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(...) il “nuovo mondo” che abbiamo costruito dimostra quanto presto abbiamo dimenticato la ‘lezione’ delle foreste, dei mari, dei deserti, e dei fiumi e delle montagne!!!
venerdì 8 marzo 2024
Secondo quanto suggerisce Vitruvio (De architectura, 2,1,3) la struttura del tempio greco trasse la sua origine da primitivi edifici in argilla e travi di legno (Wikipedia)
IL SEGRETO DI ULISSE: "[...] v’è un grande segreto /nel letto lavorato con arte; lo costruii io stesso, non altri./ Nel recinto cresceva un ulivo dalle foglie sottili,/rigoglioso, fiorente: come una colonna era grosso./Intorno ad esso feci il mio talamo [...]"
(Odissea, Libro XXIII, vv. 188-192).
EUROPA. PER IL (...)

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> RIPENSARE L’EUROPA!!! CHE COSA SIGNIFICA ESSERE "EU-ROPEUO". --- Bulgaria 1943 l’olocausto sventato: una storia sconosciuta. La protesta di Dimitar Peshev

martedì 10 maggio 2016


Bulgaria 1943 l’olocausto sventato

23.01.1992 - Sofia

Una storia sconosciuta. Così nel Paese alleato di Hitler la mobilitazione popolare salvò gli ebrei.

[di Enrico Deaglio] *

Difficile scegliere, in questi giorni di cinquantesimo anniversario della Conferenza nazista di Wannsee, il sintomo più cupo del razzismo nell’Europa di oggi. Se la lingua tagliata di Berlino, le coltellate di Roma, le teste rasate di Vienna o il Mein Kampf, best-seller in Polonia. Spero allora che sia sollievo per i lettori apprendere la storia di un olocausto che non avvenne, semplicemente perché un popolo lo impedì.

Una storia sconosciuta, avvenuta in un Paese lontano, la Bulgaria. Tra le poche tracce che ne restano, due brevi comunicati radio.

Il primo è di Radio Berlino, che il 20 maggio 1943 annunciava, con burocratica sicurezza, l’imminente deportazione dei ventimila ebrei di Sofia, una delle tante tappe previste nella “Endoesung der Judenfrage”, la “soluzione finale del problema ebraico” decisa l’anno prima nella villa a Wannsee.

Il secondo è della Bbc. Il 24 maggio, il suo servizio internazionale informava di una manifestazione di protesta a Sofia. Migliaia di persone in piazza avevano impedito la partenza dei convogli nazisti. La deportazione non aveva avuto luogo. Una ribellione, in un Paese occupato, nell’angolo più sperduto della guerra, seguiva di un mese l’insurrezione del ghetto di Varsavia. Poi, però, non si seppe più nulla.

La Bulgaria era da due anni alleata del Reich; il suo re, Boris III, discendente di una nobile famiglia prussiana, aveva ottenuto da Hitler l’appoggio militare per una espansione territoriale, a spese di Romania, Jugoslavia e Grecia. Un caso abbastanza tipico di do ut des balcanico.

Gli avvenimenti seguirono con rapida cadenza. Il 21 gennaio 1941, il Parlamento bulgaro votò (pur fra fortissime opposizioni) una legge antisemita imposta dalla Germania. Il 3 marzo, l’“esercito fratello” entrò nel Paese. Il 2 aprile, con l’appoggio militare tedesco, i bulgari presero possesso di ampie zone della Serbia meridionale, della Macedonia e della Tracia. Ma i tedeschi si dimostrarono subito molto scontenti del loro nuovo alleato: i bulgari si rifiutavano ostinatamente di mandare i propri soldati a combattere contro l’Unione Sovietica; e per quanto riguardava il programma antisemita, le loro leggi apparivano ai funzionari nazisti del tutto ridicole.

Il servizio informazioni di Himmler comunicava a Berlino che le limitazioni di orario e di residenza imposte agli ebrei non venivano rispettate, che la stella gialla obbligatoria sui vestiti era “piccolissima” e che la ditta incaricata di fornirla aveva addirittura sospeso la fabbricazione. Un altro rapporto informava Berlino che a Sofia gli ebrei che passavano per strada con la stella gialla erano salutati “con manifestazioni di simpatia”, che il metropolita Stefan simpatizzava con loro, che a fianco degli ebrei si erano schierati molti parlamentari e associazioni di professionisti.

