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TERRA!!! TERRA!!! PIANETA TERRA: FILOLOGIA E ’DENDROLOGIA’ (gr.: "déndron" - albero e "lògos" - studio/scienza). L’ALBERO DELLA VITA ...

RIPENSARE L’EUROPA!!! CHE COSA SIGNIFICA ESSERE "EU-ROPEUO". Per la rinascita dell’EUROPA, e dell’ITALIA. La buona-esortazione del BRASILE (2005). Una "memoria" - di Federico La Sala.

(...) il “nuovo mondo” che abbiamo costruito dimostra quanto presto abbiamo dimenticato la ‘lezione’ delle foreste, dei mari, dei deserti, e dei fiumi e delle montagne!!!
domenica 14 aprile 2024
Secondo quanto suggerisce Vitruvio (De architectura, 2,1,3) la struttura del tempio greco trasse la sua origine da primitivi edifici in argilla e travi di legno (Wikipedia)
IL SEGRETO DI ULISSE: "[...] v’è un grande segreto /nel letto lavorato con arte; lo costruii io stesso, non altri./ Nel recinto cresceva un ulivo dalle foglie sottili,/rigoglioso, fiorente: come una colonna era grosso./Intorno ad esso feci il mio talamo [...]"
(Odissea, Libro XXIII, vv. 188-192).
EUROPA. PER IL (...)

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> RIPENSARE L’EUROPA!!! - LA DIGNITA’ NON MUORE MAI - «Fidel soy yo», l’urlo di Cuba. Dall’Europa unico leader, Alexis Tsipras.

giovedì 1 dicembre 2016


Intellettuali in campo per Fidel

Cuba. Scrittori, musicisti, filosofi a scuola di Revolucion

di Geraldina Colotti (il manifesto, 1.12.2016)

Stratega militare, politico, però anche intellettuale. «Raro caso di un capo di stato sempre disposto ad ascoltare e a discutere, senza mai la superbia che tanto spesso ottunde la capacità di comprendere dei leader». Nell’obituary su Fidel Castro, l’intellettuale argentino Atilio Boron ne ha ricordato anche l’alto profilo intellettuale: «Come Chavez, Fidel era un uomo coltissimo e un lettore insaziabile. La sua passione per l’informazione esatta era minuziosa e inesauribile». Boron, una delle voci più presenti nel nuovo corso bolivariano dell’America latina, ha raccontato «l’immensa fortuna» di aver assistito a «un intenso ma rispettoso scambio di idee tra Fidel e Noam Chomsky a proposito della crisi dei missili dell’ottobre ’62 o dell’Operazione Mangusta». In nessun momento «l’anfitrione fece orecchie da mercante a quel che diceva il visitatore nordamericano».

LA CRISI DEI MISSILI fu uno dei momenti più critici della Guerra fredda tra Stati uniti e Unione Sovietica, che seguì al tentativo di invadere Cuba, nell’aprile del ’61, e portò al dispiegamento difensivo di missili nucleari sovietici nell’isola. Come attestano documenti Usa desecretati, l’Operazione Mangusta venne approvata da Kennedy il 18 gennaio del ’62, con lo scopo di «aiutare i cubani a rovesciare il regime comunista a Cuba e istituire un nuovo governo con cui gli Stati uniti possono vivere in pace». Si prevedevano quattro compiti per azioni di intelligence, sei di tipo politico, tredici relativi alla Guerra economica, quattro a quella Psicologica e quattro di tipo militari, con l’obiettivo di giustificare un’invasione dell’isola da parte dell’esercito Usa.

IN QUEGLI ANNI arrivavano all’Avana intellettuali da ogni parte del mondo: scrittori, pittori, musicisti... E al ritorno dedicavano un omaggio a Cuba. Leonard Cohen, scomparso a novembre, arrivò all’Avana pochi giorni prima dell’invasione della Baia dei Porci. Vent’anni dopo, ha ricordato la figura di Fidel Castro nelle note surrealiste della canzone «Field commander». Nel ’61, Fidel Castro tiene il primo discorso storico agli intellettuali.

DÀ CONTO di «tre sessioni» di accese discussioni, che metteranno le basi per la politica culturale degli anni a venire: «Noi siamo stati agenti di questa Rivoluzione, della rivoluzione economico-sociale che si sta tenendo a Cuba - dice Fidel - A sua volta, questa rivoluzione economico-sociale deve produrre una rivoluzione culturale». Da lì, il «punto più polemico della questione: se deve esserci o no un’assoluta libertà di contenuto nell’espressione artistica».

