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TERRA!!! TERRA!!! PIANETA TERRA: FILOLOGIA E ’DENDROLOGIA’ (gr.: "déndron" - albero e "lògos" - studio/scienza). L’ALBERO DELLA VITA ...

RIPENSARE L’EUROPA!!! CHE COSA SIGNIFICA ESSERE "EU-ROPEUO". Per la rinascita dell’EUROPA, e dell’ITALIA. La buona-esortazione del BRASILE (2005). Una "memoria" - di Federico La Sala.

(...) il “nuovo mondo” che abbiamo costruito dimostra quanto presto abbiamo dimenticato la ‘lezione’ delle foreste, dei mari, dei deserti, e dei fiumi e delle montagne!!!
venerdì 8 marzo 2024
Secondo quanto suggerisce Vitruvio (De architectura, 2,1,3) la struttura del tempio greco trasse la sua origine da primitivi edifici in argilla e travi di legno (Wikipedia)
IL SEGRETO DI ULISSE: "[...] v’è un grande segreto /nel letto lavorato con arte; lo costruii io stesso, non altri./ Nel recinto cresceva un ulivo dalle foglie sottili,/rigoglioso, fiorente: come una colonna era grosso./Intorno ad esso feci il mio talamo [...]"
(Odissea, Libro XXIII, vv. 188-192).
EUROPA. PER IL (...)

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> RIPENSARE L’EUROPA!!! CHE COSA SIGNIFICA ESSERE "EU-ROPEUO". -- La mia terra si trova qui e ovunque / Ritrovare l’Europa (di Francesco M. Cataluccio)

mercoledì 26 dicembre 2018

      • continuazione - RITROVARE L’EUROPA ....

Gli intellettuali centroeuropei, proprio per il fatto di appartenere a piccoli paesi vittime dei vicini più potenti e prepotenti, che spesso soffiarono sul fuoco delle esasperazioni nazionaliste, hanno avuto le antenne più sensibili nel capire i guasti del totalitarismo, del populismo, del razzismo, dell’intolleranza religiosa. Intellettuali come il filosofo ungherese Istvàn Bibò, il poeta polacco, premio Nobel nel 1980, Czesław Miłosz (autore, nel 1959, del bellissimo saggio Europa familiare, trad. it. La mia Europa, trad. di F. Bovoli, Adelphi, Milano, 1985), il drammaturgo e politico ceco Václav Havel (diventato presidente del suo paese dopo il 1989), lo scrittore rumeno Paul Goma, solo per citare i più noti, ci hanno aiutato a capire la “vulnerabilità dell’Europa”, sono riusciti a convincere le società civili dei propri paesi della necessità di “tornare in Europa” perché dell’Europa e dei suoi valori si sentivano parte e la consideravano un antidoto contro il cieco nazionalismo.

Purtroppo, dopo la caduta dei muri, molti abitanti dei paesi ex comunisti immaginarono che entrare finalmente in Europa avrebbe significato maggiore benessere. Non è stato per tutti così. E quindi l’Europa è diventata il capro espiatorio di tutte le delusioni a seguito di troppo facili illusioni. La cosiddetta Europa di Maastricht (dal nome del paesino dei Paesi Bassi dove il 7 febbraio 1992 fu firmato il Trattato dell’Unione Europea), che permette, in base all’Accordo di Schengen, a tutti i cittadini dei 26 stati europei di circolare liberamente nel continente senza passaporto, e prometteva di avere, in prospettiva, una moneta unica, una sola bandiera, una sola polizia ed esercito, oggi è ferma e fa acqua da tutte le parti.

Le forze di destra, che hanno sempre visto nell’Europa e nei suoi ideali il nemico del loro nazionalismo, hanno avuto gioco facile nell’attaccare i partiti liberal-democratici che, pur tra errori e indecisioni, hanno gestito con successo la transizione. Li hanno accusati di essere rappresentanti delle élite cittadine privilegiate al servizio della Germania e della Francia (considerate le “padrone dell’Europa”), delle banche e degli stranieri che si sono comprati a buon mercato le aziende post comuniste.

Nel nome dell’orgoglio nazionale e del malcontento delle popolazioni rimaste ai margini e, a volte, ulteriormente impoverite, hanno preso campo ideologie nefande, demagogiche, semplificatorie e intolleranti, che hanno conquistato rapidamente consensi sempre crescenti in fasce di popolazione “dove alberga l’impotenza e la frustrazione di chi è stato costretto a immaginare mondi che non possiederà mai”. Con le elezioni hanno preso il potere maggioranze che oggi governano, grazie a leggi elettorali discutibili, in modo autoritario, non rinunciando ai vantaggi europei (sussidi all’agricoltura e alle infrastrutture), ma contrastando, in nome della propria sovranità, gli obblighi comunitari (sia in materia di quote di migranti, che del rispetto dei prìncipi costituzionali e dei valori di laicità e tolleranza previsti dalla carta d’Europa).

Come scrisse Friedrich Nietzsche nelle sue Considerazioni inattuali: “Il nazionalismo è l’effluvio di chi sa andar fiero solo del fatto di essere un gregge”. Il nazionalismo e il populismo sono i peggiori nemici dell’Europa perché ne mettono in discussione i valori e gli accordi.

Proprio per questo, i valori europei sono la migliore arma per sconfiggere gli egoismi, le intolleranze, gli odi. Una grande responsabilità spetta quindi oggi alle scuole per diffondere questi valori educando alla democrazia, alla tolleranza, al rispetto, alla fratellanza, al sentirsi cittadini dell’Europa e del mondo.

Lo storico del Medioevo, Bronisław Geremek, che fu uno dei consiglieri di Solidarność e poi Ministro degli esteri e artefice dell’ingresso della Polonia nell’Unione europea e nell’Alleanza atlantica, e autore tra l’altro di un volume intitolato Le radici comuni dell’Europa (ed. it. a cura di F. M. Cataluccio, il Saggiatore, Milano 1991), era inizialmente convinto che si dovesse partire dalla conoscenza comune della Storia dell’Europa. Ma la cosa si è dimostrata impossibile. Nonostante gli sforzi di associazioni di insegnati come EUROCLIO (fondata nel 1993), con sede a L’Aia, che si occupa di facilitare l’introduzione delle più recenti innovazioni didattiche nell’insegnamento della storia nei paesi che fanno parte dell’Europa, non si sono fatti passi avanti. Nonostante le Raccomandazioni per i Professori di Storia, emanate nel 2001 dal Consiglio d’Europa, ci si è accorti che, proprio a partire da quell’anno, l’interesse politico per un approccio storiografico di tipo nazionale andava rapidamente crescendo nei curricola scolastici di molti Paesi, con una conseguente diminuzione d’interesse per le tematiche europee. Già nel 1992 si era tentato di produrre un testo scolastico di storia su scala europea, radunando un gruppo di dodici storici in rappresentanza di altrettanti Stati europei. Il risultato è stato un fallimento: la Storia dell’Europa. Popoli e Paesi, in francese nell’edizione originale (la lingua che tutti gli autori hanno convenuto di utilizzare), non sta in piedi e dimostra che dopo secoli di guerre e massacri, confini che si sono spostati decine di volte, è impossibile scrivere una storia dell’Europa che metta d’accordo e accontenti tutti. La complessità è tale che non si fa ridurre e risolvere con dei compromessi. Non è quindi dalla Storia che si può pensare creare una coscienza europea comune. Bisogna partire dai VALORI.

Ma cosa sono i VALORI EUROPEI? Quali sono le RADICI COMUNI DELL’EUROPA, oggi messe in discussione dal risorgere degli egoismi nazionali?

Vale la pena ritornare al lavoro del regista polacco Krzystof Kieślowski. Dopo la caduta del regime comunista, e mentre la Polonia come gli altri paesi del Centro Europa, faceva i passi necessari per entrare nell’Unione Europea, Kieślowski iniziò a lavorare a un progetto di tre film che mettessero a fuoco, con delle storie esemplari, l’importanza e le contraddizioni dei valori europei. Tre film intitolati come i colori della bandiera francese - Film blu (1993), Film bianco (1994), Film rosso (1994) - e rappresentanti ciascuno i tre valori fondamentali: LIBERTÁ, EGUAGLIANZA, FRATERNITÁ.

