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Cattolicesimo, fascismo, nazismo, stalinismo: il sogno del "regno di ‘dio’" in un solo ‘paese’ è finito. UN NUOVO CONCILIO, SUBITO. 95 TESI? NE BASTA UNA SOLA!

UNA MEMORIA DI "VECCHIE" SOLLECITAZIONI. Il cardinale Martini, da Gerusalemme, dalla “città della pace”, lo sollecita ancora!!!
martedì 5 giugno 2007 di Federico La Sala
Foto. Frontespizio dell’opera di Thomas Hobbes Leviatano.
IL NOME DI DIO. L’ERRORE FILOLOGICO E TEOLOGICO DI PAPA BENEDETTO XVI, NEL TITOLO DELLA SUA PRIMA ENCICLICA. Nel nome della "Tradizione"
GUARIRE LA NOSTRA TERRA: VERITÀ E RICONCILIAZIONE. Lettera aperta a Israele (già inviata a Karol Wojtyla) sulla necessità di "pensare un altro Abramo"
LEZIONE DI PIETRO: "Ὁμοίως γυναῖκες (...)

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> UN NUOVO CONCILIO, SUBITO. 95 TESI? NE BASTA UNA SOLA! -- 500 anni dopo Lutero, parlano la teologa luterana Elisabeth Parmentier e padre James Puglisi (di A. Zaccuri).

giovedì 17 novembre 2016

      • UN NUOVO CONCILIO, SUBITO. 95 TESI? NE BASTA UNA SOLA! Cattolicesimo, fascismo, nazismo, stalinismo: il sogno del "regno di ‘dio’" in un solo ‘paese’ è finito.

500 anni dopo Lutero

Parmentier: «La riconciliazione parla con voce di donna»

Parla la teologa luterana Elisabeth Parmentier: «A favorire l’ecumenismo è anche l’atteggiamento sempre più materno assunto dalla Chiesa nella società»

di Alessandro Zaccuri (Avvenire, 14.11.2016)

Qualche anno fa, invitata a parlare sul futuro dell’Unione Europea, la teologa luterana Elisabeth Parmentier aveva proposto una similitudine che molti ancora ricordano. È come se una donna fosse incinta di due gemelle, spiegava: una si chiama Paura, l’altra Speranza. Tutto sta a vedere chi avrà la meglio. Ora come ora la pastora Parmentier sembra un po’ meno ottimista: «La mia impressione - dice - è che in Europa e nel mondo sia la paura a prevalere. Ma questa può essere un’opportunità per i cristiani. Anzi, è un invito a proseguire con convinzione ancora maggiore nel cammino del dialogo ecumenico».

Docente di Teologia pratica alla Faculté de théologie di Ginevra, Elisabeth Parmentier è nota anche al lettore italiano grazie ai saggi editi nel nostro Paese da Edb (La Scrittura viva, 2007) e Qiqajon (Donne in concorrenza?, sull’episodio evangelico di Marta e Maria, 2014). Nei giorni scorsi ha partecipato al convegno su “Giubileo della Misericordia, giubileo della Riforma: una prossimità feconda?”, organizzato a Padova dalla Facoltà teologica del Triveneto. Un’occasione di studio resa straordinariamente attuale dal viaggio di papa Francesco in Svezia, durante il quale è stata sottoscritta a Lund la Dichiarazione congiunta tra la Chiesa cattolica e Chiese luterane: «Abbiamo imparato - si legge nello storico documento - che ciò che ci unisce è più importante di ciò che ci divide». Detto altrimenti, quello che un tempo divideva oggi può unire. La lettura della Parola di Dio, per esempio.

«È vero - ammette la professoressa Parmentier - per un lungo periodo l’interpretazione della Scrittura ha rappresentato un elemento di scontro fra le Chiese, ma in questo momento è diventata finalmente luogo di incontro e di confronto. Questo non significa che l’avventura dell’interpretazione possa considerarsi conclusa. Al contrario, la Scrittura, in quanto realtà viva, resta sempre in discussione. Distinzioni e sottolineature differenti si riscontrano ancora oggi e, per paradossale che possa apparire, risultano più accentuate all’interno del mondo protestante».

