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Memoria del Sud

SECONDA GUERRA MONDIALE: LA RESISTENZA NEL SUD, MAI RACCONTATA. Parla (2004) la storica Gabriella Gribaudi

mercoledì 28 giugno 2006 di Federico La Sala
[...] la nazione si definiva come “nazione in armi”. Quindi l’identità della nazione era costituita dal suo esercito; di qui la consuetudine di fine ‘800 di fare delle sfilate di uomini armati che si chiamavano proprio “la nazione in armi”.
La nazione invece sono anche le donne che resistono, sono le famiglie, il vivere sociale, le reti di paese. E questa nazione tanto vituperata in quell’occasione ha funzionato, mentre non hanno funzionato le istituzioni dello (...)

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> SECONDA GUERRA MONDIALE: LA RESISTENZA NEL SUD, MAI RACCONTATA. --- Donne resistenti in Campania (di Fosca Pizzaroni).

sabato 25 aprile 2020

Donne resistenti in Campania

di Fosca Pizzaroni *

Oggi 25 aprile 2020 in cui tutta la popolazione è chiamata a “resistere” contro un nemico invisibile, in controluce possiamo rileggere quei giorni di ribellione e violenze che portarono alla costituzione della Repubblica italiana. Oggi, come richiamo a superare i campanilismi e le divisioni, torniamo a riflettere su quella parte fondante della nostra storia. Momento complesso, caotico, tuttora e sempre da rivisitare perché «la resistenza, ancora oggi, rappresenta in Italia un fattore di divisione» (M. Flores, M. Franzinelli, Storia della Resistenza, Bari, Laterza, 2019, p. XI). Fattore di pregiudizio che nasce proprio all’indomani di quel tragico arco di tempo disegnato tra il settembre del 1943 e l’aprile del 1945, con la crisi che Nenni definì «vento del Nord», originata nell’aprile del 1945, subito dopo la liberazione, a causa di contrasti all’interno del Comitato Centrale di Liberazione Nazionale e del Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia. La liberazione del nostro Paese fu lenta e lo spezzò in più parti, ma quanto a ribellione, coraggio, dolore, sofferenza, sopraffazione, stragi e violenze se ne subirono in ogni minima particella di tutto il suo lungo territorio.

Questo 25 aprile 2020 ci invita come mai a superare stereotipi e luoghi comuni e non per falsi sentimentalismi ma grazie al lavoro della ricerca storica ed archivistica. Forse, fino ad oggi, sono meno conosciute le tragiche vicende del Sud, ridotte spesso alle Quattro Giornate di Napoli, vissute tra il 27 e 30 settembre del 1943, e viste come fatto estemporaneo di generosità propria delle popolazioni del basso Tirreno. Vicende messe in rilievo, invece, anzi riscoperte, dal lavoro della Commissione storica italo-tedesca, cui nel 2009 il governo italiano e quello della Repubblica Federale Tedesca diedero l’incarico di sviluppare l’esame critico di quel periodo, proprio per contribuire alla realizzazione di una nuova cultura della memoria (https://italien.diplo.de/blob/1600290/91b68fe8ac6b370ee612debfee141419/rapporto-hiko-data.pdf). Progetto che ha portato alla creazione dell’Atlante delle stragi naziste e fasciste in Italia (http://www.straginazifasciste.it).

Altra fonte di fondamentale importanza nel ridonare le linee della guerra portata avanti dai partigiani e dalle partigiane d’Italia e il ruolo da loro svolto nella lotta di liberazione nazionale è il fondo del Ministero della Difesa, Ufficio per il servizio riconoscimento qualifiche e per le ricompense ai partigiani (in sigla Ricompart), conservato presso l’Archivio centrale dello Stato. Non ancora del tutto inventariato, quindi non tutto a disposizione di studiosi/e, ma che alla voce “Campania” apre nuovi e sconvolgenti scorci sulla storia della nostra Resistenza. Panorami che rimettono in discussione l’attuale storiografia. Fondo ampiamente consultato da Giovanni Cerchia -professore di storia contemporanea presso l’Università del Molise - nel suo recente volume La Seconda guerra mondiale nel Mezzogiorno (Luni, Milano 2019), in cui si riportano alla luce nomi, fatti, luoghi, avvenimenti. Nomi, fatti, luoghi e avvenimenti che tornano ad avere volti, parole, azione, stati d’animo e pongono al centro dell’attenzione il portato delle donne alla costruzione della nuova Italia.