Questi - assieme al collante che alla Rivoluzione francese mancò: la TOLLERANZA - sono i valori dell’Europa. Purtroppo, seppur tra mille contraddizioni, il primo e il terzo si sono abbastanza realizzati, il secondo (l’Eguaglianza) non si è, pur nei limiti del possibile e le compatibilità con un sistema economico come quello capitalistico, diffuso. Anzi, con la crisi economica, le ineguaglianze sono cresciute, dividendo ancor di più i cittadini europei tra benestanti e disagiati. Nel vuoto di questa Europa sentita come traditrice è cresciuta la malapianta dell’intolleranza e del risentimento. L’arrivo dei migranti ha ulteriormente accentuato la diffidenza e la paura verso lo straniero, ma già prima si era assistito a vergognose campagne contro persone della stessa Europa: si pensi agli attacchi all’“idraulico polacco”, al “lavavetri rumeno”, all’albanese, al bosniaco...: attacchi che, del resto, non erano del tutto nuovi, basti ricordare, negli anni cinquanta, quelli contro i lavoratori italiani meridionali, e negli anni settanta contro gli emigranti turchi (e vediamo oggi che grande, madornale, errore è stato tenere fuori l’allora ancora laica Turchia dall’Europa).

Nel Film rosso (Fraternità) di Kieślowski, che è quello della trilogia ad aver avuto il maggior successo, c’è un episodio iniziale che merita una riflessione: la protagonista che salva un cane investito da una macchina. Ci farà capire che non lo ha fatto né per l’animale, né per il suo padrone, ma per salvare se stessa. La fratellanza è anzitutto un aiuto a se stessi.

Questo mi pare anche il senso del ragionamento che abbiamo sempre fatto sui Giusti. Non santini o eroi da cartolina, ma persone vere (con tutte le contraddizioni e difetti umani): uomini e donne che hanno messo a repentaglio la propria vita per salvare gli altri: “Cosa avreste fatto al mio posto?”, chiedeva candidamente il commerciante Giorgio Perlasca, convinto fascista, che salvò a Budapest centinaia di ebrei dalla furia nazista. Salvando quelle persone, rispondendo all’indignazione della sua coscienza, aveva in fondo salvato anche se stesso.

L’esperienza del lavoro sui Giusti e la creazione dei Giardini che li ricordano e li fanno vivere nelle esperienze educative, ci insegnano che bisogna ripartire dagli individui, dai singoli e concreti cittadini europei, con i loro retaggi culturali particolari e i loro mille linguaggi, facendo conoscere i valori europei universali come sono stati assimilati, vissuti e messi in pratica da persone che sono state straordinarie ma come potrebbe essere ciascuno di noi, se desse ascolto alla propria coscienza.

La parola "Europa" non indica un’entità geografica, ma una nozione mentale. L’Europa non deve essere uno Stato, ma una federazione di liberi stati diversi, uniti da una cultura e un destino comuni che permettono di fissare alcune regole e accordi di convivenza (che non possono però essere solo economiche, monetarie e doganali).

Dopo tutte le tragedie che l’Europa ha prodotto e subìto, soprattutto a causa dei nazionalismi, ancora recentemente (basti pensare alla tragedia delle guerre balcaniche che è stato il più grande fallimento dell’Europa) è molto importante fare proprie le parole del poeta Czesław Miłosz, che, all’inizio del suo esilio in occidente, scrisse una poesia bellissima e molto significativa intitolata Mittelberghein, Alsazia 1951:

"(...) La mia terra

Si trova qui e ovunque, da qualunque parte mi volga

O in qualunque lingua oda

Il canto d’un bimbo, la conversazione di amanti”.

* Intervento al Convegno internazionale di GARIWO, Coltivare i Giardini dei giusti per contrastare la "cultura del nemico". Frigoriferi Milanesi, 29 settembre 2018.


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