A che cosa si riferisce?

«Al letteralismo che contraddistingue alcune confessioni evangelicali e che si risolve spesso in un atteggiamento di tipo esclusivamente morale. È come se, per ribadire l’autorità della Scrittura, si volesse rinunciare al patrimonio della critica storica e filologica. Bisogna evitare le generalizzazioni, è chiaro. Ma non possiamo dimenticare come il dialogo attuale affondi le sue radici nella tradizione dell’Umanesimo, dal quale ci viene la capacità di leggere in chiave critica il testo biblico».

Qualcosa che divide cattolici e protestanti però c’è ancora. Di che cosa si tratta?

«A mio avviso il problema fondamentale è costituito dalla visione della Chiesa. Da parte delle denominazioni protestanti si potrebbe anche arrivare al riconoscimento del Papa come primus inter pares, ma questo passo dovrebbe essere preceduto da una revisione della struttura ecclesiale da parte cattolica. Non è solo questione di organizzazione gerarchica, ma di articolazione e visione della Chiesa. Ed è precisamente da questo che discende la possibilità di instaurare un dialogo ecumenico capace di arrivare a un accordo più vasto e puntuale».

Il discrimine, dunque, non sta più nella dottrina sulla giustificazione?

«Su questo la controversia si è chiusa definitivamente nel 1999, con la Dichiarazione congiunta sottoscritta da cattolici e luterani. Da allora siamo consapevoli che tra i cristiani non esiste più alcun disaccordo in merito alla natura e alla portata della salvezza. Lo stesso tema della misericordia, che tanta rilevanza ha avuto quest’anno nella Chiesa cattolica per via del Giubileo, appartiene fin dalle origini alla spiritualità protestante. Sul versante sacramentale, poi, la consonanza è ormai completa non solo per quanto riguarda il Battesimo, ma anche per l’Eucaristia, nella quale anche i luterani, pur non adottando la definizione cattolica di transustanziazione, riconoscono comunque la vera presenza di Cristo».

Eppure l’ordinazione ministeriale rimane un punto critico.

«Per il motivo che sottolineavo in precedenza, ossia la diversa visione di Chiesa che ci caratterizza. Il pastore luterano non ha alcuna investitura sacramentale e questo non può non porre un problema di reciprocità nei confronti del cattolicesimo».

Anche la valorizzazione del carisma femminile va considerata in questa prospettiva?

«La mia convinzione è che già adesso, all’interno della Chiesa cattolica, molte donne svolgano un servizio pastorale al di fuori del ministero ordinato. Sarà proprio questa esperienza concreta a far progredire la coscienza dell’importanza della donna in ambito ecclesiale, probabilmente attraverso la strada del diaconato. Più complesso è semmai il discorso del celibato sacerdotale, che per i cattolici costituisce una componente molto forte e direi quasi irrinunciabile della propria identità simbolica».

Quali sono le novità introdotte da papa Francesco nel dialogo ecumenico?

«Bergoglio ha il carisma di una grande intelligenza teologica. La sua è una visione radicalmente cristologica della realtà, che lo porta a trasformare in messaggio di riconciliazione la sua stessa persona e le sue stesse azioni. In questo mi pare evidente il portato degli Esercizi spirituali ignaziani e, nella fattispecie, dalla pratica del discernimento, che porta a distinguere continuamente fra ciò che è prudente e ciò che è urgente, nell’ecumenismo così come nella Chiesa cattolica».

In che modo il contesto della secolarizzazione influisce sulla riconciliazione fra i cristiani?

