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VATTIMO: L’AMORE DEBOLE E’ PIU’ FORTE DELL’AMORE ’CATTOLICO’

giovedì 22 giugno 2006 di Federico La Sala
Maschilismo e sessuofobia sono tratti non originalmente cristiani, che però si sono incrostati sul suo corpo come la donazione di Costantino. Lo scandalo, anche quello che ha svegliato Lutero, è la vera e propria “secolarizzazione” del Vangelo, nel senso peggiore della parola; l’assimilazione e consacrazione della pseudo-verità di un mondo che Cristo era venuto a cambiare. La questione omosessuale, dunque, è così drammatica nella Chiesa perché - in questo papi e vescovi hanno (...)

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venerdì 23 giugno 2006

Nei suoi sogni gay c’era Amsterdam, ora rimpiange l’America puritana

La storia autobiografica che l’americano Bruce Bawer, ex redattore di The New Criterion, racconta nel suo ultimo libro “While Europe Slept: How Radical Islam is Destroying the West from Within”, appena pubblicato dalla Doubleday, è quella di uno scrittore omosessuale che nel 1998 decide di trasferirsi definitivamente ad Amsterdam insieme al suo partner per sottrarsi alla “cappa opprimente” del fondamentalismo protestante americano: “Amavo il mio paese, ma desideravo andarmene per lasciarmi alle spalle l’idiozia, l’intolleranza e il puritanesimo. Sentivo di appartenere sempre più all’Europa”.

Ben presto però la realtà europea si rivela diversa da come sperava. La società olandese subisce sotto i suoi occhi un rapido mutamento, e invece di approdare nel paradiso della secolarizzazione e del libertinismo, si ritrova a convivere con un altro genere, ben più temibile, di integralismo: quello islamico.

Con onestà intellettuale, Bawer oggi riconosce che gli evangelici cristiani dai quali era fuggito, e che aveva duramente criticato nel suo libro precedente (“Stealing Jesus: How Fundamentalism Betrays Christianity”, Three Rivers Press, 1998), non sono neanche lontanamente paragonabili ai fondamentalisti islamici che, indisturbati, “stanno distruggendo l’occidente dall’interno”: “L’Europa sta cadendo preda di un fondamentalismo ancora più allarmante, al cui confronto i protestanti americani fanno la figura dei dilettanti. Come gay non posso chiudere gli occhi davanti a questa dura realtà. Pat Robertson vuole negarmi il matrimonio, ma gli imam vorrebbero lapidarmi. Non mi ha mai entusiasmato l’ipocrita posizione cristianoconservatrice di odiare il peccato e amare il peccatore, ma è di gran lunga preferibile alla concezione fondamentalista musulmana secondo cui gli omosessuali meritano la morte”.

Bawer rafforza le sue osservazioni riportando una serie di dati che testimoniano lo stadio avanzato della trasformazione dell’Europa in Eurabia. Oggi nei paesi dell’Europa occidentale la presenza musulmana varia dal 2 al 10 per cento della popolazione. Questi numeri, osserva Bawer, rappresentano però solo la punta di un iceberg demografico in via di rapida emersione, dato che la percentuale dei bambini musulmani raggiunge già una media del 16-20 per cento. I calcoli dimostrano che, se questi trend continuano, fra un paio di generazioni gli islamici potrebbero costituire la maggioranza degli abitanti del vecchio continente. I leader delle comunità islamiche ne sono consapevoli, come testimoniano le trionfali parole pronunciate da un imam danese nel 2000: “In Danimarca il sogno dei musulmani di vivere in una società islamica si realizzerà, perché diventeremo sicuramente la maggioranza”.

La legge islamica, di fatto, è già una realtà nelle “colonie” della diaspora islamica sparse per l’Europa, che spesso rivendicano una propria sovranità territoriale: in Francia un imam ha dichiarato che il distretto musulmano di Roubaix è territorio islamico, e che le autorità francesi non hanno diritto di accesso; i musulmani che vivono nel quartiere Sint-Jans-Moleenbeek di Bruxelles si considerano appartenenti a una giurisdizione autonoma, all’interno della quale la presenza di cittadini belgi non è gradita; in Gran Bretagna i capi islamici stanno facendo pressioni sul governo perché in alcune aree ad alta densità islamica sia introdotta la sharia al posto della common law, non solo per i musulmani ma per tutti i residenti; in Danimarca i leader musulmani stanno cercando di ottenere lo stesso tipo di controllo su parti di Copenaghen.

Bawer sottolinea inoltre l’abituale abuso dei benefici del welfare state da parte delle comunità musulmane. I musulmani danesi, ad esempio, pur essendo il 5 per cento della popolazione ricevono il 40 per cento dei sussidi pubblici. Perdipiù gli assistenti sociali vengono spesso tiranneggiati e intimiditi dai musulmani, che in questo modo sanno di poter ottenere quello che vogliono. Gli imam della Norvegia giustificano ideologicamente questo parassitismo estorsivo equiparandolo all’esazione della jizya, la tassa che tutti gli infedeli devono pagare ai musulmani: come se gli europei fossero già dhimmi, cittadini di seconda classe, in casa propria.

Nella parte finale del libro Bawer osserva che perfino le stragi di New York e di Madrid non sono state in grado di smuovere gli europei dalla rassegnata e autodistruttiva capitolazione di fronte all’islam. Non solo non si vedono segni d’europeizzazione dell’islam (il mitico euro-islam sognato da schiere di intellettuali e politici europei rimane ancora una chimera) ma, al contrario, alcuni segnali sembrano indicare una crescita dell’influenza culturale islamica nel vecchio continente, come la radicalizzazione dell’antiebraismo e antiamericanismo, la cancellazione dei riferimenti alla tradizione giudaico-cristiana, la denigrazione dell’intera storia europea. Per molti intellettuali progressisti il passato islamico, idealizzato in maniera romantica, è diventato un sostituto delle radici occidentali e cristiane che hanno da tempo rigettato.

Bruce Bawer racconta dunque una realtà preoccupante, che nei prossimi decenni potrebbe portare l’Europa alla libanizzazione o alla completa islamizzazione. Preferisce però non affrontare un interrogativo cruciale: l’estinzione non è forse il destino più frequente delle civiltà libertine, edoniste, relativiste e secolarizzate che egli difende ? Se si vuole salvare l’identità europea, forse ci sono altri valori per cui vale la pena di lottare.

Tratto da: IL FOGLIO del 22 marzo 2006, Guglielmo Piombini


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