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Calabria

Naturalismo mediterraneo e pensiero moderno. Il "prologo" di un lavoro di Mario Alcaro sulle "filosofie della natura"

giovedì 29 giugno 2006 di Federico La Sala
FILOSOFIE DELLA NATURA
Naturalismo mediterraneo e pensiero moderno
di Mario Alcaro*
PROLOGO
1. In una giornata grigia e piovosa, un aereo, sicuro e maestoso come un Dio, plana sull’aeroporto di Lamezia. Sullo sfondo la pianura, il golfo, le montagne delle Serre, da una parte, e l’altopiano della Sila, dall’altra. Alle pendici del colle, lungo la strada che dall’antica Terina porta al lido, il verde argentato degli ulivi si accoppia col verde tenero dei prati e con quello intenso e (...)

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venerdì 30 giugno 2006

La lingua comune della materia vivente

Dal mondo greco al sud d’Italia con Bernardino Telesio, Tommaso Campanella e Giordano Bruno. La ricchezza e modernità di una tradizione di pensiero fiorita in epoche diverse nel Mediterraneo al centro del saggio di Mario Alcaro «Filosofie della natura» per manifestolibri di Piero Bevilacqua (il manifesto, 29.06.2006)

Chi farà la storia dei saperi scientifici del mondo attuale scorgerà agevolmente una linea di convergenza che, da almeno un ventennio, vede accomunate svariate discipline e che tende a confinare nel ghetto dell’errore il riduzionismo che ha dominato sin qui la scienza moderna. Il processo è multiforme e ha la sua più profonda sorgente di ispirazione in un fenomeno storico che segna in maniera drammatica la fine dell’età contemporanea: la minaccia alla vita sulla Terra. Il suo emergere, nella seconda metà del XX secolo, accompagnato dall’affermarsi dei saperi dell’ecologia, ha messo in luce una incompatibilità crescente tra le singole scienze e la natura. Frantumate in specialismi sempre più particolari e separati, esse tendono, infatti, a trasformarsi in tecniche che misurano e manipolano frammenti ristretti di realtà. Ogni visione di insieme scompare, mentre la finalità che le ispira è la ricaduta strumentale della possibile «scoperta» da brevettare.