«Negli ultimi decenni i cambiamenti sociali hanno fatto sì che la Chiesa assumesse una funzione diversa. Al riferimento normativo del passato è subentrato un atteggiamento che definirei terapeutico, diaconale, materno. Più femminile, se così vogliamo considerarlo. Questo, lo ripeto, dipende da una domanda sempre più diffusa, che sicuramente ha nella solitudine prodotta dalla secolarizzazione una della sue motivazioni più riconoscibili. A ben pensarci, però, anche gli obiettivi primari indicati dalla Dichiarazione congiunta di Lund, come la cura dell’ambiente e l’accoglienza dei migranti, chiamano in causa questa dimensione terapeutica e materna, squisitamente femminile, della Chiesa».

Ma per lei, personalmente, che cosa significa essere luterana?

«Per me la libertà del cristiano sta al cuore della spiritualità di Lutero. È un dono straordinario e, in quanto tale, non va frainteso. Non si traduce nella licenza di fare tutto quello che si vuole, ma implica la consapevolezza di essere stati liberati, una volta per tutte, dalla preoccupazione di noi stessi. Questo induce a vivere nella gratitudine e, nello stesso tempo, permette di rivolgersi agli altri senza più timore. Nei suoi scritti Lutero insiste molto nella presenza del diavolo, del peccato e della morte nelle nostre esistenze. Il suo è il linguaggio dell’epoca, ma il messaggio rimane inalterato nel tempo. La separazione tra Dio e l’uomo oggi assume l’aspetto di una solitudine assoluta, che induce a un’assoluta disperazione. Essere luterana, per me, significa sapere di non essere mai sola, nella certezza che perfino la morte, l’ultimo nemico, è già stata sconfitta da Cristo».


Dalla donna ideale alle donne inquietanti: le cristiane rivelatrici di crisi d’identità e iniziatrici di cambiamenti di Elisabeth Parmentier, teologa e pastora luterana francese, professoressa di teologia pratica alla Facoiltà dio teologia protestante di Strasburgo.


500 anni dopo Lutero.

Padre Puglisi: «Una sola lingua per cattolici e luterani»

L’esperto di ecumenismo padre James Puglisi: «Uno dei nodi principali resta il reciproco riconoscimento dei ministri ordinati. Ma le incomprensioni di cinque secoli oggi possono essere superate»

di Alessandro Zaccuri (Avvenire, 15.11.2016)

Per padre James Puglisi l’ecumenismo è, alla lettera, una questione di famiglia. «Mia nonna era nata anglicana - ricorda il religioso originario della cittadina di Amsterdam, nello Stato di New York - e solo in seguito divenne cattolica». Proprio come è accaduto all’altra famiglia, religiosa, di cui padre Puglisi fa parte: i francescani dell’Atonement, ossia delle redenzione. Il nome, ispirato a un brano della Lettera ai Romani, fu scelto alla fine dell’Ottocento dal pastore episcopaliano statunitense Lewis Wattson, iniziatore dell’Ottavario di preghiera per l’unità dei cristiani. Poco tempo più tardi, nel 1909, Wattson passò al cattolicesimo e la congregazione da lui fondata fu ammessa alla piena comunione con la Chiesa di Roma. Attualmente i francescani dell’Atonement animano il centro Pro Unione di Roma (www.prounione.urbe.it), attivissimo nelle promozione del dialogo ecumenico. Padre Puglisi, che lo dirige, è considerato un’autorità in materia: a lui si deve, tra l’altro, la cura dell’Enchiridion Oecumenicum pubblicato in numerosi volumi fin dalla metà degli anni Ottanta. «Il quinto centenario della Riforma - dice - può segnare una tappa importante, se non altro per il riconoscimento dei progressi compiuti negli ultimi decenni».

In quale direzione: pastorale o teologica?

«Mi pare indubbio che sul piano dottrinale si sia ormai superato ogni equivoco tra cattolici e luterani. E questo già dal 1999, dalla firma della Dichiarazione congiunta sulla giustificazione, grazie alla quale siamo arrivati a una nuova comprensione degli elementi che ci avevano diviso in passato. I cattolici riconoscono che i luterani non sono più soggetti all’anatema del Concilio di Trento e, nello stesso tempo, i luterani ammettono che i cattolici non sono più estranei alla giusta comprensione del mistero centrale della fede in Cristo. Quanto sta accadendo in questi mesi, compreso lo storico viaggio di papa Francesco in Svezia, si pone nel segno di questa continuità».