Donne come la Medaglia d’argento al valor militare Filomena Galdieri (Roccapiemonte, Salerno, 21 dicembre 1920- ivi, 25 settembre 1943). Ventiduenne salernitana, studente e infermiera volontaria presso l’Ospedale Villa Silvia, struttura sanitaria del comune natale di Filomena, in linea d’aria a circa 11 km da Salerno. Nei giorni immediatamente successivi al 9 settembre del 1943, data dello sbarco alleato a Salerno, il paese di Roccapiemonte era ancora occupato dai tedeschi. Purtroppo le carte relative alla Prefettura e alla Questura di Salerno per l’anno 1943 sono andate perdute, proprio a causa della dispersione intervenuta in seguito all’occupazione da parte delle forze armate alleate dell’edificio che ospitava i due uffici per stabilirvi il proprio quartier generale, di conseguenza non è dato ricostruire con chiarezza gli avvenimenti del giorno in cui fu uccisa Filomena. «Secondo alcune fonti Galdieri fu uccisa perché sospettata di aver curato militari alleati; secondo la motivazione della medaglia d’argento che fu conferita alla sua memoria, morì invece a causa di un colpo di artiglieria, non si sa se sparato dai tedeschi o dagli Alleati» (http://www.straginazifasciste.it/).
-  La motivazione della Medaglia d’argento recita così: «Spinta da sentimenti altruistici, si offrì quale infermiera volontaria presso l’ospedale civile per assistere e medicare numerosi feriti che affluivano all’ospedale. Rimaneva al suo posto di lavoro e di volontario sacrificio nelle più dure giornate di combattimenti, sprezzante del pericolo che incombeva per i continui bombardamenti operati nella zona. Nella fase più cruenta della battaglia mentre amorosamente medica un ferito, colpita da un proiettile di artiglieria cadeva colpita a morte». Al suo nome è stata dedicata la strada in cui sorge il centro medico di Villa Silvia.

Donne come la Medaglia di bronzo al valor militare Maddalena Cerasuolo (Napoli, 2 febbraio 1920 - ivi, 23 ottobre 1999). Lenuccia, così veniva chiamata, era la giovane operaia di un calzaturificio, ventitreenne «apparecchiatrice di scarpe» (in copertina). Durante l’insurrezione delle Quattro Giornate fece parte del gruppo dei «cercatori di armi», si distinse negli scontri al quartiere Materdei e partecipò alla battaglia in difesa del ponte della Sanità.

In seguito, come attestano gli archivi londinesi, fu utilizzata dagli agenti del servizio segreto inglese Soe (Special Operation Executive) in varie missioni: partecipò ad operazioni come la Hillside II e la Kelvin (D. Stafford, La resistenza segreta. Le missioni del SOE in Italia 1943-1945, Milano, Mursia, 2013). Fu perfino paracadutata oltre le linee nemiche, tra Roma e Montecassino, per raccogliere informazioni divenendo la “cameriera” della cantante napoletana Anna d’Andria, che cooperava con gli anglo-americani organizzando ricevimenti per carpire informazioni agli ufficiali tedeschi (S. Prossomariti, I Signori di Napoli, Roma, Newton Compton, 2014). Per il servizio reso agli alleati nel 1945 le fu conferito il “Patriot Certificate”. Nella motivazione della medaglia accordatale dalla Repubblica italiana leggiamo: «Dopo aver fatto da parlamentare dei partigiani con i tedeschi al Vico delle Trone, si distinse molto nel combattimento che seguì. Nella stessa giornata coraggiosamente partecipò anche allo scontro in difesa del ponte della Sanità, al fianco del padre, con i partigiani dei rioni Materdei e Stella». Il suo nome è stato dato al ponte che sovrasta il Rione Sanità.

