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TERRA!!! TERRA!!! PIANETA TERRA: FILOLOGIA E ’DENDROLOGIA’ (gr.: "déndron" - albero e "lògos" - studio/scienza). L’ALBERO DELLA VITA ...

RIPENSARE L’EUROPA!!! CHE COSA SIGNIFICA ESSERE "EU-ROPEUO". Per la rinascita dell’EUROPA, e dell’ITALIA. La buona-esortazione del BRASILE (2005). Una "memoria" - di Federico La Sala.

(...) il “nuovo mondo” che abbiamo costruito dimostra quanto presto abbiamo dimenticato la ‘lezione’ delle foreste, dei mari, dei deserti, e dei fiumi e delle montagne!!!
domenica 14 aprile 2024
Secondo quanto suggerisce Vitruvio (De architectura, 2,1,3) la struttura del tempio greco trasse la sua origine da primitivi edifici in argilla e travi di legno (Wikipedia)
IL SEGRETO DI ULISSE: "[...] v’è un grande segreto /nel letto lavorato con arte; lo costruii io stesso, non altri./ Nel recinto cresceva un ulivo dalle foglie sottili,/rigoglioso, fiorente: come una colonna era grosso./Intorno ad esso feci il mio talamo [...]"
(Odissea, Libro XXIII, vv. 188-192).
EUROPA. PER IL (...)

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> RIPENSARE L’EUROPA!!! --- La dissuasione della «cristiana» civiltà europea. C’è poca democrazia in questa Europa.

giovedì 28 aprile 2016

La dissuasione della «cristiana» civiltà europea

di Alessandro Dal Lago (il manifesto, 27.04.2016)

È sicuro ormai che l’Europa è solo all’inizio di un processo di decomposizione politica. I segnali si moltiplicano. La vittoria dell’estrema destra in Austria, la crisi polacca, il regime di Orbán, l’affermazione dell’AdP in Germania, la chiusura delle frontiere, il referendum sul Brexit. Ma il voto con cui la Camera dei comuni inglese ha rifiutato di accogliere i 3000 bambini di Calais è qualcosa di molto più profondo e sinistro di una crisi politica continentale. È, come hanno notato i critici della decisione, di qualcosa di vergognoso.

Perché in gioco, oltre al destino migliaia di orfani, c’è un confine che le cosiddette democrazie occidentali non dovrebbero, almeno ufficialmente, varcare: il senso minimo di umanità, quello che per gli apologeti distinguerebbe la «civile» Europa dagli altri mondi.

Oddio, anche sequestrare beni ai profughi, come fanno la Danimarca e altri stati della Ue, è vergognoso, proprio come lasciarli alla deriva a Idomeni e Lesbo, o dare un po’di quattrini a Erdogan perché non ce ne mandi altri.

Ma i bambini non dovrebbero essere sacri, nell’Europa cristiana, cattolica, anglicana o luterana che sia? Con il voto alla Camera dei comuni, la risposta è stata semplicemente «No!» D’altra parte, i leader della Afd tedesca non hanno forse dichiarato che è legittimo sparare ai profughi che attraversano illegalmente i confini, anche quando sono donne e bambini? Certo, i conservatori inglesi a parole non arrivano a tanto. Ma il risultato non è molto diverso.

Che fine faranno i bambini che il socialista Hollande fa marcire a Calais, tra assalti xenofobi e manganellate? Nessuno lo sa e a nessuno interessa.

La motivazione del voto inglese è sublime nella sua ipocrisia squisitamente british. Noi non li accogliamo, per dissuadere altri profughi dal chiedere asilo in Inghilterra. Con la stessa scusa, le navi militari inglesi non soccorrono più la carrette del mare dei migranti nel Mediterraneo.

Ora, immaginiamo dei bambini che scampano alla morte in Siria e poi ai naufragi nell’Egeo o nel canale di Sicilia. Ebbene, qualcuno pensa che si faranno dissuadere dal passare in Europa, e magari dal raggiungere dei parenti in Inghilterra, pensando al voto della Camera dei comuni? Quando la Svizzera respinse i profughi ebrei che scappavano dalla Germania con la motivazione che «la barca piena», si macchiò della stessa vergogna, ma con meno ipocrisia.

Noi europei, dopo la Shoah, non dovremmo sorprenderci più di nulla. E nemmeno pensare che, con la sconfitta del nazismo e del fascismo, siamo al sicuro dagli stermini di massa. Migranti e profughi muoiono a migliaia per raggiungere le nostre terre benedette dalla ricchezza.

Dopo un po’ di lacrimucce sui bambini annegati sulle spiagge greche e turche, ecco che prendiamo a calci quelli che non sono annegati, o semplicemente ne ignoriamo l’esistenza.

Noi europei, così civili e democratici, stiamo gettando le premesse di nuovi stermini, magari per omissione, disattenzione o idiozia. Ma per le vittime non fa nessuna differenza.


