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Referendum sulla riforma della Costituzione

PER I NOSTRI FIGLI E PER LE NOSTRE FIGLIE, PER LA NOSTRA STESSA DIGNITA’ DI CITTADINI-SOVRANI, UN SOLO "URLO" DA TUTTA L’ITALIA: "NO"!

Domenica e lunedì 25 e 26 giugno 2006
mercoledì 21 giugno 2006 di Federico La Sala
Referendum Costituzionale 25-26 giugno 2006
NO al guasto della Costituzione !
Domenica e lunedì 25 e 26 giugno 2006 Referendum sulla riforma della Costituzione. Vai a votare! È importante!
La Costituzione è la regola delle regole, al di sopra delle maggioranze e dei governi. La Costituzione stabilisce limiti e contrappesi ai diversi poteri, per evitare ogni sopraffazione.
NO al guasto della Costituzione !
Questa riforma è da respingere col NO, perché...
1) ... i cittadini delle diverse (...)

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> PER I NOSTRI FIGLI E PER LE NOSTRE FIGLIE, PER LA NOSTRA STESSA DIGNITA’ DI CITTADINI-SOVRANI, UN SOLO "URLO" DA TUTTA L’ITALIA: "NO"!

giovedì 22 giugno 2006

Inoltre E’ BENE tenere presente e NO ... farsi confondere le idee tra le posizioni della gerarchia e del partito "Forza ...Chiesa"!!!, e le posizioni di TUTTA LA CHIESA : c’è l’abisso!!!


AL REFERENDUM SULLA COSTITUZIONE, VOTARE "NO" È UN DOVERE MORALE

di Mons.Enrico Chiavacci*

In Italia siamo chiamati ad accogliere o respingere in blocco importanti modifiche alla Costituzione della Repubblica. È una scelta grave, che richiede conoscenza della Costituzione e delle molte modifiche da valutare. Purtroppo la grande maggioranza degli italiani non conosce la Costituzione, e non sa neppure che cosa sia una Costituzione: e questo vale anche per buon numero dei parlamentari. Una Costituzione è l’atto con cui uno Stato si costituisce autonomamente di fronte alla comunità internazionale, ed è la Carta fondamentale che definisce l’identità di un popolo. Con la Costituzione vengono stabiliti:
-  le finalità essenziali e irrinunciabili della convivenza (della Repubblica Italiana);
-  gli strumenti per perseguire tali finalità, e cioè i così detti ‘poteri dello Stato’. Le modifiche oggi sottoposte al referendum riguardano la seconda parte: i poteri dello Stato, che sono sostanzialmente tre. Il potere legislativo: fare leggi che attuino al meglio le finalità costituzionali. Esse potranno variare al variare delle diverse situazioni storiche in cui la Costituzione deve essere attuata: la Costituzione è la legge per il legislatore, a cui impone direzioni e limiti. Il legislatore è solo il parlamento. Il potere esecutivo: fare osservare le leggi, stabilirne i regolamenti attuativi e costituire le strutture punitive per i violatori, governare la finanza pubblica con le finalità e i limiti stabiliti dalle leggi. Tale potere spetta al governo. Il potere giudiziario: giudicare se le leggi siano state violate, e punire i trasgressori nei modi stabiliti dalla legge. Vi è poi, in ogni Stato democratico moderno, una Corte suprema - da noi la Corte Costituzionale - che deve giudicare inappellabilmente il rispetto delle direttive e dei limiti imposti dalla Costituzione ai singoli poteri, ed eventualmente dirimerne le controversie. Nei Paesi, come l’Italia, in cui alcuni poteri siano esercitati dalle regioni, dovrà dirimere le controversie fra poteri locali e poteri dello Stato. Una netta separazione fra i tre poteri è oggi la migliore garanzia perché l’uomo e il cittadino vedano rispettati i propri diritti stabiliti dalla Costituzione o da organizzazioni internazionali a cui un Paese abbia aderito (tale limitazione della sovranità è prevista dalla Costituzione italiana). La garanzia consiste in questo: nessun potere può essere esercitato senza il consenso o il controllo di un altro potere: in tal modo nessun uomo o gruppo politico può assumere tutto il potere. Per evitare situazioni di paralisi reciproca fra i tre poteri, come era successo fra le due guerre in alcuni Paesi europei, la Costituzione italiana prevede la figura del Presidente della Repubblica (il Capo dello Stato) come custode della Costituzione stessa e dell’unità dell’Italia, dandogli specifici poteri di intervento. E su questo preciso punto il referendum ha particolare e gravissima importanza. Sul potere legislativo il Presidente può rifiutare la firma di una legge approvata dal Parlamento, per motivi di incostituzionalità, e rinviarla alle Camere con messaggio motivato. Se la legge venisse rivotata senza le modifiche richieste, la legge è in vigore. Ma il Presidente ha un altro potere: il potere di sciogliere le Camere, un potere che spetta a lui solo. Ciò può avvenire se sia impossibile formare un governo che goda della fiducia del Parlamento, o anche quando venga confermata una legge palesemente anticostituzionale. Il Presidente non ha un suo potere legislativo, ma ha il potere di rimettere al giudizio del popolo gravi situazioni conflittuali. Sul potere esecutivo il Presidente ha il potere di incaricare un nuovo presidente del Consiglio e di nominare (o rifiutare) i ministri da lui proposti. Il governo così costituito dovrà poi avere la fiducia del Parlamento: anche in questo caso non vi è potere esecutivo diretto, ma la scelta viene sottoposta al giudizio delle Camere. Sul potere giudiziario il Presidente presiede il Consiglio superiore della magistratura: non può deciderne le deliberazioni, ma può autorevolmente consigliare e indirizzare. Il Presidente è inoltre il capo delle forze armate e presiede il Consiglio superiore di difesa. Ha il potere di nomina di alcuni membri della Corte costituzionale e di alcuni senatori a vita.