UN TEMA che, negli anni più complicati della rivoluzione cubana, porterà gli intellettuali a schierarsi. «Nel 1961 - scrive il compianto scrittore Manuel Vazquez Montalban - la Rivoluzione cubana era coccolata dall’intelligencia di sinistra di tutto il mondo e l’Avana come Mosca nel 1920 fu la Mecca di tutti i trasgressori di codici del mondo, che cercavano in Cuba un nuovo destinatario sociale capace di intendere il nuovo». E ricorda il viaggio che fecero Jean-Paul Sartre e Simone de Beauvoir, che definirono Fidel Castro «un amico».

TUTTAVIA, la prima grande incrinatura si produsse nel 1971, di fronte al gruppo di scrittori che appoggiarono Heberto Padilla, i quali ritenevano che la rivoluzione avesse tradito. «Quale dev’essere la prima preoccupazione: i pericoli reali o immaginari che possono minacciare il libero spirito creatore, o i pericoli che possono minacciare la Rivoluzione stessa? Dentro la rivoluzione, tutto, contro della rivoluzione, niente», diceva Fidel agli intellettuali, nel ’61. Molti scelsero di sostenere Cuba purchessia, altri le voltarono le spalle, magari per ritornare sui loro passi molti anni dopo.

IL RUOLO di Cuba nei cambiamenti strutturali del continente, ha però rimesso in campo un nuovo immaginario, una nuova mitopoiesi «bolivariana» nutrita dai punti più alti e poliedrici portati dai nuovi movimenti latinoamericani. Si è creata la Rete mondiale degli intellettuali e artisti in difesa dell’umanità, guidata da Venezuela e Cuba, e un laboratorio di pensiero - anche critico, ma fraterno - che va dall’Europa al Latinoamerica, agli Usa, e che si è fatto sentire in questi giorni per ricordare l’apporto di Fidel.


«Fidel soy yo», l’urlo di Cuba

Hasta Siempre. Oltre un milione di cubani ha invaso l’Avana per il saluto al «lìder maximo». Dall’Europa unico leader, Alexis Tsipras

di Roberto Livi (il manifesto, 1.12.2016)

«Donde está Fidel?» domanda il presidente del Nicaragua, Daniel Ortega. «Aqui, yo soy Fidel» risponde un boato che scuote l’Avana. È la voce di più di un milione di persone, una valanga umana che riempie la gigantesca Piazza della Rivoluzione, debordando poi per un lungo tratto del viale d’accesso. Una marea tutt’altro che amorfa, quella che ieri sera per quasi quattro ore ha animato la cerimonia per l’estremo saluto dell’Avana al Comandante della Rivoluzione cubana. Sventolio di bandiere, canti - «Fidel, qué tiene Fidel que los americanos no pueden con él» -, applausi e qualche lacrima e il ritmare di quello slogan col quale un popolo intero vuole identificarsi col suo leader e il suo lascito politico: «Io sono Fidel».

JOSÈ MARTÌ Più in alto, sotto la grande statua di José Martí, di fronte all’entrata del mausoleo dedicato al padre della patria di Cuba, la tribuna delle autorità cubane e soprattutto degli ospiti, che ha visto riuniti i membri delle delegazioni di capi di Stato e di governo, più di venti, o di inviati dei paesi di quattro continenti, America, Europa, Asia e Medioriente e Africa. In prima fila i rappresentanti dell’Alleanza bolivariana, con il presidente venezuelano Nicolás Maduro - simbolicamente seduto alla destra del presidente Raúl Castro (in uniforme da generale) - e i colleghi della Bolivia, Evo Morales, dell’Ecuador, Rafael Correa, del Nicaragua, Daniel Ortega, affiancati dal presidente del Salvador, Salvador Sánchez Céren-, dal messicano Enrique Peña Nieto e dal panamense Juan Carlos Varela. L’Africa australe era rappresentata dai presidenti del Sudafrica e della Namibia.

