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TERRA!!! TERRA!!! PIANETA TERRA: FILOLOGIA E ’DENDROLOGIA’ (gr.: "déndron" - albero e "lògos" - studio/scienza). L’ALBERO DELLA VITA ...

RIPENSARE L’EUROPA!!! CHE COSA SIGNIFICA ESSERE "EU-ROPEUO". Per la rinascita dell’EUROPA, e dell’ITALIA. La buona-esortazione del BRASILE (2005). Una "memoria" - di Federico La Sala.

(...) il “nuovo mondo” che abbiamo costruito dimostra quanto presto abbiamo dimenticato la ‘lezione’ delle foreste, dei mari, dei deserti, e dei fiumi e delle montagne!!!
venerdì 8 marzo 2024
Secondo quanto suggerisce Vitruvio (De architectura, 2,1,3) la struttura del tempio greco trasse la sua origine da primitivi edifici in argilla e travi di legno (Wikipedia)
IL SEGRETO DI ULISSE: "[...] v’è un grande segreto /nel letto lavorato con arte; lo costruii io stesso, non altri./ Nel recinto cresceva un ulivo dalle foglie sottili,/rigoglioso, fiorente: come una colonna era grosso./Intorno ad esso feci il mio talamo [...]"
(Odissea, Libro XXIII, vv. 188-192).
EUROPA. PER IL (...)

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> RIPENSARE L’EUROPA!!! -- “Da fuori. Una filosofia per l’Europa” (R. Esposito). Una nota di Donatella Di Cesare

domenica 10 aprile 2016

FILOSOFIA

Un nuovo pensiero per l’Europa

«Da Fuori» (Einaudi), il nuovo libro di Roberto Esposito. Il vecchio continente vive una fase di smarrimento, per capirlo serve un’altra prospettiva filosofica. Meglio se italiana.

di DONATELLA DI CESARE (Corriere della Sera, 10.04.2016)

La filosofia italiana non ha nei media e nel dibattito pubblico del nostro Paese lo spazio che meriterebbe. Eppure, basta varcare le frontiere per constatare ovunque, non solo in Europa, ma anche altrove, il riconoscimento tributato al pensiero italiano. Si vorrebbe dire nemo propheta in patria. Ma qui agiscono motivi ulteriori e più profondi: l’atavico complesso di inferiorità di una cultura scaduta per anni nel provincialismo, insieme alla incapacità di valutare degnamente la propria tradizione, a cominciare da quella umanistica, e di farsi dunque carico di un lascito imponente.

Sceglie l’inglese Roberto Esposito per indicare, nel suo ultimo libro, le tre grandi linee della filosofia europea, cioè la German Philosophy, la French Theory e l’Italian Thought (la filosofia tedesca, la teoria francese, il pensiero italiano). L’inglese rinvia all’angolo di visuale che assume scrivendo e che si compendia nel titolo Da fuori (Einaudi). Perché - dice più volte Esposito - «è sempre l’esterno a illuminare l’interno».

Guardare l’Europa, nel suo smarrimento attuale, da fuori, è possibile anzitutto ripercorrendo il cammino della filosofia europea. Già nel Novecento appare chiaro che il malessere è il nichilismo. L’Europa, terra di nascita della filosofia, diviene allora consapevole di non poter perdere il suo nesso vitale con il pensiero, ciò che la contraddistingue. Rischierebbe altrimenti di perdere se stessa.

Ma le risposte al «dispositivo della crisi» sono diverse. Alla corrente eurocentrica, quella di Husserl, di Valéry, soprattutto di Heidegger, che reagisce arretrando, nella vana ricerca dell’origine greca, Esposito oppone una corrente che fugge invece dal centro, che contesta la radice, che considera la cultura greca inimitabile, perché già sempre eterogenea e alterata. Ai nomi di Hölderlin e Nietzsche affianca quello di Patocka, il filosofo, morto a Praga nel 1977 per le violenze subite, che nei suoi Saggi eretici aveva delineato una visione del «dopo» - l’Europa dopo e oltre la cortina, finalmente riunificata.