Riforma come un cavallo di Troia Le modifiche sottoposte a referendum sono spesso indicate come modifiche al sistema regionale: questo è vero. Ma è anche vero che in modo meno reclamizzato la riforma modifica radicalmente alcuni cardini essenziali della Costituzione riguardanti i poteri dello Stato e le garanzie dei cittadini. Vediamone alcuni elementi fondamentali.
-  Il Presidente della Repubblica non nomina i ministri: li nomina il presidente del Consiglio, che ora dovrebbe cambiare nome in ‘Primo Ministro’. Modifica indicatrice di un profondo cambiamento. Salvo casi eccezionali, il Presidente della Repubblica non ha più il potere di sciogliere le Camere: anche questo passa al Primo Ministro.
-  Il Primo Ministro, in base alle recenti leggi elettorali, è automaticamente quello indicato dai collegamenti delle liste elettorali. A lui spetta ora il potere di sciogliere le camere, di nominare e di cambiare i ministri. Con questi due soli cambiamenti cade la severa separazione dei poteri legislativo ed esecutivo. Infatti il governo è completamente dominato dal Primo Ministro, che impone i ministri e li può cacciare quando non siano d’accordo con lui. Ma il Primo Ministro, con la legge elettorale vigente, è collegato automaticamente alla maggioranza del potere legislativo. Saranno così ben rari i casi di sfiducia al governo da parte del Parlamento, e inoltre vi è la clausola della ‘sfiducia costruttiva’, che prevede la costituzione di un nuovo governo all’interno della stessa maggioranza che ha sfiduciato il precedente. In casi estremi irrimediabili, il Primo Ministro può sciogliere le camere di sua insindacabile iniziativa. Legislativo ed esecutivo sono entrambi - salvo casi veramente eccezionali - nelle mani del Primo Ministro. Né miglior sorte tocca al potere giudiziario, anche se per via indiretta. Infatti:
-  la rigida separazione fra procuratori e giudici, con promozioni per concorso, potrebbe aprire la porta in modo indolore a controlli da parte dell’esecutivo. Si sa come vanno in Italia i concorsi. Il timore di apparire non graditi all’esecutivo induce spesso una ‘autocensura’ nell’animo dei magistrati aspiranti. Con la riforma prospettata dell’ordina-mento giudiziario, l’intromisione diretta o velata da parte degli altri poteri è certo da attendersi;
-  Nell’ordinamento costituzionale ora vigente, solo 5 membri su 15 sono eletti dal Parlamento (cioè dalla maggioranza al potere). Con la riforma proposta sarebbero 7 su 15: sarebbe sufficiente un solo voto fra gli altri 8 per deliberare. Il rischio di controllo del potere legislativo è grande, proprio là dove deve esser controllata la costituzionalità di un atto del potere legislativo stesso. Il referendum viene presentato come attuazione della devolution, ma al suo interno, come in un cavallo di Troia, viene introdotto un vero sconvolgimento dei principii stessi della nostra Costituzione.