SCARSE le rappresentanze di altri paesi. A dimostrazione che, anche da morto, Fidel polarizza gli schieramenti, tra chi lo giudica un gigante del XX secolo che ha contribuito a «cambiare il volto dell’America latina e a influenzare il mondo» e chi, soprattutto leader di paesi entusiasticamente neoliberisti, lo ritiene un «caudillo» che ha imposto a Cuba un regime totalitario. La Spagna era rappresentata da Juan Carlos di Borbone e l’Ue dal premier greco Alexis Tsipras. Il presidente Obama non ha voluto sfidare le ire dei repubblicani e ha inviato a rappresentarlo il diplomatico Jeffrey DeLaurentis e Ben Rhodes, il consigliere alla Sicurezza che ha partecipato alle trattative per la normalizzazione dei rapporti con Cuba. Assente anche il presidente russo Vladimir Putin che ha inviato il presidente della Duma, Volodin, a rappresentarlo.

UNA PROVA visibile, comunque, di quanto ha affermato nel suo intervento il presidente della Bolivia, Evo Morales: «Fidel ha portato Cuba nella mappa politica del mondo, lottando contro l’avidità dell’impero. E oggi il mondo riconosce Fidel come un figura politica di taglia inacessibile». Un successo e un credito davvero eccezionali per un’isola di 11 milioni di persone che , fino alla vittoria dei «barbudos» di Fidel nel 1959, era nota soprattutto per gioco d’azzardo, prostituzione e la produzione, monopolizzata dagli Usa, di zucchero. Correa ha affermato che Fidel «è morto invitto» e ha duramente criticato l’embargo degli Usa. «Poche vite sono state tanto complete e luminose. Fidel non se ne va, resta con noi, assolto dalla Storia della patria grande» (latinoamericana), ha detto il presidente Maduro, assicurando Raúl Castro che «può contare oggi più che mai sull’appoggio del Venezuela». Il vicepresidente della Cina ha definito il leader scomparso «un colosso della storia».

Particolarmente emotivi sono stati gli interventi del presidente del Sudafrica, Jacob Zuma e della Namibia, Hage Gengob. Il primo ha messo in risalto l’importanza dell’intervento militare cubano - «con quasi mezzo milione di soldati» - in Angola nella seconda metà degli anni Settanta del secolo scorso per contrastare l’invasione delle truppe del Sudafrica in quegli anni governato dai fautori dell’apartheid. La vittoria cubana comportò non solo la sovranità dell’Angola, «ma anche la decolonizzazione della Namibia e la sconfitta del regime razzista» a Pretoria. «Fidel non inviò le sue truppe per impadronirsi del petrolio, dell’oro o dei diamanti - ha detto Zuma - ma per la libertà e l’indipendenza dei nostri popoli». Tesi confermata dal presidente Gengob: «Quando incontrai Fidel mi disse che dall’Africa avevano portato via solo i resti mortali dei loro soldati».

COMMOVENTE e ripetuto è stato il continuo richiamo alla solidarietà che Fidel, «nonostante l’illegale blocco economico degli Usa», ha saputo assicurare a varie nazioni e popoli: «Ha inviato personale medico e ha formato a Cuba centinaia di nostri studenti di medicina» (Jacob e Gengob), «per il Vietnam si è detto disposto a dare anche il proprio sangue» - (presidente della Camera dei deputati Nguyen Thi) - «dopo un ciclone dimostrarono che con noi erano disposti a dividere il pane» (Daniel Ortega).

La gigantesca manifestazione è stata conclusa dall’intervento del presidente Raúl, il quale ha avuto anche un inatteso motto di spirito assicurando i partecipanti che il suo era «l’ultimo intervento». Un discorso asciutto, che ha ricordato come la piazza della Rivoluzione è stata il luogo dove il fratello maggiore ha annunciato e spiegato tutte le decisioni del suo governo, dalla riforma agraria - «che è stata come passare il Rubicone» - alla dichiarazione del carattere socialista della Rivoluzione.

L’ITALIA «È stata una grande manifestazione di orgoglio nazionale in memoria di un personaggio storico del XX secolo che ha saputo conquistare e difendere l’indipendenza del suo paese», ha dichiarato il viceministro degli Esteri Mario Giro che ha rappresentato il governo italiano. «Un governo che è stato sempre amico di Cuba, pronto a collaborare nei settori economici, commerciali e culturali».

Ieri mattina è partita dalla capitale la carovana funebre che porterà l’urna di legno rivestita dalla bandiera di Cuba all’interno di una teca di vetro che contiene le ceneri di Fidel lungo tutta l’isola fino a Santiago dove saranno inumate domenica. Lungo tutto il percorso - circa 900 chilometri - si prevede una fila ininterrotta di cubani per salutarlo.


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