Costante è la presenza di Carl Schmitt nell’opera di Esposito. Anche in questo libro il suo ruolo è rilevante. Merito del giurista tedesco è di aver mutato la prospettiva sull’erosione dell’Europa: dalla terra al mare. Se Heidegger insiste sul radicamento nella terra, Schmitt accoglie la sfida del mare. D’altronde, non è forse nel mare che si costituisce l’Occidente? Come dimenticare la battaglia di Salamina, e quella di Lepanto? Schmitt rinuncia alla europeizzazione del mondo per volgersi alla mondializzazione dell’Europa.

Ecco allora il Vecchio continente visto «dall’altra sponda», con gli occhi di quegli ebrei tedeschi costretti a cercare rifugio oltre Atlantico. Fuori dall’Europa, ma estranei, malgrado tutto, anche all’America. Il «fascino intellettuale che promana dalla Scuola di Francoforte - scrive Esposito - risiede in questa duplice esteriorità». Pagine importanti vengono dedicate alla Dialettica dell’illuminismo e al modo in cui Adorno in particolare decostruisce ogni mitologia dell’origine e ogni «gergo dell’autenticità», scorgendo qui la regressione in cui è caduta l’Europa degli anni Trenta. Sarebbe però un errore credere che i Lumi della modernità possano far uscire dalla crisi, dato che Auschwitz è inscritto nella civiltà europea.

German Philosophy è la filosofia tedesca del dopoguerra, che dovrebbe prendere in carico l’eredità della Scuola di Francoforte e di quegli emigranti che fanno persino ritorno, forse anche per assecondare quel lascito. No, il passaggio di consegne non riesce - ha ragione Esposito. La carica critica si affievolisce nel neoilluminismo di Habermas, convinto che la modernità non si sia ancora compiuta. Serve ancora la Ragione universale - anche per l’Europa e per i suoi conflitti. Habermas diventa capostipite di una filosofia sempre più normativa, affannata a cercare rimedi costituzionalistici, incapace, anche nei suoi epigoni, di dare voce alla società civile.

L’eredità della Scuola di Francoforte viene reclamata, però, dall’altra parte del Reno. A cominciare da Lyotard, i francesi pensano che il progetto di emancipazione, fondato sulla ragione, si sia concluso. Conservatori non sono i postmoderni, ma quelli che cercano nel moderno le chiavi per interpretare una realtà che ne ha varcato i confini. La French Theory segna una nuova deterritorializzazione della filosofia europea. I filosofi francesi diventano egemoni nelle università americane. Ma la decostruzione di Derrida rischia, per Esposito, di esaurirsi nell’impolitico, mentre il futuro dell’Europa è cercato in una identità, talmente differenziata, da diventare evanescente.

L’Italian Thought si candida allora a essere il pensiero per un’Europa ferita, umiliata, irriconoscibile. Si candida ed è candidato - basta osservarne la risonanza mondiale degli ultimi anni. Erede della crisi interna alla filosofia francese, divisa tra Derrida e Foucault, il pensiero italiano riprende però anche la filosofia tedesca, da Heidegger a Schmitt, a Benjamin. Eccentrico per storia e vocazione, al contempo più arretrato e più giovane, esce da una lunga e traumatica fase di elaborazione negli anni Sessanta e Settanta, si sviluppa intorno alla biopolitica, trova il suo «fuori» nel politico. E riesce a volgerlo in un «contro». Ma non si crogiola nella negazione - è «affermativo». Lontano dall’autonomia della filosofia e dalla neutralità della teoria, è «pensiero» perché nasce dalla prassi. Mostra la sua fedeltà alla tradizione che da Machiavelli giunge fino a Gramsci, si richiama alla parola «civile» che Vico nella Scienza nuova ha elevato a categoria filosofica. Non dovrebbe l’Europa dei popoli aspirare ad essere «potenza civile»?

Italiano nello stile, non per aderenza territoriale, l’Italian Thought prova ad assumere la prospettiva del mondo per guardare all’Europa. Esposito lo descrive magistralmente dilatando il più possibile la nozione di biopolitica, consapevole che i suoi esponenti, da Tronti a Cacciari, da Agamben a Marramao, da Bodei a Vattimo, fino ai più giovani, pur accomunati da analoghe preoccupazioni - andare, ad esempio, oltre la metafisica, oltre la teologia politica - non sono riconducibili a un profilo unitario. Perciò l’Italian Thought ha il fascino di un progetto incompiuto, di un viaggio appena intrapreso.


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