Gli ebrei erano presenti in Bulgaria, come in tutta la Penisola Balcanica, fin dal 1200. Poi arrivarono, a partire dal 1492, i “sefarditi” cacciati dalla Spagna, che, nei secoli, conservarono, con pochissime modifiche, la loro lingua spagnola. Elias Canetti ha definito la sua una “infanzia meravigliosa” in una città bulgara del Basso Danubio, Rustschuk, dove “in un solo giorno si potevano sentire sette o otto lingue” e si scambiavano commerci e libri tra bulgari, turchi, greci, albanesi, armeni, ebrei spagnoli. E con zingari che venivano ogni tanto ad accamparsi. E così doveva essere in tante altre cittadine. In Bulgaria gli ebrei spagnoli non conobbero mai i ghetti, fecero parte invece di un naturale “melting pot”. Non si diffusero le tendenze hassidiche, così forti in Polonia e in Russia.

A Sofia, all’inizio del secolo, una borghesia ebraica viveva nel centro della città a fianco della grande sinagoga, peraltro adiacente al tempio della Chiesa ortodossa e alla moschea musulmana. In un altro quartiere, Yuchbunar, abitavano gli ebrei artigiani, piccoli commercianti, o operai. C’erano poi i militanti del sindacato socialdemocratico, i giornali, in cirillico o in ebraico con gli apprezzamenti per Carlo Marx e per la grande rivoluzione del 1917 a Pietroburgo, quei socialisti russi che avevano sostenuto i bulgari nella guerra contro l’oppressione dell’Impero Ottomano.

Ci furono anche in Bulgaria, come nel resto d’Europa, movimenti fascisti, ma ebbero scarso seguito, confinati nell’ambiente universitario: in Bulgaria, lo stereotipo dell’“ebreo alieno” non ebbe mai successo. Nella loro maggioranza, politicamente conservatori, gli ebrei bulgari ebbero piuttosto una grande simpatia per le teorie sioniste di Theodor Herzl, da molti indicato come il Messia.

Secondo i programmi di Wannsee, gli ebrei da avviare ai mattatoi della Polonia erano 48 mila, uno su cento della popolazione bulgara. L’attuazione del piano venne affidata da Adolf Eichmann al suo vice Theodor Dannecker (già organizzatore delle deportazioni dalla Francia) e all’ambasciatore tedesco a Sofia, Adolf Beckerle.

Si decise di cominciare con i 20 mila ebrei residenti nelle zone di Serbia e Grecia appena occupate dalla Bulgaria. Il 22 febbraio del 1943 vennero rastrellati 11.450 ebrei. Le poche testimonianze parlano di uomini e donne con berretti di agnello e scialli variopinti ammassati sui carri merce, spaventati ed incapaci di comprendere quello che stava accadendo. Venivano da vallate remote dove avevano sempre vissuto in pace con i loro vicini, o da città che erano poco più che villaggi. Dal campo di sterminio di Treblinka, cui vennero avviati, ne tornarono solamente 11.

Per l’inizio di marzo venne fissata la partenza di 6 mila ebrei residenti nella stessa regione, ma in territorio della Bulgaria storica, da concentrare nella cittadina di Kustendil. Ma qui successe il primo imprevisto. Gli ebrei di Kustendil informarono i loro deputati di quello che era nell’aria e questi corsero a Sofia.

La delegazione venne ricevuta dal vicepresidente del Parlamento, Peshev, che la portò al ministro degli Interni, Grabowsky. In poche ore vennero raccolte 42 firme di deputati dei partiti della maggioranza filotedesca, che con veemenza condannavano l’operazione. Il governo comunicò ai nazisti che l’operazione doveva ritenersi “sospesa per 90 giorni”.

A maggio i nazisti tornarono alla carica. Questa volta furono indicati come obbiettivo i 20 mila ebrei di Sofia. Un editto ordinò loro di presentarsi alla stazione il 24 maggio, giorno di Cirillo e Metodio, inventori dell’alfabeto cirillico, festa nazionale.

Quel giorno, a Sofia, successe un evento unico in tutta Europa. A gruppi, gli ebrei cominciarono a manifestare. Alcuni si recarono alla grande sinagoga, altri a quella del quartiere popolare di Yuchbunar, dove il rabbino promosse una manifestazione. Venne deciso di marciare verso il palazzo reale. Partirono in poche centinaia, ma dalle case di Sofia molti cominciarono a scendere in strada. I manifestanti divennero migliaia, i gruppi comunisti clandestini tra i più attivi. La stazione venne presidiata, mentre il corteo affrontava la polizia e gli attoniti ufficiali delle SS. Ci furono 400 arresti, ma i treni rimasero vuoti. Il governo autorizzò solamente lo sfollamento degli ebrei dalla capitale verso le campagne.

In una serie di comunicati stizziti, Beckerle e Dannecker comunicarono a Himmler che “i bulgari mancano della illuminazione ideologica dei tedeschi. Vivendo da troppo tempo con armeni, greci e zingari, il popolo bulgaro non vede nell’ebreo difetti che giustifichino misure speciali contro di lui”.