Donne sconosciute e «patriote come la casalinga Clementina Pellone, religiose come suor Maria Antonietta Roncalli - la madre superiora del Convento di San Pietro e Paolo che nel corso della rivolta armata “teneva nascosti circa cento giovani, noncurante delle minacce dei Nazi-fascisti che, per indurla a cedere, si dettero a sparare all’impazzata nell’atrio del convento”. Non cedeva suor Maria Antonietta, pronta a spergiurare persino “sul Crocifisso che nessun giovane era nascosto” nei locali sottoposti alla sua autorità» (G. Cerchia, op. cit., p. 306).

Questo è solo un piccolissimo accenno a quell’Italia al femminile che soffrì e lottò in Campania. Non si è fatto, volutamente, riferimento alle stragi e sopraffazioni avvenute durante la ritirata germanica, né agli orrori perpetrati dai nuovi alleati anglo-americani. Nel rapporto della Commissione storica italo-tedesca, per l’Italia centro-meridionale peninsulare si riportano, ad esempio, i seguenti numeri relativi alle violenze nazifasciste: Arezzo con 160 atti di violenza, vittime 970, persone uccise 919; Caserta con 156 atti di violenza, vittime 506, persone uccise 470; Firenze con 155 atti di violenza, vittime 427, persone uccise 312; Napoli con 161 atti di violenza, vittime 320, persone uccise 184.

Quel torbido e angoscioso periodo che sembrò sgretolare il Paese in una morsa fratricida e disseminò massacri e stupri, violenze e saccheggi per l’intera Penisola, iniziò a vedere la fine nella primavera del 1945. E concludo con quanto già scritto nel mio volume Tra regime e burocrazia: Caserta 1935-1945. Un Viceprefetto una provincia (Perugia, Morlacchi, 2018): «per quell’anno [1945] il tessuto campano ben rappresenta le condizioni in cui si dibatteva l’intera nazione. Uno spaccato, dipinto con passione e forti tinte dallo storico Enzo Santarelli (Mezzogiorno 1943-1944. Uno sbandato nel Regno del Sud, Milano, Feltrinelli, 1999) in un testo autobiografico, che ci rinvia l’immagine di un’Italia in cui Sud e Nord sono espressione di un unico Paese devastato, sofferente ed alla ricerca di nuovi equilibri.

“Mezzogiorno, teatro passivo e vittima di operazioni militari e sciagure, anche in seguito ignorate assai a lungo dalla maggior parte delle stesse popolazioni del posto. [...]. Mezzogiorno fucina di eventi e di linee politiche, aperto ai profughi del Nord, pioniere della nuova democrazia postfascista, luogo di rielaborazione dell’impatto immane e capillare dell’invasione angloamericana”. Napoli, poi “era la più grande città dell’Italia liberata e in qualche modo un’immagine viva di tutto un paese”. Napoli, al cui territorio provinciale fino al settembre del 1945 appartenne anche Caserta, e la Campania rappresentano, in questo periodo, una qualsiasi delle città italiane, una qualsiasi delle nostre Regioni, dove “si viveva la ferocia delle ostilità e la speranza della pace, dove c’erano la guerra e il dopoguerra. [Dove le popolazioni] sfidavano e avevano sfidato condizioni di vita difficilissime. [Dove] l’impatto dell’occupazione tedesca era stato durissimo e la presenza, il passaggio di centinaia di migliaia di militari alleati avevano fatto il resto, scardinando visibilmente ogni norma sociale e civile. [Dove] nonostante ogni lutto e ogni miseria, l[e] città aveva[no] resistito e continuava[no] a resistere”».

      • Fosca Pizzaroni Archivista in pensione, ha insegnato storia delle istituzioni contemporanee nelle Scuole di Archivistica Diplomatica e Paleografia e svolto docenze per l’Università la Sapienza di Roma, di Padova, Mediterranea di Reggio Calabria e per l’Imes Sicilia. Ha collaborato con la Protezione Civile all’analisi storica delle calamità naturali avvenute dall’Unità d’Italia in poi, attraverso saggi e mostre.

* VitaMineVaganti, 25 aprile 2020 (ripresa parziale, senza immagini).


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