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In principio era ...

LA STELLA DELLA REDENZIONE (1921). La matrice di quello che Rosenzweig chiama «nuovo pensiero».

Un capolavoro unico! Tante cartoline spedite agli amici e alla madre dal fronte balcanico
domenica 25 giugno 2006 di Federico La Sala
[...] Il paganesimo, che è uno stato, o uno strato, non uno stadio dell’umanità (è la possibilità sempre aperta dell’immanenza) mantiene questi tre dati elementari irrelati l’uno all’altro, autonomi. Grazie alla rivelazione, invece, Dio l’uomo e il mondo entrano in un reciproco rapporto temporale, e perciò storico, e l’uno ha bisogno dell’altro.
Si scopre a ritroso la creazione. Si sente la necessità della redenzione. Creazione rivelazione e redenzione instaurano un ordine diverso da (...)

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> LA STELLA DELLA REDENZIONE (1921). ---- TIKKUN - RIPARARE IL MONDO. I FONDAMENTI DEL PENSIERO EBRAICO DOPO LA SHOAH di Emil Fackenheim (una rc.ne di Paola Ricci Sindoni)

sabato 13 febbraio 2010

Esce in Italia il saggio di Emil Fackenheim che indaga come ricucire le ferite provocate nella storia dai totalitarismi

Riparare il mondo dopo la Shoah

Non serve a nulla demonizzare il pensiero anti-umano: quel che occorre è salvarlo, purificarlo dalle sue patologie in un vasto programma educativo

di PAOLA RICCI SINDONI (Avvenire, 13.02.2010)*.

Strani destini regolano, a volte, la vita dei libri, messaggeri poten­ti e silenziosi dei loro creatori: al­cuni messi rapidamente nel circolo dell’industria editoriale che ne segna la fama, altri, meno fortunati e trascu­rati, anche se grandi, rischiano di ca­dere nell’oblio. È questo il caso di Emil Fackenheim (1916-2003), filosofo e­breo-tedesco di altissimo livello, rifu­giatosi - dopo la persecuzione e l’in­ternamento - in Canada, dove visse per quarant’anni prima di trasferirsi nel 1983 a Gerusalemme. Solo nel 1977 è apparso in Italia un piccolo e denso saggio, La presenza di Dio nella storia, e poi nulla, sino ad oggi quando esce nelle librerie, per i tipi della Medusa di Milano, il suo capolavoro del 1982: Ti­qqun - Riparare il mondo. I fondamenti del pensiero ebraico dopo la Shoah.

Un libro splendido, ricco di suggestioni e di sane provocazioni alla filosofia e al­la teologia, opera che non si può che avvicinare ad altri classici del ’900, co­me La stella della redenzione di Franz Rosenzweig o Totalità e infinito di Em­manuel Lévinas, come giustamente nota Massimo Giuliani nella sua in­tensa prefazione. Né si pensi che queste riflessioni che intrecciano filosofia, storia, politica e teologia, appartengano solo all’ebrai­smo, siano cioè circoscritte ai super­stiti e alla loro capacità di sopravvi­venza, dal momento che sono legate alla grande questione di come curare le ferite della ragione, del pensiero, del­la cultura umanistica e della civiltà oc­cidentale, che non solo non hanno pre­visto Auschwitz, ma che non possono passare indenni dentro quell’immane disastro.

È lo stesso Fackenheim a chia­mare in causa, in questo serrato con­fronto con alcuni protagonisti del pen­siero filosofico, da Kant a Hegel, da Spi­noza a Rosenzweig e a Heidegger, la necessità di una riprova storica non tanto con la memoria ferita dei so­pravvissuti, quanto con la responsabi­lità dei loro carnefici, quei tedeschi, in prevalenza cristiani, che hanno colla­borato consapevolmente alla costru­zione dell’orribile macchina burocra­tica e tecnologica dell’annientamento degli ebrei.