Quali potrebbero essere i prossimi passi?

«Mi rifaccio a un documento che si intitola appunto On the way, “In cammino”, sottoscritto di recente negli Stati Uniti da cattolici e luterani. Lì sono indicati tre aspetti particolarmente rilevanti per il dialogo: la Chiesa, l’Eucaristia, il ministero. Per ciascuno di questi ambiti vengono valutati gli elementi di accordo e di disaccordo. Sull’Eucaristia le differenze sono ridotte al minimo, dato che anche i luterani concordano sulla vera presenza di Cristo, per la quale pure forniscono una spiegazione alternativa rispetto a quella in uso nella teologia cattolica. Più complessa è la questione della Chiesa, nella quale i luterani sono ancora restii a riconoscere uno strumento per l’opera di salvezza. Ma il vero punto critico, alla fine, è costituito dal riconoscimento reciproco del ministero. Fino a quando non verrà superato questo ostacolo, l’unità non potrà dirsi raggiunta».

Si riferisce all’ordinazione delle donne?

«Nel mondo luterano le donne ordinate sono molto numerose, ma la Chiesa cattolica non contempla questa possibilità: come pensare, allora, di arrivare a un’effettiva reciprocità? Sono convinto che nei prossimi anni la teologia cattolica dovrà molto riflettere su questo snodo, considerando con grande serietà le obiezioni che vengono da parte protestante».

Quali?

«Il fatto che nulla, nel Nuovo Testamento, esclude espressamente il sacerdozio femminile. Gli apostoli erano tutti uomini, si ripete. Ma se è per questo erano anche ebrei, circostanza che non ha impedito l’ingresso dei gentili nella Chiesa. La riflessione, a questo punto, deve andare in un’altra direzione, approfondendo la dimensione del sacerdozio comune dei fedeli. Il legame, insomma, non è tra sacerdozio e ordinazione, ma tra Battesimo e sacerdozio».

Non sarà un percorso facile.

«Più che altro non può essere un percorso imposto dall’alto, come si tentò a fare nel Quattrocento con il fallimentare Concilio di Ferrara e Firenze che mirava a ricomporre lo scisma d’Oriente. Il dialogo ecumenico, al contrario, ottiene i risultati migliori quando si configura come un movimento dal basso. Ecco perché bisognerebbe insistere sulla formazione dei ministri nelle varie Chiese. L’ecumenismo non può essere considerata soltanto una materia di studio da affiancare alle altre, ma deve diventare anche una visione trasversale, capace di informare di sé tutta l’azione pastorale. Del resto, è l’azione che ci unisce, prima ancora della dottrina. Mi pare che sia questo, da ultimo, il significato più profondo dell’ecumenismo praticato da papa Francesco, nella cui riflessione è centrale il riconoscimento del comune Battesimo ricevuto dai cristiani».

Ma lo scisma di mezzo millennio fa poteva essere evitato?

«La mia impressione è che alla base della rottura ci sia stata una forte incomprensione linguistica. La forma mentis di Lutero era di tipo settentrionale, direi quasi anglosassone, ma si esprimeva attraverso le formule della Scolastica latina, finendo così per irrigidirsi ancora di più. Ogni lingua ha in sé la sua logica, infatti, e la transizione da un contesto all’altro non avviene in modo indolore. Nella fattispecie, Lutero non ha mai rinunciato al procedimento binario della reciproca esclusione. Per lui l’Eucaristia, per esempio, non può essere nello stesso tempo sacrificio e rendimento di grazie, perché una definizione viene a contraddire l’altra e questo impedisce di raggiungere la sintesi del sacrificium laudis. Questo, peraltro, vale anche per la posizione assunta da Lutero sull’ordinazione. Per strano che possa apparire, fu proprio l’eredità della Scolastica a rendere impossibile la riconciliazione nei primi anni della Riforma. Adesso spetta a noi trovare un linguaggio e un pensiero veramente innovativi».


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