendere un ambiente, una cultura, distinguendo nettamente tra gli aspetti esteriori - quelli, diciamo, di una ritualità di facciata, che serve al mafioso per affermare il suo potere all’interno di una comunità, o quelli di una devozione deviata - e quelli più intimi del dilemma morale che può investire, come è ben noto o come si vorrebbe che fosse, anche il criminale più incallito.

Hanno sconcertato molti, le professioni e le espressioni di fede di alcuni noti mafiosi ( per esempio Provenzano), e la “ lettura” dei comportamenti religiosi di altri - o di un pentitismo sulle cui motivazioni alcuni sacerdoti hanno espresso dei dubbi, perché spesso causato soltanto dall’interesse alla riduzione della pena e dunque moralmente inautentico. Tra i preti che la Dino ha accostato ci sono quelli che sembrano partecipare ( ma più ieri che oggi) di una cultura ambientale coinvolgente, quelli che molto più seriamente distinguono tra il ruolo della Chiesa e il ruolo dello Stato e rivendicano la netta differenza dello sguardo, della posizione, dei doveri nei confronti di chi pecca ( e delinque), e quelli infine che insistono sulla “questione morale” vedendone gli aspetti più latamente etici, civili, sociali. Se di cultura-ambiente si tratta, è su questa che essi pensano di dover intervenire, e lo hanno fatto a volte (don Peppino Diana a Casal di Principe, don Puglisi a Palermo) lasciandoci la vita.

Oggi che molti libri ( non ultimo Gomorra) hanno messo in rilievo la profondità dei legami e degli interessi mafiosi in settori molto importanti dell’economia e della finanza e ben oltre i territori tradizionali, in tutto il Paese e altrove, in Europa come in America; oggi che le classi dirigenti di molti Paesi ( la stessa grande Russia) trattano con le mafie e se le fanno alleate, ovviamente a caro prezzo; oggi che il disordine morale della post- modernità abbassa enormemente il livello di difesa della morale dei singoli, occorrerebbe affrontare anche la questione mafiosa da presupposti assai vasti, che mettano in discussione l’intero assetto di società la cui prosperità deriva in parte dal crimine. Se è vero che, secondo le stime, il Pil italiano è prodotto per il dieci-dodici per cento dall’economia criminale ( e non vengono considerati in questi calcoli, per esempio, la produzione e lo smercio di armi) ne deriva che le risposte alle attività mafiose dovrebbero essere ben più radicali che quelle esclusivamente giudiziarie. E, di fatto, come si sconfiggono le mafie? Non credo, personalmente, che i “professionisti dell’antimafia” riescano sempre a incidere in profondità nel concreto delle culture mafiose, né che la denuncia sia di per sé sufficiente ( in un Paese come il nostro dove la denuncia sembra spesso un’arte e un mestiere, una retorica e un alibi: milioni di denunce giornalistiche, cinematografiche, letterarie, ma anche di buona propaganda sul territorio, hanno cambiato relativamente poco, anche se hanno costretto le mafie a inventare nuovi modi di agire).

La risposta viene da molte delle interviste e delle considerazioni che ne ricava la Dino, e sintetizzando si può dire che sono tre i modi necessari: l’intervento nell’economia, che è il fondamentale perché se non cambia l’economia non scema il potere che le organizzazioni mafiose possono avere su un ambiente sociale, l’attrazione che possono esercitare sui più deboli - per esempio i giovani, i precari, i disoccupati; quello giudiziario, del rispetto delle leggi, il cui vero limite consiste nella constatazione che le leggi non tutti le rispettano, nelle nostre classi dirigenti; e infine l’educazione, l’intervento assiduo e radicato in un territorio soprattutto nei confronti dei più giovani, per allargare la loro visione e dar loro solide fondamenta etiche. È in questo settore, dice la Dino, che la Chiesa può intervenire con efficacia, oltre che sul terreno che le è proprio della cura delle anime.


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