L’urgenza di ’riparare’ questa enorme frattura dentro il mondo consiste per­ciò non nel demonizzare quel pensiero cercando altre alternative, ma nel doverlo salvare, purificare dalle sue stesse patologie, coinvolgendo in un vasto programma educativo e cultura­le cristiani, ebrei e tedeschi delle nuo­ve generazioni, insieme volti a neutra­lizzare quelle spinte negative, culmi­nate ad Auschwitz, luogo simbolico del nichilismo fattosi esperienza storica antiumana per milioni di persone e per lunghi anni. Per evitare il ripetersi di simili tragedie, che oggi potrebbero an­cora colpire Israele nella sua stessa ne­cessità di sopravvivenza come Stato, bisogna in primo luogo stare dentro la storia, sfuggendo ad ogni tentazione teoretica di leggerla con gli occhi im­poveriti del pensiero astratto.

Da qui la tensione etica che promana da questo libro, in cui finalmente Fackenheim riesce a trovare una sintesi coraggiosa e sofferta fra le due anime che lo abitavano, i due ’cappelli’, che di volta in volta era chiamato ad in­dossare (come icasticamente dirà nel­la sua Autobiografia, fra poco in usci­ta per Giuntina): da una parte l’esi­genza di redimere l’’età d’oro’ della fi­losofia classica tedesca che da Kant si­no a Hegel ha disegnato il volto della cultura umanistica occidentale, ma che è apparsa impotente a fornire an­tidoti contro l’inumano che ha avvol­to i lager, dall’altro la teologia ebraica, custodita negli anni durante gli studi a Berlino per il rabbinato e che sembra­va rappresentare l’unica forma di cu­stodia di sé, oltre gli orrori della storia.

Questi due ’cappelli’ non potevano che rinvenire un momento di felice sintesi in questa opera, dove la forma simbolico-cabalista del tikkun (se­condo cui al momento della creazio­ne scintille divine si sono sperdute nel mondo, fuoriuscite dalla rottura dei va­si che le contenevano) riesce a dise­gnare la forza d’urto del bene che va ri­costruito dentro le oscurità del pen­siero e della storia.

Quando nel 1967, durante la Guerra dei Sei giorni, gli i­sraeliani hanno tremato ancora per la loro sopravvivenza, si è tragicamente compreso come ancora ’tutto’ pote­va accadere di nuovo, che il male scon­fitto covava dentro la storia, che i mor­ti nei lager rischiavano davvero di es­sere morti invano, che il nazismo po­teva guadagnare la sua vittoria postu­ma.

Nasce da questo nuovo sussulto del male storico l’esigenza a moltiplicare le energie morali per una nuova ope­ra di resistenza verso tutte le forme di disumanizzazione dell’umano, per co­struire un fronte comune dove ebrei e cristiani, soprattutto, lavorino insieme per aggiustare il mondo e renderlo più abitabile per tutti.

Molta letteratura ebraica sulla Shoah sembra ancora incapace di individua­re forme di identità comune, oscillan­do fra la soluzione ’confessionale’ del­la comunità religiosa, unita nell’iden­tità del Patto che ancora vive fra Israe­le e il suo Signore, e la soluzione ’po­litica’ e laica che oggi sostiene lo Sta­to e le sue istituzioni. Per Fackenheim però né supremazia né contraddizio­ne fra questi due poli, perché è la sto­ria, ancora una volta, a dettare il suo verdetto.

Ricorda al riguardo un dram­matico episodio, avvenuto il giorno dello scoppio della Guerra dei Sei gior­ni. Era la festa di Yom Kippur e moltis­simi si trovavano in sinagoga a prega­re, quando i giovani, richiamati im­mediatamente alle armi, correvano per raggiungere le loro postazioni. Fu al­lora che alcuni anziani a Gerusalemme interruppero le loro preghiere, corse­ro fuori e strappando i loro libri sacri, donarono fogli sparsi ai soldati in par­tenza. Da parte loro - nota Fackenheim - i militari non esitarono ad accettare il dono, sia che fossero religiosi o laici: «A Yom Kippur alcuni combatterono perché altri potessero pregare, e alcu­ni pregarono perché altri potessero combattere». Un modo intenso e tra­gico per ridire la forza della volontà di sopravvivere insieme e di restituire al mondo una lezione di resistenza al ma­le, oltre le divisioni, oltre le ricadute.

*

-   Emil Fackenheim
-  TIQQUN
-  Riparare il mondo. I fondamenti del pensiero ebraico dopo la Shoah
-  Medusa. Pagine 300. Euro 24,50.


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