La Chiesa non può tirarsi fuori Quanto alla devolution, accenniamo appena a tre punti che ci sembra sconvolgano l’intero sistema. 1 - Col Senato federale scompare il sistema bicamerale, salvo casi particolari di conflitto fra Camera e Senato federale, di soluzione complessa (e confusa), e con l’ultima parola riservata al Primo Ministro, e cioè al capo dell’esecu-tivo. L’attuale doppia lettura e votazione di una stessa legge è strumento importante di democrazia per due motivi. I tempi di passaggio fra le due assemblee consentono un dibattito pubblico (giornali, tv e altro) importante: spesso le correzioni fatte nella seconda lettura hanno consentito in passato miglioramenti notevoli. Ma è anche importante la differenza di età degli elettori: gli elettori della Camera - 18 anni - hanno cose nuove da dire, ma votano più per giovanile impulso che per riflessione sul bene del Paese, mentre gli elettori del Senato - 25 anni - sono già meno aperti alle novità, ma hanno anche maggiore maturità; e ad essi si aggiungono i senatori a vita scelti per lunga esperienza e per prestigio internazionale nei vari campi del sapere e del-l’impegno sociale. La fine del sistema bicamerale è la fine di questa possibilità dialettica di vita democratica. 2 - Le regioni hanno potestà legislativa esclusiva su assistenza e organizzazione sanitaria e su organizzazione e programmi scolastici: sanità e scuola sono due diritti essenziali per ogni cittadino (e per ogni essere umano qui residente) che devono essere garantiti e regolati per tutti nello stesso modo e nella stessa misura. Cade il principio degli ‘inderogabili doveri di solidarietà’ di ciascun cittadino verso tutti: tali doveri sarebbero attuati in maniera diversa da regione a regione. 3 - La potestà legislativa di Stato e regioni deve oggi rispettare la Costituzione, ma anche gli obblighi internazionali: quest’ultimo vincolo sparisce dalla nuova proposta. Vi sono qui nascoste due cose. La prima cosa è lo spirito antieuropeo e xenofobo e la velata chiusura all’altro: fra tali obblighi vi è la percentuale del Pil per i Paesi poverissimi e l’impegno contro l’inquinamento (Kyoto). La seconda cosa è che fra gli obblighi internazionali vi è anche il trattato e il concordato con la Santa Sede, che in base a questa modifica dell’art. 117 potrebbero essere violati anche da singole regioni. E questa insana modifica potrebbe avere ben più gravi conseguenze. È certo che la Costituzione va rivista, soprattutto per snellire varie procedure e dare più spazio al sistema regionale. Ma i fondamenti della convivenza e i principi ispiratori non possono essere toccati. L’unità del Paese non può essere frantumata in una federazione di Regioni con ampia autonomia anche rispetto alle esigenze del bene comune: e vi è chi auspica, anche esplicitamente, una specie di secessione. Le supreme garanzie di libertà e di solidarietà per tutti i cittadini e i residenti, assicurate dalla separazione dei poteri e dalla funzione attiva del Presidente della Repubblica, non possono essere in alcun modo toccate. Si ricordi che negli Usa - uno Stato federale - molti singoli stati federati hanno e applicano la pena di morte mentre altri la rifiutano. Si noti infine che questo referendum deve esser votato in blocco: non si può votare solo perché ci piace un punto o una parte. È strettamente doveroso considerarlo nel suo insieme: approvare le modifiche proposte vuol dire approvarle tutte. Ed è seria opinione di chi scrive questi brevi cenni che la Chiesa italiana non possa dichiararsi ‘neutrale’ di fronte allo scardinamento sistematico di una Costituzione che tutela gli inalienabili diritti di libertà e gli inderogabili doveri di solidarietà di ciascuno verso tutti. Queste nostre righe potranno aiutare, si spera, a comprendere meglio quale sia la posta in gioco, ben al di sopra di divisioni fra partiti o gruppi o maggioranze e minoranze varie. È anche seria opinione di chi scrive che votare contro le modifiche costituzionali sul tappeto sia un grave dovere morale per ogni uomo di buona volontà: ricordiamo che Mussolini e Hitler andarono al potere per vie costituzionali simili a quelle ora proposte, senza alcuna rivoluzione, e in breve tempo assunsero nella propria persona tutti i poteri. Né vacanze o gite o incomodi vari possono passare avanti a questo dovere. È in gioco l’unità e la democrazia del nostro Paese, il futuro di noi tutti.

*Mons. Enrico Chiavacci è docente di teologia morale presso la Facoltà teologica dell’Italia centrale


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