C’è poca democrazia in questa Europa

di Giovanni Belardelli (Corriere della Sera, 27.04.2016)

L’Europa è mortale? Così un giornale non sospettabile di antieuropeismo come Le Monde ha intitolato un lungo articolo sulla situazione attuale dell’Unione Europea. Per sottolineare il rischio di fine imminente che la minaccia e insieme l’inconsapevolezza che di ciò sembriamo avere, l’autore dell’articolo, Arnaud Leparmentier, ha paragonato la nostra condizione a quella che Stefan Zweig, nel Mondo di ieri , attribuiva all’impero asburgico alla vigilia del fatidico giugno 1914: «Tutto nella nostra quasi millenaria monarchia austriaca sembrava duraturo e lo Stato stesso appariva il sommo garante di questa ininterrotta solidità». Le cose, come è universalmente noto, avrebbero preso tutt’altra direzione.

Non è la prima volta che vengono formulati paragoni del genere: tre anni fa un centro studi americano, il Pew Research, definì la Ue come «il malato d’Europa», riprendendo l’espressione che un tempo si usava per l’impero ottomano (e anche in questo caso è ben noto come andò a finire).

Eppure la nostra discussione pubblica sembra non prendere troppo sul serio questi segnali di allarme e predilige temi e toni legati alla quotidianità: la polemica Merkel-Draghi, la guardia di frontiera europea, l’ultima dichiarazione di Juncker sulla richiesta italiana di flessibilità e così via.

Tutte cose rilevanti, non c’è alcun dubbio, e tuttavia che danno vita a dibattiti e analisi non adeguati alla crisi di fondo che l’Unione Europea sta attraversando. Una crisi che, a partire dal 2008, è esplosa proprio sul terreno che più costituiva il legittimo vanto degli europei: l’economia. Ma anche una crisi che in questi ultimi anni si è andata allargando ad altri terreni: dall’incapacità di dar corpo a una politica estera europea alla indisponibilità di molti Paesi dell’Ue ad applicare gli accordi sul ricollocamento dei richiedenti asilo.

Il modo prevalente in cui la maggioranza dei media, dei politici, degli esperti di vario genere affronta ciascuno dei terreni di crisi è caratterizzato da forme verbali esortative: di fronte a Stati che ripristinano i controlli alle frontiere si dichiara che non ci devono essere muri; di fronte alle migrazioni di massa si afferma che si deve realizzare la redistribuzione dei migranti; che si deve attuare un servizio di sicurezza europeo; anzi, più in generale, una vera unione politica europea.

Il discorso europeista, in sostanza, corrisponde sempre più a quella forma verbale esistente in alcune lingue che è l’ottativo: una forma che esprime un desiderio, un auspicio e poco si cura del fatto che la sua realizzazione trovi ostacoli spesso non superabili. Primo fra tutti il fatto che, su ciascuna delle soluzioni appena citate, è ampiamente documentato il disaccordo dell’opinione pubblica di questo o quel Paese.

Ma di ciò che pensano i cittadini europei - della loro crescente disaffezione per le istituzioni comunitarie - generalmente poco ci si cura. A volte, anzi, si è teorizzato che non vi si debba prestare troppa attenzione: quei cittadini, e i loro governi, avrebbero la colpa di non riuscire a prescindere dall’orizzonte nazionale, soltanto negando il quale l’Europa può avere un futuro.

Sta probabilmente qui, nell’illusione che gli Stati nazionali fossero entrati in una crisi definitiva dopo il 1945 e fossero perciò destinati a una rapida scomparsa, uno dei limiti culturali originari dell’europeismo ufficiale. Non solo perché quella previsione non si è realizzata, ma anche perché ad essa si accompagnava la mancata comprensione del nesso tra Stato nazionale e democrazia.

Sulla scia di John Lennon possiamo auspicare che in un futuro più o meno lontano non sia più così («Imagine there’s no countries, it isn’t hard to do...»), ma fino a oggi lo Stato nazionale ha rappresentato (e continua a rappresentare) la premessa e l’ambito di esistenza della democrazia.

Stigmatizzare il fatto che la cancelliera Merkel sia tornata indietro rispetto al suo iniziale atteggiamento di apertura verso gli immigrati per seguire l’orientamento dell’opinione pubblica tedesca ha poco senso. Cos’altro mai dovrebbe fare il capo del governo in un regime democratico?

Ma la democrazia, il rapporto di fiducia tra eletti ed elettori, è marginale se non assente nella complessa struttura di governo delle istituzioni europee. Secondo alcuni ciò sarebbe addirittura un bene, perché solo il carattere funzionariale-burocratico di quelle istituzioni permetterebbe di fare il superiore interesse europeo contro gli interessi nazionali. Prima o poi bisognerà riconoscere che è una strada pericolosa, che rischia di allontanare ancora di più i cittadini dalle istituzioni europee, lasciando ai vari populismi antieuropeisti - dal partito di Farage ad Alternative für Deutschland - la non disprezzabile risorsa di potersi presentare come i paladini della democrazia.


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