Un neutro deposito Tale tendenza non ha trovato oppositori fino a epoca relativamente recente. Fino a quando, cioè non è apparso drammaticamente chiaro che la natura non è il neutro deposito delle materie prime, né un insieme di parti separabili e utilizzabili secondo i mutevoli bisogni umani. Se l’uso privato e innocente degli spray contribuiva a lacerare lo strato dell’ozono voleva dire che tra l’agire individuale e le condizioni del nostro comune cielo esistevano nessi più profondi di quanto si immaginasse. Se una spruzzata di Ddt sulle sponde di un lago californiano rendeva muti e sterili gli uccelli delle campagne - come mostrò Rachel Carson in Primavera silenziosa - allora si svelava che la natura è un universo di connessioni complesse che non si può lacerare senza conseguenze. Lo scacco(e le responsabilità) del riduzionismo scientifico moderno sono stati negli ultimi anni rilevati e denunciati da un ventaglio crescente di discipline, dalla fisica all’economia, dalla biologia all’agronomia alla neurofisiologia. Antonio Damasio, lo studioso portoghese noto per L’errore di Cartesio e altri saggi tradotti da Adelphi, ha messo in luce l’insostenibilità di un pensiero che addirittura fonda l’essere (e getta il mondo del corpo e della natura nel disvalore) e di una mente disincarnata, separata da emozioni o passioni. E oggi forse non appare azzardato segnalare una divaricazione crescente tra buona parte dei nuovi saperi che indagano la complessità del vivente e il pensiero dominante che regola l’agire economico e sociale. Questo appare infatti tutto curvato sull’utilitarismo economicistico, su quella nuova versione di riduzionismo meccanicistico applicato alla società che è, di fatto, il neoliberismo dei nostri anni. Ora, un contributo originale si aggiunge a questa letteratura, Filosofie della natura. Naturalismo mediterraneo e pensiero moderno di Mario Alcaro per manifestolibri (pp. 223, euro 22). Anche Alcaro, naturalmente, denuncia con forza, e con un suo accento particolare, la scissione che sta a fondamento delle scienze moderne: la separazione tra io e realtà esterna, tra anima e mondo fisico, che porterà all’ipertrofia del soggetto e alla deprivazione della natura di ogni attributo di vita e intelligenza. Si è trattato di una delle più drammatiche divaricazioni che la cultura del mondo occidentale abbia conosciuto nella sua lunga storia. Una separazione che ha di fatto condannato per secoli il mondo naturale a un’esistenza opaca e subalterna, illuminata solo dall’azione valorizzatrice e plasmatrice degli uomini. Il fuoco dell’argomentare di Alcaro non ha di mira la scienza moderna e la sua successiva evoluzione. Diversamente da altri studiosi, ad esempio, Alcaro non critica la posizione di Galileo, che, mosso dalla ricerca di nuovi fondamenti per la fisica, «faceva il suo mestiere». Piuttosto egli pone l’accento sul pensiero religioso e filosofico, sulla tradizione giudaico-cristiana e su quella gnostica, su Lutero e Calvino, su Cartesio. Sulla scorta di Hans Jonas e di altri autori egli mostra non poche tracce di questa lunga e complessa filiazione. Ma il cuore del saggio è un altro, mostrare la straordinaria ricchezza e modernità di una tradizione di pensiero, fiorita sulla sponde del Mediterraneo, che in due memorabili stagioni della civiltà umana ha generato una profonda e lungimirante visione della natura e della presenza degli uomini in essa. La prima di queste appartiene a quella stupefacente pagina della storia antica che è il mondo greco. «Ecco - scrive Alcaro - i filosofi greci cercano di spiegare come dal mondo siano venuti l’anima, l’intelligenza, la giustizia, così come la vitalità, la sensibilità, la passione; e riportano queste emergenze stupefacenti ad un cosmo che le contiene e che è, esso stesso, vivente, sensibile, intelligente». L’altra stagione è quella che fiorisce nel Mezzogiorno d’Italia in pieno Rinascimento, legata ai nomi di Bernardino Telesio, Tommaso Campanella e Giordano Bruno. Questi «filosofi della natura» - come sono stati definiti - riprendono in parte la tradizione ellenica ma la arricchiscono di una più complessa visione panteistica in cui la natura - rappresentata come potenza generatrice di processi tanto spirituali che materiali - è quel tutto che spiega anche l’uomo, la sua intelligenza e la sua storia. Tale tradizione, rimossa e sepolta da quattro secoli di riduzionismo scientistico, oggi non solo torna a parlarci e incantarci, a mostrarci una natura molto più vicina alla nostra sensibilità di quanto non sia tanta scienza contemporanea. Intanto, essa ci aiuta a comprendere il percorso che la cultura dell’Occidente ha intrapreso nel mettere in atto la sua rimozione. La riduzione della natura a «oggetto esteso», misurabile e manipolabile, privo di creatività e storia, non solo ha permesso lo sfruttamento indiscriminato che è all’origine del «rischio ambientale» dei nostri anni, ma ha portato la stessa esistenza umana in un vicolo cieco, alla perdita del senso di sé. «La decostruzione della natura - scrive Alcaro - e il rimontaggio dei suoi tasselli come un mosaico di cui è unico artefice l’uomo, tolgono progressivamente - e paradossalmente - significato all’operare, all’agire e alla presenza dell’uomo nel mondo. La scomparsa del quadro naturale entro il quale si svolge la vicenda umana priva quest’ultima di un elemento indispensabile per la giustificazione razionale e la legittimazione del suo senso. Sopprimendo il decoro, la dignità e l’autonomia dell’altro da sé, l’uomo progressivamente si accorge che gli viene a mancare la terra sotto i piedi, che il suo agire storico è come campato in aria».

Lo spirito del cosmo Tuttavia, il «pensiero mediterraneo», questa tradizione che va da Talete ed Eraclito e arriva a Bruno, non si è mai interrotta del tutto. Ha trovato estimatori e continuatori solitari lungo i secoli che portano all’età contemporanea. Montaigne e Bergson, Heidegger e Whitehead, insieme a tanti altri appaiono, nella ricostruzione essenziale e lucida dell’autore, i portatori di una visione che gli stessi avanzamenti recenti della scienza rendono sempre più fondata e vitale. E’ l’originaria dimensione spirituale del cosmo, che non è mai stato solo bruta materia, a spiegare la nascita della vita, della coscienza e del linguaggio. E’ la coincidenza del bios con l’anima mundi - per riprendere due concetti chiave di quella tradizione - che fornisce oggi la risposta più saggia e fondata al mistero della comparsa dell’intelligenza umana e animale sulla terra. L’informazione genetica che circola nel Dna - espressione dell’intelligenza della materia e della sua evoluzione millenaria - dà oggi ragione a quei pensatori fioriti sulle sponde del Mediterraneo, che avevano trovato la misura e le giuste corrispondenze tra il miracolo dell’individuo che pensa e la misteriosa complessità della natura che vive.


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