Nei mesi successivi continuarono a riferire a Berlino che anche nelle campagne gli ebrei erano “ben accolti” e che “non c’era nulla da fare”. Nell’agosto del 1944, con l’avvicinarsi dell’Armata Rossa, le leggi antisemite vennero revocate: alla fine della guerra non un solo ebreo bulgaro era stato deportato.

Gli storici definiscono il “caso bulgaro” una “anomalia”. Hannah Arendt ricordò un antecedente di fierezza di quel popolo nella vicenda di Georgi Dimitrov, il comunista bulgaro accusato nel 1933 a Berlino dell’incendio del Reichstag. Portato a processo, venne interrogato da Goering, ma da accusato si trasformò in accusatore. Fu assolto. Ammirato da tutto il mondo, tanto che si disse: “In Germania oggi è rimasto un solo uomo, ed è un bulgaro”.

Ma forse gli avvenimenti di Kustendil e di Sofia furono solo un fantastico caso di normalità, di quelle che creano imbarazzo: un Parlamento decoroso, una opinione pubblica civile e coraggiosa, una Chiesa solidale con gli oppressi.

Il reporter Roberto Pistarino - giramondo con telecamera - ha ritrovato nei mesi scorsi i ricordi di questa storia a Sofia, intervistando protagonisti e testimoni. Oggi in Bulgaria vivono in tutto 2500 ebrei; gli altri emigrarono tutti in Israele: si realizzava il loro vecchio sogno sionista, mentre il comunismo applicato non prometteva niente di buono. Theodor Zivkov, il segretario del pc fino al 1989, cercò negli Anni 50 di ottenere una candidatura al Nobel per la pace, ma non riuscì mai a provare di avere avuto un ruolo preminente nel salvataggio degli ebrei di Sofia.

Per il resto non esiste molto. Due libri elogiativi dell’opera del partito comunista, un piccolo circolo ebraico - “Shalom” - e un film documentario girato nel 1987 dalla regista Ivanka Grabceva sugli avvenimenti del 1943. Venne finanziato dalla televisione di Stato, ma non andò mai in onda, perché il partito comunista non vi appare come l’unico protagonista. La regista ha però il permesso di regalarne tre cassette a visitatori stranieri che ne facciano motivata richiesta. Nella grande sinagoga di Sofia è conservato il più importante archivio delle memorie sefardite, ma è quasi impossibile poterlo consultare.

-  Autore: Enrico Deaglio
-  Fonte: La Stampa

* http://www.bulgaria-italia.com/bg/news/news/02453.asp


La lettera di protesta di Dimitar Peshev (17.03.1943) *

Egr. Sig. Primo Ministro

Il senso di grande responsabilità storica che condividiamo in questo momento con il governo, la nostra costante fedeltà alla sua politica e al regime, così come il nostro desiderio di contribuire in ogni modo al suo successo, ci danno il coraggio di rivolgerci a Lei, sperando che lo consideri un passo fatto con sincerità e in buona fede...

Alcune recenti misure adottate dalle autorità dimostrano la loro intenzione di prendere nuovi provvedimenti contro le persone di origine ebraica. Da parte dei settori responsabili non vengono fornite spiegazioni né sulla natura di questi provvedimenti, né sui criteri con cui sono stati presi, sulla loro motivazione e sul loro scopo. In una conversazione con alcuni deputati, il Ministro degli Interni ha confermato che non ci sono ragioni per adottare delle misure eccezionali contro gli ebrei dei vecchi confini. In pratica, queste misure sono state annullate.

Considerato tutto questo e in base a nuove voci, abbiamo deciso di rivolgerci a Lei, sicuri che tali misure possono essere prese solo a seguito di una decisione del Consiglio dei Ministri. La nostra unica richiesta è che vengano prese in considerazione solo quelle misure riguardanti le reali necessità dello Stato e della nazione nel momento attuale e che non vengano dimenticati gli interessi relativi al prestigio e alla posizione morale della nostra nazione.

Non vogliamo contestare alcuna misura imposta dalle ragioni di sicurezza dettate dai tempi in cui viviamo, perché sappiamo che chiunque tenti di ostacolare gli sforzi dello Stato e del popolo, direttamente o indirettamente, dovrà essere neutralizzato. Ci riferiamo a una linea politica adottata dal governo con la nostra approvazione e collaborazione, una politica alla quale siamo stati fieri di partecipare con tutto il nostro prestigio e le nostre ricchezze. L’eliminazione di ogni ostacolo al successo della sua politica è un diritto dello Stato e nessuno lo può negare, ma esiste un limite alle necessità reali e non bisogna cadere negli eccessi che si possono definire "crudeltà inutili". E questo può essere considerato il caso in cui vengano prese delle misure contro donne, vecchi e bambini, che a livello individuale non abbiano commesso alcun crimine.

Non possiamo credere che ci siano dei piani per deportare questa popolazione dalla Bulgaria, come suggeriscono alcune voci a danno del governo. Tali misure sono inammissibili, non solo perché queste persone - cittadini bulgari - non possono essere espulse dalla Bulgaria, ma anche perché ciò avrebbe serie conseguenze per il paese. Sarebbe un’indegna macchia d’infamia sull’onore della Bulgaria, che costituirebbe un grave peso morale, ma anche politico, privandole in futuro di ogni valido argomento nei rapporti internazionali.

Le piccole nazioni non possono permettersi di trascurare questi argomenti, che, qualsiasi cosa accada in futuro, costituiranno sempre un’arma potente, forse la più potente di tutte. Per noi questo è molto importante perché, come Lei forse ricorderà, in un recente passato abbiamo sofferto pesanti perdite morali e politiche, a causa delle deviazioni dalle leggi umane e morali da parte di alcuni bulgari e spesso per colpa di persone irresponsabili. Quale governo bulgaro potrebbe assumersi una simile responsabilità riguardo al nostro futuro?

L’esiguo numero di ebrei in Bulgaria e il potere dello stato, che ha a disposizione tante leggi e tanti mezzi, rendono innocuo ogni elemento pericoloso o dannoso, a qualsiasi strato sociale appartenga, al punto tale che, secondo noi, è del tutto inutile adottare nuove misure eccezionali e crudeli, che potrebbero condurre a un massacro. Una cosa del genere si ritorcerebbe soprattutto contro il governo, ma colpirebbe anche la Bulgaria. È facile prevedere le conseguenze che una simile situazione potrebbe avere ed è per questo che ciò non deve succedere.

In base a queste considerazioni non ci sentiamo di assumere alcuna responsabilità su questo punto. Un minimo livello di legalità è necessario per governare, come l’aria è necessaria alla vita. L’onore della Bulgaria e del popolo bulgaro non è solo una questione di sentimento, è soprattutto un elemento della sua politica. È un capitale politico del massimo valore ed è per questo che nessuno ha il diritto di usarlo indiscriminatamente se il popolo intero non è d’accordo.

Le inviamo i nostri più rispettosi ossequi.

Sofia, 17 marzo 1943

Seguono le firme dei 43 deputati della XXV Assemblea Nazionale. Tratto dal Fondo n. 1335, u.a. 85, Sofia Archivio Storico Nazionale.


Dimitar Peshev fu informato un suo vecchio compagno di scuola ebreo proveniente da Kjustendil che il governo, in accordo coi tedeschi, stava preparando per il giorno dopo la deportazione segreta della minoranza ebraica. I treni erano già stati predisposti nelle stazioni. La notte successiva gli ebrei dovevano essere rastrellati e caricati sui vagoni, che sarebbero partiti la mattina dopo per la Polonia.

"Era il 7 marzo del 1943. Tutto era stato deciso in gran segreto per non mettere in allarme la popolazione. Peshev, in effetti, aveva sentito circolare strane voci, ma come tutti, allora, non se n’era preoccupato. Ora, di fronte a un amico che gli chiedeva di aiutarlo, ebbe come un sussulto, un risveglio della coscienza. Si scosse dal suo torpore e agì d’istinto, con l’idea, in un primo momento, non tanto di salvare un popolo, quanto di aiutare i suoi amici di Kjustendil. Si precipitò in parlamento, radunò qualche altro deputato, piombò di sorpresa nell’ufficio del ministro degli interni Gabrovski e dopo uno scontro drammatico lo costrinse a revocare l’ordine della deportazione. Poi telefonò personalmente a tutte le prefetture per verificare che il contrordine fosse stato rispettato."

Poiché in questo modo la deportazione era stata solo sospesa, Peshev decise di lanciare un’offensiva in parlamento. Si era reso conto che in gioco non c’era soltanto la vita di qualche amico, ma la salvezza dei cinquantamila ebrei bulgari. Non c’era un minuto da perdere: stese una lettera di protesta molto dura e raccolse le firme di una quarantina di deputati per chiedere al governo e al re di non commettere un crimine così grande, che avrebbe macchiato per sempre l’onore della Bulgaria.

tratto dal libro di Gabriele Nissim - "L’uomo che fermò Hitler"

*http://www.bulgaria-italia.com/bg/info/storia/peshev.asp


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