Inviare un messaggio

In risposta a:
SUD ....

IL NUOVO SUDAFRICA: UN ARCOBALENO DI LINGUE, IN MOVIMENTO. Prima fiera internazionale del libro di Cape Town, Un articolo di Itala Vivan - a cura di Federico la Sala

Un articolo tratto dall’ultimo numero della rivista “Leggendaria” dedicato all’Africa
giovedì 29 giugno 2006 di Federico La Sala
[...] Una volta smantellato l’ordine geopolitico di segregazione spaziale che frantumava il territorio in una dozzina di luoghi “etnici”, le homelands, con i bianchi al centro - collocati in quel che si definiva Repubblica Sudafricana - e i neri alla periferia nelle aree riservate, e tutti, secondo una folle classificazione, rinchiusi nei loro recinti, ecco che le schegge e i brandelli lacerati del territorio sudafricano si ricomposero in un tutto unico aperto a cittadini (...)

In risposta a:

> IL NUOVO SUDAFRICA: UN ARCOBALENO DI LINGUE, IN MOVIMENTO. --- Sudafrica: la famiglia bianca che provò la vita black (di Paolo G. Brera)

mercoledì 18 settembre 2013

Sudafrica: la famiglia bianca che provò la vita black

di Paolo G. Brera (la Repubblica, 17 Settembre 2013)

Un giorno gli Hewitt, proprietari di una bella casa nel verde di East Pretoria, hanno detto addio al loro mondo di certezze e sicurezza, di comodi sofà e ronde di vigilantes, e si sono trasferiti dieci chilometri e un altro pianeta più in là: alla porta accanto della loro donna delle pulizie, nello slum dei neri di Mamelodi , un villaggio di baracche affogato dalla malavita e dai pidocchi, dall’Aids e dalla droga. Lo hanno fatto per un esperimento di «empatia sociale » durato un mese, nato in sordina e finito sotto i riflettori di mezzo mondo, in un mare di polemiche.

Insieme a Julia e Jessica, i loro angioletti biondi di due e quattro anni, Julian e Ena volevano provare sulla loro pelle di sudafricani bianchi della middle class come fanno milioni di concittadini neri a sopravvivere in una stamberga di lamiera di 9 metri quadrati senza energia elettrica né acqua corrente, con una latrina maleodorante in comune con venti famiglie e un fornelletto a paraffina per cucinare qualche zuppa. «Sai che c’è? Spero che il fornelletto si rovesci e che ci bruciate vivi, nella baracca. Addio», li ha demoliti su twitter una blogger nera,@keratilwe.

Ma il loro esperimento senza apparenti doppi fini - niente libri in arrivo né programmi tv - ha diviso il Paese, tra lodi per il «coraggio» e accuse di «pornografia della miseria»; tra gli abbracci dei vicini di bicocca e le critiche feroci piovute sui social network e negli editoriali: «Hanno cercato e accettato simpatia e lodi per i disagi che altri subiscono quotidianamente senza nulla in cambio», li accusa lo scrittore Osiame Molefe dalle pagine del New York Times, uno dei quotidiani internazionali ad aver ripreso una storia così insolita. Loro si difendono con passione, attraverso il blog mamelodiforamonth. co.za che hanno aperto per raccontare la loro avventura.

«Ci hanno accusato di aver preso in giro la povertà, ma non è così. Come tanta gente nel nostro Paese vivevamo in una bolla. E abbiamo deciso di uscirne ». Dalla loro villetta si sono portati dietro solo dieci dollari al giorno - la stessa somma con cui campano ogni giorno milioni di neri nelle township - e un catino di vestiti, qualche materasso da stendere per terra e poche coperte, troppo poche per le rigide notti agostane dell’inverno di Pretoria, a 1350 metri di altitudine sull’altopiano del Transvaal. Si sono presi la febbre, hanno perso 5 chili a testa e hanno scoperto quanto sia difficile e costoso - il 47% del budget - andare al lavoro con autobus e treni. E «quanto mi è mancata la doccia... una pentola d’acqua calda e un secchio per lavarsi la testa è troppo, per me. Il secchio poi lo devi riusare per i piatti e i vestiti, ci vorrebbe un’ora e mezza per scaldare altra acqua al fornelletto», racconta Ena. Hanno vissuto senza sconti, ma per un mese soltanto: poi loro sono tornati a casa, gli altri no.

Amici e parenti li avevano implorati almeno di lasciare a casa le bimbe. Troppo pericoloso, nel Sudafrica che vent’anni dopo l’apartheid continua a camminare in bilico su un’integrazione difficile e dolorosa. A Pretoria come nel resto del paese, i bianchi si barricano in quartieri protetti da alte mura, con l’incubo perenne di essere rapinati o uccisi da un nero dello slum. Ma gli Hewitt hanno scoperto che c’è un altro Sudafrica: «Non potevamo fare 50 metri senza che ci salutassero e ci fermassero per fare due chiacchiere. Una famiglia nera in un sobborgo bianco verrebbe accolta allo stesso modo?».


Questo forum è moderato a priori: il tuo contributo apparirà solo dopo essere stato approvato da un amministratore del sito.

Titolo:

Testo del messaggio:
(Per creare dei paragrafi separati, lascia semplicemente delle linee vuote)

Link ipertestuale (opzionale)
(Se il tuo messaggio si riferisce ad un articolo pubblicato sul Web o ad una pagina contenente maggiori informazioni, indica di seguito il titolo della pagina ed il suo indirizzo URL.)
Titolo:

URL:

Chi sei? (opzionale)
Nome (o pseudonimo):

Indirizzo email: